Viva la FifaBaku, la nuova ricca frontiera del calcio europeo

Baku, la nuova ricca frontiera del calcio europeo

Che l’Azerbaijan fosse più in Europa che in Asia, in molti se ne sono accorti nel 2012. Due anni fa, la rinnovata capitale Baku ospitava l’Eurovision Song Contest, gara canora che ogni anno elegge i migliori cantanti del Vecchio Continente. Eppure, l’Azerbaijan guarda più a ovest che ad est già da tempo: nel 1996 cominciarono i primi accordi con la Ue, sfociati poi nel 2001 con l’ingresso della delegazione azera nel Consiglio d’Europa. Un legame che si è rinsaldato venerdì 19 settembre 2014 a Ginevra: qui la Uefa, il governo del calcio continentale, ha designato Baku come una delle sedi dei quarti di finale dell’Europeo “itinerante” del 2020. Il tutto, nonostante l’Azerbaijan sia un Paese non esattamente tra i primi nelle classifiche per il rispetto dei diritti civili, della libertà di stampa e della trasparenza nei rapporti tra potere e finanza.

Un’immagine da ripulire

Insomma, a Baku hanno avuto un’idea: sfruttare il calcio come veicolo di promozione di un brand nazionale da ripulire. Attorno al presidente Ilham Aliyev e al suo operato da anni pesano accuse di violazioni dei diritti umani. L’ultima risale allo scorso 23 aprile, quando il commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muiznieks ha aggiornato il proprio rapporto sullo stato del Paese, rispetto alla sua visita dell’agosto 2013: «Alcuni mesi dopo la pubblicazione del suo rapporto, il Commissario è rammaricato di dover notare che non ci sono stati progressi riguardo le questioni summenzionate; al contrario, il Commissario è stato informato di una serie di sviluppi che ulteriormente influiscono negativamente sulla situazione dei diritti umani in Azerbaijan». Una situazione fatta di limitazione alla libertà d’espressione e che talvolta si è tradotta in giornalisti e blogger incarcerati. Il tutto mentre proprio l’Azerbaijan si apprestava a guidare, come da turno per ogni Paese membro, proprio il Consiglio d’Europa.

Non che la situazione politica interna sia migliore. La storia dell’ascesa al potere di Ilham Aliyen ne è un perfetto esempio. Figlio di Meydar, 3° presidente della storia dell’Azerbaijan, dopo la caduta dell’Urss si è fatto le ossa come uomo d’affari tra Mosca e la Turchia. Meglio all’estero, visto che il suo Paese era impegnato nella guerra del Nagorno-Karabakh contro l’Armenia. Amante del gioco e delle donne, presto si è ritrovato con il portafoglio sgonfio, tanto da costringere il padre a ordinare la chiusura di tutte la case da gioco in patria. Ma Meydar non ha lasciato il figlio in braghe di tela. Anzi. Nel 1994 ha fatto in modo di dargli una poltrona da vicepresidente della State Oil Company of Azerbaijan Republic (Socar), l’ente petrolifero di Stato: un nome che ritroveremo presto.

Ma è nel 1995 che Ilham ha cominciato la carriera politica: viene eletto in Parlamento e al contempo diventa presidente del Comitato olimpico azero. Una carriera vissuta all’ombra del padre, fino al 2003. In agosto è eletto Primo ministro e dopo due mesi Meydar lascia la carica di presidente per motivi di salute, non prima di aver nominato il figlio candidato indipendente nella corsa a suo successore. Il 15 ottobre, Ilham vince le elezioni con il 76,8% dei voti. L’opposizione non accetta il risultato, supportata dalla segnalazione di irregolarità da parte dell’Ocse e dalla denuncia di Human Rights Watch sull’uso di fondi governativi per finanziare la campagna elettorale del neo presidente. 

I soldi del petrolio nel calcio che conta

Lontano dagli occhi, vicino al portafoglio. Se la campagna azera di valorizzazione del proprio brand nazionale attraverso il pallone avesse uno slogan, potrebbe essere questo. L’idea è quella di attirare gli investitori stranieri interessati a stringere partnership commerciali con Baku in nome del petrolio, di cui l’Azerbaijan è ricchissimo, sfruttando il pallone come veicolo commerciale e presentando il Paese come moderno e aperto ai costumi occidentali. Una strategia molto simile a quella usata dal Qatar: tra l’acquisto del Paris Saint-Germain, la relativa sponsorizzazione della Qatar Tourism Authority e il loro dalla Qatar Foundation, l’ambizione del Paese è quella di sfruttare i ricchi brand calcistici come veicolo d’immagine per i Mondiali del 2022, che si giocheranno proprio in Qatar. 

