Il 22 settembre 2004, dieci anni fa, iniziava negli Stati Uniti una serie televisiva che ha cambiato le serie televisive: Lost. La storia, almeno all’inizio, è semplice: un aereo in volo da Sidney a Los Angeles precipita su un isola deserta e i sopravvissuti devono darsi da fare per sopravvivere. Ma, si scopre presto, l’isola su cui sono atterrati è tutt’altro che disabitata e il loro incidente tutt’altro che casuale.
Lost ha dato il via all’epoca d’oro della serialità televisiva, mostrando a tutti quanto potessero essere ricche e complesse le serie tv (la puntata pilota costò tra i 10 e i 14 milioni di dollari), attirando nuovi spettatori e tenendoli aggrappati alla serie puntata dopo puntata grazie ai mille misteri dell’isola. Ma, anche se ha cambiato il modo in cui guardiamo la televisione, probabilmente Lost non sarà una di quelle serie senza tempo che ricorderemo negli anni, non come I Soprano e non come Breaking Bad. Lost è una serie profondamente aggrappata al periodo in cui è stata scritta: figlia del disorientamento dell’11 settembre, dell’epoca in cui stavamo ancora imparando a conoscere internet e dove i segreti potevano ancora essere tenuti tali. Nell’era del binge watching e di Netflix, poi, Lost perde gran parte della sua forza, perché smette di essere un evento collettivo e diventa semplicemente un’altra serie da guardare, scollegata da tutto il resto. Per Lost, come dimostra la sua stessa struttura narrativa, il tempo era tutto.
Per festeggiare il decimo compleanno della serie, ho scelto 10 momenti che raccontano esattamente cos’è stato Lost, nel bene e nel male. Un po’ di nostalgia, un po’ di colpi di genio e un po’ di domande che, nonostante tutto, sono ancora senza risposta.
1. La sigla
Una sigla che non assomigliava a nessun altra sigla: non ci accompagna a conoscere i personaggi, non ci racconta niente né della trama né dell’ambientazione e dura una manciata di secondi invece che minuti. È un portale in un altro mondo, che assomiglia moltissimo al nostro ma ha delle regole leggermente diverse. E dove non tutto è quello che sembra. Creata dal produttore della serie J.J. Abrams sul suo portatile, è rimasta uguale per tutti 121 gli episodi della serie.
2. Adamo ed Eva
Cosa ci fanno due scheletri, uno di un uomo e uno di una donna, su un isola che dovrebbe essere deserta? Il mistero di Adamo ed Eva — come li chiama immediatamente John Locke — è uno dei più duraturi di Lost. Uno dei primi momenti in cui capiamo che qualcosa non torna sull’isola e che quello che stiamo vedendo non è solo una versione aggiornata de Il signore delle mosche. L’identità dei due scheletri (insieme al significato dei numeri) è stato uno dei misteri più discussi della serie, con ipotesi aggiornate più volte nel corso delle stagioni: sono Rose e Bernard, morti nel passato? Sono Jack e Kate? Sono gli odiati Nikki & Paulo? Ed è anche il simbolo di cosa è stato Lost per chi l’ha visto in contemporanea con la messa in onda, nel corso di sei anni: un indovinello continuo, un argomento di discussione dopo ogni puntata, una strenua attesa di nuovi dettagli. E la fede che gli sceneggiatori fossero in grado di rispondere a tutte le domande che avevano sollevato.
Presentato nella sesta puntata della prima stagione, l’enigma viene risolto — SPOILER — solamente nel quindicesimo episodio della sesta, il terzultimo in assoluto. Sono l’uomo in nero (l’uomo che poi è poi diventato il mostro di fumo) e la sua madre adottiva.
3. «Make your own kind of music, sing your own special song»
Le canzoni, in Lost, sono quasi voci narranti. Commentano le scene e i personaggi, e ci anticipano cose che ancora non conosciamo. È la prima puntata della seconda stagione e vediamo quello che pare essere un flashback: un occhio si apre, un uomo si alza, fa qualcosa al computer, mette un disco sul giradischi, si fa la doccia, fa colazione, e poi… un esplosione fa tremare la sua casa e saltare la puntina. E noi scopriamo che quello che stiamo guardando non è un flashback ma il presente dell’isola pochi minuti prima che Jack e Locke facciano saltare in aria il coperchio della botola che ci ha tormentati per l’intera prima stagione. E quello che abbiamo appena visto è qualcuno che vive dentro alla maledetta botola. Ancora non lo sappiamo, ma con Make your own kind of music gli sceneggiatori stanno prendendo in giro Desmond — che per mesi ha fatto tutto l’opposto di cantare la sua canzone — per trasformarlo in uno dei personaggi principali della serie.
