Come la pensano gli italiani lo si può comprendere anche dalle lettere ai giornali. C’è un sito, in Italia, che, quotidianamente, pubblica le lettere più interessanti, www.carodirettore.eu, nato per iniziativa dell’Azienda di soggiorno e turismo di Bolzano. Linkiesta ne propone qualcuna, rimandando al sito i lettori che vorranno avere un panorama ancora più vasto di ciò che gli italiani scrivono ai giornali, quotidiani e periodici.
La ricetta di una liceale per curare la scuola
Sono una studentessa del secondo anno di liceo scientifico. Sento di nuovo parlare di riforma della scuola. Ho sentito tredicenni dire “I has thirty year old”, adulti affermare “Le carote fanno abbronzare perché contengono carotina”, compagni di classe raccontare che le gesta di D’Annunzio si sarebbero svolte “su un Fiume”, precisando che si trattava del Po. Leggere che il governo ha definito l’esame di terza media troppo vasto e profondo per quattordicenni mi lascia perplessa. Credo che il problema non sia l’esame “troppo vasto e profondo”, bensì “troppo superficiale e ridotta” la preparazione. Alla fine non si sa mai se la responsabilità sia degli studenti che non vogliono studiare, degli insegnanti che non sanno insegnare o della mancanza di fondi. Faccio un esempio: si vuol puntare sull’inglese fin dalle elementari. Se si parla di insegnanti madrelingua, ben venga, se, invece, si parla di aumentare le ore per un corpo docente demotivato e talvolta non qualificato, non ci stupiamo poi se i nostri giovani ministri ai summit mondiali parlano come bambini di sei anni.
Giulia Mori, Firenze, [email protected], la Repubblica, 13 settembre
La ferocia perbenista nel giudicare Napoli
Sono agghiacciato dai commenti sulla morte di Davide, vomitando sentenze che oscillano tra l’ovvio e l’assurdo. Ovvio, come il fatto che ci si debba fermare all’alt dei carabinieri. Assurdo, come il fatto che la conseguenza di questa violazione sia la legittimità a fare fuoco, l’idea che su teppisti e delinquenti — prodotti della nostra società che non sa includere né perdonare — si possa infierire prima e dopo l’arresto. È agghiacciante la ferocia perbenista di questo squallido ceto medio, che ha gioco facile a sentirsi migliore di ragazzi cresciuti in famiglie senza istruzione negli squallidi rioni dell’edilizia laurina, che ha frequentato scuole fatiscenti, deprivato di ogni opportunità, schiacciato fra la camorra e lo Stato connivente. Un ceto medio di grigi impiegati arricchiti, che a sera si rintanano nelle loro case coi loro televisori giganti, di giovani rampanti che magari vanno all’università a studiare l’inglese, e talvolta sono persino meridionali, e che fanno da megafono a quegli scienziati leghisti che, invece di sentenziare sull’ovvio, farebbero meglio a curarsi di quelli che, a casa loro, si fabbricano i carrarmati nello scantinato di casa per marciare su Venezia.
Michele Di Mauro, Napoli, la Repubblica, 13 settembre
Quella pubblicità è un insulto sessista
Sono nuovamente costretta a segnalare una pubblicità offensiva nei confronti della donna: è la pubblicità della patata Eldorada interpretata da Rocco Siffredi, con le allusioni del caso mentre vede passare tante belle donne. Può essere accettabile un simile insulto che vuole sempre identificare la donna con il suo organo sessuale, qui volgarmente definito? Su RaiUno? La presidente Tarantola non ha niente da eccepire? E la presidente della Camera Laura Boldrini? Dopo anni di battaglie contro stereotipi sessisti siamo sempre al punto di partenza? Desolata, scoraggiata, ma non vinta propongo, oltre al ritiro immediato della pubblicità, un boicottaggio del prodotto.
Francesca Brezzi, presidente Osservatorio interuniversitario studi di genere, la Repubblica, 14 settembre
Carioca non è sinonimo di brasiliano
Leggo su “Il Sole 24 Ore” che usate il termine “carioca” come sinonimo di “brasiliano”. A voi questo tipo di errore frequentissimo e grossolano non è concesso. Il vostro giornale non può e non deve ignorare certe distinzioni semantiche. E, allora, si tengo a chiarivi che “carioca” si riferisce esclusivamente all’abitante di Rio de Janeiro e non può, in nessuna ipotesi, essere sinonimo di “brasiliano”. Scusate lo sfogo, ma da italo-brasiliana e poliglotta questa mancanza di attenzione e di rispetto per le lingue da parte degli italiani in generale mi colpisce molto e mi infastidisce.