Per sua fortuna, l’Azerbaijan è un Paese ricchissimo di risorse naturali, soprattutto gas e petrolio. Grazie ad esse, il Paese ha visto una rapida ascesa del proprio Prodotto interno lordo: tra il 2001 e il 2009, la crescita media è stata del 16%, con un picco clamoroso del 35% nel 2006. Un risultato ottenuto grazie a tre fattori: l’aumento della produzione di idrocarburi e dei loro prezzi, assieme a un accrescimento della spesa pubblica. Nel 2011, il petrolio ha rappresentato il 65% del valore aggiunto dell’economia azera, mentre l’anno successivo il 73% del bilancio statale (circa 15 miliardi di euro) proveniva dall’oro nero. Un’economia che ha come principale protagonista la Socar. Il produttore di stato di gas e petrolio è un gigante dal valore di 20 miliardi di dollari, con stazioni di rifornimento in Georgia, Ucraina, Romania e Svizzera. Ma è anche uno dei simboli della scarsa trasparenza che esiste nei rapporti tra Stato e finanza. Secondo un’analisi di Transparency International denominata “Promoting Revenue Transparency in Oil and Gas companies” del 2011, la Socar è risultata ultima nelle classifiche della trasparenza dei propri affari, assieme ad altri giganti tra cui la Gazprom.

Il presidente di Socar è Rovnag Abdullayev, che oltre ad essere stato parlamentare tra il 2005 e il 2010, nel marzo 2008 è stato eletto anche capo della Affa, la federcalcio azera. Un evento non casuale e che marca i rapporti economici tra la Socar (cioè l’Azerbaijan) e gli altri Paesi. In particolar modo la Turchia, Paese nel quale finisce il grande oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan. E dal quale proviene la Tefken, gigante delle costruzione che oltre ad occuparsi della costruzione della piattaforma turca Star – nata dalla collaborazione tra Socar e Turcas Enerji nel 2006 – ha dotato Baku della nuova scintillante sede della Socar e, sempre nella capitale, sta mettendo in piedi il nuovo stadio olimpico

Già, perché Baku si sta candidando come vero e proprio polo d’attrazione sportiva per i prossimi anni. Dopo aver fallito l’assegnazione dei Giochi Olimpici del 2020, nel 2015 la capitale azera ospiterà nel nuovo Olympic Stadium i primi Giochi Olimpici Europei, mentre nel 2016 andranno in scena gli Europei Under 17 di calcio e, quattro anni dopo, parte dei quarti di finale dell’Europeo 2020.

Michel Platini elegge Baku come una delle sedi di Euro 2020 (Harold Cunningham / Getty Images Sport)

Ma l’intervento di Socar nello sport – e nel pallone in particolare nel calcio – non finisce qui: l’azienda di Stato sarà tra i principali sponsor di un altro Europeo di calcio, quello del 2016 in Francia, dopo aver fatto da partner a quello femminile nel 2013. «Siamo molto lieti di accogliere Socar fra i partner ufficiali delle competizioni per nazionali Uefa, come il Campionato Europeo Uefa 2016 e le partite di qualificazione europee 2014–17. Questa piattaforma offrirà a Socar un’opportunità unica di promuovere il suo marchio e coinvolgere l’utenza. L’intento di Socar di diventare una società energetica globale, e la nostra collaborazione, daranno nuove opportunità per promuovere il meglio del calcio europeo per nazionali a un più ampio bacino di tifosi», ha spiegato lo scorso anno ad accordo avvenuto Guy-Laurent Epstein, direttore marketing di UEFA Events SA. Al quale ha fatto eco  Elschad Nasirow, vice-presidente di Socar. «I contratti di sponsorizzazione nel settore sportivo sono per noi estremamente importanti, in particolare la collaborazione nell’ambito di un torneo così avvincente e di grande portata come il girone finale del Campionato Europeo. Grazie a questo contratto di sponsorizzazione abbiamo l’opportunità straordinaria di incrementare la popolarità di Socar a livello internazionale».

Atletico Land of Fire

Una popolarità che l’Azerbaijan cerca anche a livello di club. Dal 2012, l’Ente Nazionale del Turismo azero compare dall’anno scorso sulle maglie dell’Atletico Madrid, con il logo “Land of fire”. Un accordo che porta nelle casse dei Colchoneros 12 milioni di euro all’anno e che è stato di recente rinnovato. Una scelta non casuale, quella degli azeri: l’Atletico Madrid, secondo le rilevazioni di Brand Finance, è stato il terzo club al mondo con la migliore crescita del valore del brand (+34%), dietro solo ai brasiliani del Santos e ai tedeschi del Bayer Leverkusen. 