4. Il logo della Darmha sullo squalo
È la seconda puntata della seconda stagione e Walt, Sawyer, Michael e Jin sono su una zattera nel disperato tentativo di lasciare l’isola. Gli ancora non meglio definiti altri li raggiungono con una barca, rapiscono Walt e distruggono la zattera. Mentre i tre rimasti cadono in mare, vediamo una manciata di fotogrammi che sono stati analizzati centinaia di volte dai fan della serie. Uno squalo passa davanti alla telecamera e sulla pinna ha… un logo. Un ottagono con un cerchio spezzato al centro. All’inizio si credette che il logo fosse uno scherzo del reparto grafico di Lost, ma gli sceneggiatori in seguito confermarono che la cosa era voluta: avevano appena iniziato a impiantare l’idea che attorno all’isola ci fosse un mistero molto più grande della botola che stava al suo centro. Un nuovo segreto da risolvere che prenderà il nome di Darmha Initiative.
5. I geroglifici
Gli sceneggiatori di Lost avevano l’abitudine di buttare il cuore oltre l’ostacolo, inserendo negli episodi misteri di cui — probabilmente — nemmeno loro avevano ancora inquadrato esattamente la soluzione. Sapevano più o meno dove sarebbero andati a parare, sapevano dove confluivano le trame, ma non sempre c’era una soluzione ovvia per ogni singolo dettaglio inserito nella serie. E se il motivo del logo sullo squalo è poi stato spiegato interamente, altrettanto non si può dire dei geroglifici che compaiono sul display all’interno della botola. C’è un conto alla rovescia che deve essere resettato ogni 108 minuti inserendo dei numeri in un computer, va bene. Ma perché quando i 108 minuti passano, sul display che mostra il conto alla rovescia appaiono dei geroglifici? Per nessun motivo. Né i collegamenti con l’antico Egitto dell’isola, né l’esoterismo della Darmha Initiative spiegano in alcun modo il perché di quei geroglifici. E anche se nel podcast ufficiale di Lost, Damon Lindelof, uno degli sceneggiatori della serie, ha spiegato il significato letterale dei geroglifici (vogliono dire «oltretomba») la cosa non cambia: li hanno messi lì per farci credere che ci fosse qualcosa dietro, quando dietro non c’era niente.
6. The Lost Experience
Questo non è nemmeno un momento di Lost, non fa parte della serie originale ma è piuttosto un pezzetto dell’universo più ampio della serie. La Lost Experience era un alternate reality game, un gioco misto a una campagna promozionale che nasce online e si sviluppa nel mondo vero, facendo saltare i giocatori dall’uno all’altro alla ricerca di indizi, tra siti fittizi, enigmi da risolvere e premi. Un esperimento che ha coinvolto i fan della serie, durante la pausa tra una stagione e l’altra di Lost, impegnandoli nel trovare alcuni piccoli video che facevano luce su ciò che stava dietro ai misteri di Lost, come la Hanso Foundation, società che ha creato la Darmha Initiative, e l’equazione di Valenzetti, una formula che dovrebbe servire a salvare il mondo dalla distruzione, in cui i numeri ricorrenti nella serie sono usati come costante matematica.
Lost è stata la prima serie televisiva a sperimentare così tanto con internet e a trovare così tanto riscontro online. Quando la serie è iniziata, Twitter era ancora a due anni dal nascere e Facebook ancora un fenomeno legato solo ai college americani, ma interi siti, forum e blog sono nati attorno a Lost e la Lost Experience è la conferma che gli autori avevano visto lungo riguardo la strada che avrebbe preso la televisione negli anni successivi.
7. «We have to go back»
È la fine della terza stagione di Lost e gli spettatori stanno pensando una cosa soltanto: questi non hanno la più pallida idea di quello che stanno facendo. Non sanno dove stanno andando. Non risponderanno mai a tutte le questioni che hanno aperto. Dal cappello, gli sceneggiatori tirano fuori uno dei conigli bianchi della Darmha e fanno ricredere tutti. Trasformano i flashback — i salti nel passato dei personaggi tipici di ogni puntata — in flashforward e dicono agli spettatori che non sono sanno esattamente dove andrà a parare la serie, ma sono pure disposti a farglielo vedere. E, infatti, la quarta stagione è interamente dedicata a dei salti in avanti nel tempo, che ci vanno vedere cosa è successo ai personaggi dopo che sono riusciti ad andarsene dall’isola.
