Rubrica Scienza&SaluteUn pancreas artificiale per i diabetici

Un pancreas artificiale per i diabetici

Lo chiamano pancreas bionico o artificiale ma non ha niente a che vedere con gli organi costruiti in laboratorio che un giorno forse potranno sostituire le parti difettose del nostro organismo. Si tratta in realtà di un microinfusore indossabile in grado di misurare costantemente la glicemia e somministrare insulina, proprio come fa un pancreas in condizioni fisiologiche. Tutto grazie a un sofisticato algoritmo che rielabora i dati e “prende le decisioni” e che probabilmente è destinato a rivoluzionare la vita delle persone affette da diabete di tipo 1 e in parte di tipo 2.  Il pancreas artificiale, già in studio da diversi anni, di recente è stato testato in uno studio clinico condotto nel Regno Unito, pubblicato su The Lancet, su giovani e adulti mostrando ottimi risultati in termini di sicurezza, efficacia clinica e miglioramento della qualità della vita. Risultati che danno l’idea che il pancreas artificiale non sia poi così lontano, nonostante bisognerà aspettare ancora qualche tempo prima che il suo uso diventi di “massa”.

Prima di tutto va precisato che il pancreas artificiale, in grado di somministrare insulina, è indicato per tutti quei pazienti che non sono più in grado di produrre l’ormone da sé. Quindi tutte le persone affette dal diabete di tipo 1, in prevalenza bambini, in cui sin dalla nascita si verifica una reazione autoimmune che distrugge quella parte del pancreas destinata alla produzione dell’insulina. In queste persone (che rappresentano solo il 10% dei diabetici circa, la maggior parte sono infatti colpiti dal tipo 2) la produzione di insulina è totalmente assente, e sin da piccoli, da quando si manifesta la malattia, sono costretti a inserire l’ormone nell’organismo in maniera artificiale, tramite iniezioni sottocute, con penne preriempite o siringhe. Una situazione simile si verifica in realtà anche nei pazienti affetti dal tipo 2 (adulti da circa 40 anni in su), dopo molti anni di decorso della malattia. Queste persone all’inizio sono ancora in grado di produrre insulina ma con il passare del tempo la produzione dell’ormone si esaurisce del tutto, rendendo necessario anche in questo caso la somministrazione dell’ormone dall’esterno. In entrambi i casi si parla di diabete insulino-dipendente.

Uno dei principali problemi per la gestione del diabete insulino dipendente è proprio la regolazione della quantità dell’ormone. Non sempre infatti si riesce a riprodurre esattamente il normale profilo di produzione dell’insulina da parte del pancreas. Un diabetico in media controlla la glicemia diverse volte al giorno, e in base a questi valori, ai pasti e allo stile di vita, si somministra 4-5 volte al giorno l’insulina, che può essere ad azione rapida se prima dei pasti, o lenta, come quella notturna. Non sempre però si raggiunge il valore glicemico voluto, e si riesce a mantenerlo costante e in alcuni casi possono verificarsi anche episodi di iperglicemia e soprattutto ipoglicemia, molto pericolosi per il paziente. «È un tentativo di riprodurre le condizioni normali del soggetto» spiega Mauro Ragonese, dell’Associazione medici diabetologi, AMD «ma questo è impossibile, perché quello che fa il pancreas è molto più sofisticato e complicato, rispetto all’inserire l’insulina sottocute. Da diversi anni poi è stato sviluppato il microinfusore, un dispositivo indossabile in grado di rilasciare quantità prestabilite di insulina. Questo dispositivo però, nonostante abbia ridotto i casi di ipoglicemia e riesca a mantenere un livello glicemico più costante,  richiede ancora una grossa partecipazione del paziente, che a ogni pasto deve fare la conta dei carboidrati e in base a una serie di tabelle apposite, regolare la quantità di insulina da somministrarsi. Senza contare che altrettante volte queste persone devono misurare la glicemia per verificare che sia tutto a posto, e che c’è una certa individualità personale di cui tener conto, perché ognuno risponde alla stessa quantità di insulina in maniera differente».