Giocatori dell’Atletico Madrid, squadra sponsorizzata dall’Ente Nazionale del Turismo azero (Javier Soriano / Afp / Getty Images)

La stessa strategia usata dalla Gazprom, sponsor non solo della Champions, ma anche di molti club europei e del prossimo Mondiale 2018. «La vittoria di mercoledì contro una squadra detenuta da più di 10 anni da un oligarca russo e giocata con a bordocampo la pubblicità di Gazprom, è stato l’ultimo esempio della politica di investimenti nello sport», scriveva lo scorso anno il “Guardian” dopo la semifinale di Champions League vinta dall’Atletico Madrid contro il Chelsea a Stamford Bridge.

Una sponsorship che non è piaciuta a tutti. Soprattutto a Reporters Without Borders, che nel 2013 definì l’Azerbaijan “Land of Repression”, dopo aver classificato il Paese 160° su 180 nell’annuale World Press Freedom Index. Un poco onorevole risultato che non ha frenato la partnership tra l’Azerbaijan e i Colchoneros. Anzi, il contratto è stato rinnovato e nella scorsa primavera l’Atletico è pure stato in gita a Baku, per una serie di allenamenti dimostrativi con alcuni giovani calciatori azeri. Un accordo molto simile a quello preso tra il Manchester United e la Backell, azienda di telefonia mobile azera, che prevede che lo staff dei Red Devils onorino la sponsorship del telefonini di Baku organizzando summit tecnici in Azerbaijan.

Una tipologia di accordi redditizia, sia per le squadre di calcio che per i Paesi dietro le sponsorship. Basta leggere le parole pronunciate da Zlatan Ibrahimovic, attaccante del Paris Saint Germain: «Oggi rappresentiamo la Francia, Parigi e il Qatar». Una rappresentanza che vale al brand del club parigino il 5° posto tra quelli con il maggiore tasso di crescita (+32,8%), mentre guarda caso altri brand della Ligue 1, il massimo campionato francese, sono crollati nell’ultimo anno: il marchio del Bordeaux ha perso il -30% del proprio valore, mentre quello degli acerrimi nemici del Psg, l’Olympique Marsiglia, è sceso del 34 per cento. E come in Qatar, la promozione del brand del Paese passa anche dal suo aspetto estetico-urbano. Baku è una città che negli ultimi anni è andata incontro ad una vera e propria trasformazione: tramite il Baku White City Project alcuni antichi quartieri sono stati rasi al suolo, per fare posto a nuove zone dirigenziali e residenziali. Certo, quasi 80mila abitanti sono stati sfrattati e non ricompensati adeguatamente, ma il Paese cresce a ritmi vorticosi e la capitale deve adeguarsi alle migliori città del mondo per bellezza e grandezza. 

Un’immagine dello sviluppo urbanistico di Baku (Giuseppe Cacace / Afp / Getty Images)

Un gioco per pochi oligarchi

Tra l’Azerbaijan e l’Atletico Madrid esiste un altro collegamento: Hafiz Mammadov. Gestore dell’ente nazionale del turismo la sponsorizza, Mammadov possiede anche delle quote del club spagnolo, oltre che del Porto. Amicissimo di Aliyev, negli anni ne ha condiviso lo stile di vita, soprattutto donne, orologi di lusso e vini francesi. Sarà stata quest’ultima passione a convincerlo a investire nella Ligue 1, dove ha acquistato il 60% del Lens, risolvendo ma solo parzialmente i problemi economici del club. Nel frattempo, ha messo sulle maglie giallorosse della squadra il logo “Land of Fire”; per i restanti soldi da mettere per garantire il futuro al club c’è tempo fino a gennaio 2015. 

A Baku, i giocatori della squadra locale di cui Mammadov è proprietario stanno ancora aspettando gli stipendi degli ultimi mesi. E in Inghilterra, ancora ci sono rimasti male per il fatto che non sia riuscito a comprarsi lo Sheffield Wednesday, dopo averci provato per mesi ma senza aver portato le necessarie garanzie economiche. Eppure Mammadov non se la passa male, essendo proprietario del gruppo Baghlan, attivo nei settori finanza e idrocarburi. Proprio come Tale Heydarov, figlio del ministro azero Kamaladdin e proprietario sia del club di calcio del Gabala che della holding Gilan, con interessi che svariano dal settore immobiliare all’agricoltura. Heydarov ha buoni rapporti con al Socar, che lo ha aiutato a trovare 75 milioni per un nuovo complesso sportivo comprensivo di uno nuovo stadio da 15mila posti, che dovrebbe aprire a fine 2014.

Non tutti però spendono e spandono. Due anni fa, mentre stava per affrontare l’Inter in Europa League, il Neftci Baku entrò per qualche giorno nel mirino dei giornali italiani. All’epoca si parlò di derby del petrolio con Massimo Moratti, ma si scoprì anche che il club bianconero era lontano dai fasti degli altri club: il proprietario Sadiq Sadiqov spiegò che la sua squadra aveva un budget di 7 milioni di euro e che il suo giocatore più pagato prendeva 300mila euro di stipendio. 

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