Un idrogel per guarire le ustioni in tempo record

Un idrogel per guarire le ustioni in tempo record

«C’è un bisogno clinico insoddisfatto di medicazioni per il trattamento delle ustioni che possono causare anche gravi danni alla pelle». Così esordiscono i ricercatori dell’Institute of Bioengineering and Nanotechnology (Ibn), in un lavoro pubblicato di recente su Biomaterials. Perché «un trattamento ideale dovrebbe prevenire l’infezione, mantenere la pelle idratata per facilitare la rimozione del tessuto danneggiato, e favorire la rigenerazione dei tessuti» continuano i ricercatori. E oggi sul mercato non esiste niente di simile, in grado di svolgere queste azioni rapidamente e ridurre il rischio di infezione e cicatrici. Così ci hanno pensato i ricercatori dell’Ibn, con un progetto che va avanti dal 2009 e sembra promettere la guarigione di ustioni anche gravi, di secondo e terzo grado, nel giro di appena due settimane. Molto meno rispetto i tempi richiesti oggi dai trattamenti tradizionali. «Abbiamo sviluppato un idrogel, formato da peptidi “intelligenti”,  in grado di auto-assemblarsi, che soddisfa i criteri richiesti per il trattamento, in appena 14 giorni» affermano i ricercatori.

Esistono diversi tipi di ustioni, che vengono classificate in base agli strati della pelle interessati e alla gravità della ferita. La meno dannosa è l’ustione superficiale o di primo grado, che riguarda solo lo strato della pelle he si trova più in superficie, l’epidermide, e si presenta rossa ma senza vesciche (la classica scottatura da sole). Man mano che la lesione scende di profondità, toccando anche il derma sottostante fino ad arrivare ai muscoli e alle ossa, si passa alle ustioni a spessore parziale e totale (secondo e terzo grado, che possono richiedere anche innesti di pelle)  fino a quelle di quarto grado che possono causare amputazioni o essere mortali. Quando il danno si estende anche al derma, dove si trovano le cellule staminali che fungono da “cellule di scorta”, viene compromessa anche la capacità di queste cellule di rigenerare il tessuto. Di conseguenza viene attivato un sistema “d’emergenza” che  richiama nuove cellule staminali dal tessuto adiacente, ma che richiede molto tempo, in genere tra le due e dieci settimane. E più aumenta il tempo di guarigione maggiore è il rischio di cicatrici e infezioni.  «Mentre le ustioni a spessore totale sono spesso trattate con innesti di pelle che forniscono nuove cellule staminali e l’impalcatura biologica per la rigenerazione dei tessuti, non esiste attualmente alcuna buona medicazione per il trattamento di ustioni a spessore parziale» spiegano gli autori del lavoro. «Lo standard di cura attuale per queste ferite, è l’applicazione di un antibiotico a base di argento per prevenire l’infezione, e la copertura con medicazioni in silicone, che non compromettano la rigenerazione dell’epidermide durante i cambi di medicazione».

Per la prima volta, in questo studio, è stata valutata l’efficacia di una tecnologia innovativa, composta da una nuova classe di peptidi ultra-corti, composti da sequenze di 3-7 amminoacidi, in grado di auto-assemblarsi in reti di nanofibre macromolecolari. A causa della loro natura anfifilica (sono molecole affini all’acqua) poi, queste reti di peptidi, possono intrappolare fino al 99,9% di acqua, formando un idrogel che assomiglia alla matrice extracellulare. Questa è parte integrante del tessuto cutaneo, e funziona da supporto meccanico e strutturale per le cellule del corpo umano. L’idrogel quindi può essere usato come una struttura biomimetica, che agendo come una impalcatura per le cellule della pelle, promuove la rigenerazione della pelle. La rete di nanofibre, inoltre, può anche agire come una barriera contro le infezioni e all’abrasione e fungere da matrice per il rilascio controllato di farmaci. Inoltre sono materiali particolarmente indicati per il trattamento delle ustioni, perché idratano la superficie lasciandola respirare, e sono trasparenti, il che permette di monitorare costantemente la ferita.

Per valutare l’efficacia del nuovo trattamento, i ricercatori dell’Ibn hanno testato la nuova tecnologia confrontando il tasso di rigenerazione dei tessuti – un indicatore importante, dal momento che è inversamente correlato con formazione di cicatrici ipertrofiche e il rischio di infezione – rispetto il trattamento tradizionale a base di silicone. Il nanogel ha dimostrato di rigenerare le ferite da ustione molto più velocemente rispetto il trattamento attualmente in uso nelle cliniche. Nei test realizzati sugli animali infatti, l’idrogel realizzato dai ricercatori dell’Ibn, permetteva di ottenere quasi il 100% della chiusura della ferita dopo appena due settimane di trattamento, come spiega l’Ibn in un comunicato stampa. Mentre con la medicazione tradizionale in silicone si otteneva la guarigione del 63% della zona lesa, nello stesso periodo di tempo.

Dopo aver dimostrato la biocompatibilità e l’efficacia del trattamento, ora la prossima sfida sarà riuscire a incapsulare nell’idrogel, farmaci per prevenire le infezioni e accelerare la rigenerazione dei tessuti (come antibiotici e antinfiammatori). «Questi peptidi inoltre si prestano bene anche alla progettazione di diverse formulazioni» concludono i ricercatori, «per questo l’idea è di commercializzare in futuro, l’idrogel come cerotto, gel o spray per uso topico». Intanto però all’Ibn si lavora per ottenere una formulazione in polvere secca, che possa essere attivata in seguito all’aggiunta di acqua. «Se riuscissimo a ottenere questo tipo di formulazione, potremmo ridurre di molto i costi di trasporto e rivoluzionare la medicina di emergenza, fornendo un trattamento per le ustioni a spessore parziale, comodo e di facile impiego».

Ma si tratta davvero di un trattamento rivoluzionario? Nicolò Scuderi ordinario di Chirugia plastica, ricostruttiva ed estetica, presso l’Università La Sapienza di Roma, ha risposto a Quotidiano Sanità, spiegando che si tratta sì di una novità interessante, «perché questi peptidi di nuova generazione hanno grandi potenzialità, anche se in massima parte ancora da validare sugli esseri umani». E si inseriscono in un filone di ricerca già attivo da diverso tempo: «sono già diversi gli studi su “impalcature” (in termine tecnico detti scaffold)a base di fibrinogeno, collagene o acido ialuronico, addizionati di sostanze attive; o “impalcature”  con impianti di fibroblasti, per la riparazione di ferite, ustioni e ulcere croniche» conclude Scuderi. «Oggi in laboratorio si sta cercando da una parte di ricreare organi o tessuti in laboratorio, come il caso della pelle artificiale. Dall’altra di realizzare degli scaffold attivi, da posizionare sui tessuti lesionati, che possano richiamare cellule in grado di riprodurre l’organo o il tessuto danneggiato, direttamente nella sede di impianto».

In collaborazione con RBS-Ricerca Biomedica e Salute

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