8. The constant
C’è davvero poco da dire, è semplicemente la più bella puntata dell’intera serie, e dimostra quanto fossero bravi gli sceneggiatori quando si concentravano sui personaggi e non sui misteri. Una storia d’amore costruita sui salti temporali. È, da sola, un ottimo motivo per vedersi Lost, almeno fino alla quarta stagione.
9. Gira la ruota
Raccontare storie in televisione è molto difficile. È un processo che coinvolge centinaia di persone, tra scrittori, attori, registi, tecnici e interi dipartimenti dei canali televisivi. E la vita di una serie dipende da altrettanti fattori, non solo dal gradimento del pubblico. Lost, ad esempio, a un certo punto ha rischiato di crollare sotto il peso del suo stesso successo.
Gli autori hanno sempre detto di aver avuto in mente il finale di Lost fin dalla prima puntate e che l’unica cosa incerta sarebbe stato il tempo che ci avrebbero messo ad arrivarci. Nel 2007, alla fine della terza stagione, gli sceneggiatori hanno annunciato che avevano raggiunto un accordo con la rete e che il finale della serie sarebbe arrivato con la sesta stagione. Col senno di poi, l’impressione è che sia stata creata una stagione di troppo: per quanto ricca di spiegazioni e retroscena, la quinta stagione — innescata dallo spostamento dell’isola nell’ultima puntata della quarta — è inutile. Ci porta indietro nel tempo nel 1977 ma si conclude con Juliet che fa esplodere una bomba atomica che riporta tutti al presente, creando le premesse narrative per i flashsideway della stagione finale.
10. Il finale
Il finale di Lost è stato parecchio discusso, ha lasciato molti spettatori insoddisfatti e altrettanti lì a chiedersi che cosa avessero appena visto. Una risposta definitiva non c’è e probabilmente non ci sarà mai, ma nel febbraio del 2014 i membri del cast e i due produttori esecutivi si sono reincontrati per un incontro pubblico per festeggiare i 10 anni della serie. E alla domanda su cosa significasse il finale, sono stati meno evasivi del solito. Carlton Cuse ha raccontato che «Lost è una serie su delle persone che stanno su un’isola in mezzo al nulla ma, metaforicamente, è anche una serie su delle persone che sono perse e che stanno cercando una redenzione, un significato e un senso alle loro vite. Più parlavamo del finale di Lost più ci rendevamo conto che doveva essere qualcosa di spirituale. Doveva parlare del viaggio di queste persone e del loro destino. Non era una singola idea, erano una serie di conversazioni che ci portavamo dietro. Io e Demon [Lindelof] facevamo colazione nel mio ufficio ogni giorno e facevamo delle lunghe conversazioni sulla natura della serie, sul destino, su cosa significano tutte le nostre storie e su come siamo tutti qui ad aiutarci gli uni con gli altri nelle nostre vite. Volevamo che la serie riflettesse le cose in cui credevamo, i nostri desideri, le nostre speranze e i nostri sogni».
Lindelof ha continuato: «una delle teorie che gli spettatori si sono tirati dietro più a lungo era l’idea che Lost fosse una specie di purgatorio. Noi continuavamo a dire: “non è un purgatorio. Tutte queste cose stanno davvero succedendo, queste persone sono davvero sull’isola, stanno vivendo queste cose. Non faremo come ne Il Sesto Senso”. Ma comunque gli spettatori percepivano Lost in quel modo. E anche noi. Sentivamo che la serie avrebbe dovuto essere metatestuale in questo senso. Noi sceneggiatori abbiamo la tendenza a diventare molto pretenziosi quando siamo tra di noi e abbiamo iniziato a dire: “ovviamente ci sono tutti questi misteri riguardo alla serie. Non sarebbe bellissimo se nell’episodio finale di Lost rispondessimo a delle domande che la serie non ha mai sollevato? Ad esempio — non so — quale è il significato della vita e cosa succede quando moriamo?” [risate]. Tutto questo succedeva tra la terza e la quarta stagione mentre stavamo iniziando a pensare al finale. Sapevamo che la stagione quattro sarebbe stata fatta coi flashforward [i salti in avanti], sapevamo che la stagione cinque sarebbe stata con l’isola che si spostava nello spazio e nel tempo, ma non sapevamo cosa avremmo fatto con la stagione sei. Avevamo finito i flashback e avevamo finito con i flashforward. Volevamo che la stagione fosse ambientata nel presente. Cosa fare? Abbiamo avuto l’idea di inserire una realtà alternativa basata sul fatto che Juliet fa esplodere la bomba e crea un mondo in cui il volo Oceanic 815 non è mai caduto sull’isola e che, in realtà, è una parabola sull’aldilà».