Ecco perché il pancreas bionico, che riduce al minimo il lavoro della persona diabetica, è considerata una vera rivoluzione. Soprattutto se si considera che parliamo di bambini e adolescenti, per cui a volte il controllo della glicemia e dei pasti è molto complicato.  Il sistema, chiamato ad ansa chiusa, testato nello studio pubblicato su Lancet prevede una rilevazione dei valori della glicemia da parte del microinfusore (dotato di due aghetti inseriti sottocute: uno per rilevare la glicemia, l’altro per somministrare l’insulina), che a sua volta invia i dati tramite wifi a un software installato nel proprio smartphone. Qui un algoritmo analizza i dati ricevuti e in base a diversi fattori (pranzo, individualità personale, attività fisica svolta ecc.) decide la quantità di insulina da somministrare e invia il comando al microinfusore. Nel microinfusore quindi si trova una cartuccia pre-riempita con grandi quantità di insulina, che viene rilasciata un po’ per volta a seconda del segnale. «Il lavoro del paziente è così ridotto al minimo – continua Ragonese – non deve più fare il conteggio dei carboidrati né misurare la glicemia, avvicinando di molto l’attività del dispositivo a quella del pancreas, dando molta più libertà al paziente e senza alcun tipo di restrizione delle attività quotidiane. Il microinfusore in genere è consigliato per tutte quelle persone che non riescono ad avere un buon compenso, nonostante la terapia iniettiva, o che vanno spesso in ipoglicemia, perché tanto più la somministrazione dell’insulina si avvicina a quella del pancreas naturale meno è il rischio che si verifichino questi episodi».

Lo studio pubblicato su Lancet ha confrontato su 25 adulti tra i 18 e 43 anni affetti da diabete di tipo 1, per otto settimane, l’attività del pancreas artificiale dove la glicemia veniva autoregolata, con quella del trattamento tradizionale in cui è il paziente ad autogestirsi. Nonostante i piccoli numeri e il breve tempo di trattamento i risultati sono stati molto promettenti e hanno mostrato come nel gruppo dei pazienti che hanno adoperato il sistema ad ansa chiusa, la glicemia durante la notte sia stata per il 52,6% dei casi dentro il range prestabilito, rispetto il 39,1% dei casi del gruppo controllo. Il sistema da ansa chiusa quindi ha migliorato in maniera significativa il tempo trascorso nel giusto intervallo glicemico. «Lo studio testimonia che questa applicazione permette ad adulti e adolescenti di avere una glicemia media migliore, e di ridurre anche nettamente il rischio di ipoglicemia, nel senso che  i valori glicemici si avvicinavano meno a quelli ipoglicemici.  Qui inoltre si parla solo di obiettivi clinici, e non della qualità della vita, che verrebbe notevolmente migliorata con questo sistema. Un altro fattore molto importante, a cui solo ultimamente si sta attribuendo il giusto peso, sono le oscillazioni glicemiche che possono portare a complicanze molto gravi. È importante evitare che la glicemia oscilli troppo tra valori molto alti o molto bassi». 

Nello studio i valori erano mascherati per evitare qualsiasi intervento da parte del paziente ma questo non vieta che in futuro il sistema potrà essere aperto anche all’intervento del paziente nel caso si verificasse qualche malfunzionamento del software o del dispositivo. «Si pone sempre molta attenzione alla tecnologia di questi dispositivi sanitari – conclude Ragonese –  perché devono essere totalmente sicuri. In genere è il primo fattore a essere valutato. L’articolo pubblicato su Lancet fa capire che il dispositivo non tarderà motlo ad arrivare, anche in Italia, dove siamo moto all’avanguardia su questo tipo di ricerche a cui stiamo contribuendo in maniera sostanziale. Ma non saprei dire esattamente fra quanto entrerà in uso, dipende da molti fattori, tra cui quello economico. Il pancreas artificiale avrà un grosso impatto sulla vita del paziente ma anche sui costi sanitari. Già oggi il microinfusore, a totale carico del Sistema sanitario nazionale, è largamente impiegato in Italia, ma prima di essere consesso deve superare un percorso attivo in ciascuna regione, che valuta le richieste dei centri di diabetologia.  In fine dei conti non è una spesa di poco conto».

In collaborazione con RBS-Ricerca Biomedica e Salute

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