Lucia Guidicini, Il Sole 24 Ore, 14 settembre
Enti incapaci utenti vessati
Ho ricevuto il tecnico per l’annuale controllo della caldaia prima dell’inizio della stagione invernale. Effettuato il controllo (pagato in contanti) e la verifica biennale il tecnico mi ha comunicato che, per quanto atteneva alla verifica, non potevo pagare né avere il relativo bollino in quanto l’ufficio del Comune non ha inviato i bollini di effettuata verifica. Il tecnico mi ha invece rilasciato un foglio che conteneva il numero di conto con l’importo da pagare (5,60 euro) intestato ad “Ati – verifiche per Roma capitale”. Causale: autocertificazione bollino 2014. Oltre a ciò il sottoscritto dovrà inviare (entro 30 giorni dal controllo) copia del pagamento e del rapporto tecnico sia per raccomandata che con una mail. Ora mi domando e domando a tutti i romani quanto tempo perso, quanti disagi, quante file all’ufficio postale, quanti soldi spesi oltre che per il conto corrente anche per l’eventuale raccomandata che il cittadino è costretto a subire perché l’ufficio “Ati – verifiche per Roma capitale” non ha inviato ai tecnici i bollini che certificano la verifica effettuata. Perchè non viene chiesto al dirigente di quell’ufficio il motivo per cui non sono stati inviati i bollini di verifica? Forse è chiedere troppo al dirigente di fare il proprio dovere, tra l’altro previsto per legge? Possibile che si debba sempre scaricare sulle spalle degli utenti tutti gli adempimenti possibili, anche quelli che competerebbero all’ente? Basta con questa burocrazia, con la superficialità nel lavoro e con la certezza dell’impunità.
Francesco Caiola, Roma, Il Messaggero, 14 settembre
Eni e corruzione industriale: sarebbe meglio chiudere un occhio
Vengo a conoscenza dell’ennesimo caso di indagine da parte delle procure nei confronti di amministratori aziendali per l’ipotesi di «corruzione internazionale». Ritengo che nel mondo certe pratiche siano purtroppo quasi necessarie per la riuscita di certi affari; gli italiani si comportano come tutti gli altri — americani, francesi, cinesi o tedeschi che siano — per portare a casa il risultato ed è un idealista chi volesse affermare che in realtà nel mondo la concorrenza si basa su principi di lealtà. Per quanto riguarda l’ambito interno, sono assolutamente d’accordo nel sostenere l’idea secondo cui tra ditte italiane che danno lavoro ad italiani ci debba essere una competizione leale e legale: qualora una si avvalesse della corruzione per spuntarla sulle altre, dovrebbe essere severamente condannata. Nell’ambito internazionale, però, visto come funzionano le cose, non si potrebbe chiudere un occhio e lasciare che le nostre aziende, facendo i loro interessi, riportino un successo anche per la nostra comunità nazionale?
Luca Polles, [email protected], Corriere della Sera, 15 settembre
Nigeria: senza tangenti non si fanno affari
Leggo che i vertici dell’Eni sono stati indagati per fatti corruttivi in Nigeria. Senza entrare nel merito, preciso che ho lavorato per diversi mesi in quel Paese dove, se le aziende non pagano (americani compresi), non fanno affari né grandi né piccoli. Tutti i governi ne sono a conoscenza, tanto che alcuni di essi, addirittura, riconoscono gli extracosti in detrazione dei redditi. Perché soltanto in Italia si comportano da ipocrite anime belle?
Fausto Floreani, Majano (Ud), Corriere della Sera, 15 settembre
Quando la classe operaia resiste all’illegalità
Condivido in pieno quanto scritto dal signor Schioppa a proposito delle 2 Napoli in guerra tra loro. Ma vorrei aggiungere una considerazione. A dimostrazione del fatto che la base economica, le strutture produttive, ed il lavoro sono gli unici strumenti che generano dignità, ci sono quartieri di Napoli, come Bagnoli, Barra, Ponticelli, dove una lunga tradizione operaia permette (non so per quanto ancora) un tessuto sociale di onestà, solidarietà e rispetto del lavoro, anche per i giovani figli di quella classe operaia: sottoproletariato e camorra trovano un terreno più difficile, nonostante le «distrazioni» della classe dirigente.
Sergio Bovenzi, [email protected], la Repubblica, 16 settembre
Lo stop alla corruzione meritava un decreto
Nell’Italia della corruzione dominante, il Governo annunciava che voleva varare efficaci misure contro la corruzione, tra cui l’interruzione della prescrizione dei reati che dovrà scattare però solo dopo la sentenza di primo grado. Tutto questo è stato rimandato peraltro a un disegno di legge senza urgenza, misura che varrà solo per i processi futuri. Tale riforma è insufficiente perché molti processi per corruzione e truffa ed altri gravi reati si prescrivono prima di arrivare alla sentenza di primo grado, facendo cadere anche i sequestri dei beni. In molti Paesi europei e civili la prescrizione si interrompe con il rinvio a giudizio e questa sarebbe una misura seria. Inoltre perché, a costo zero, oltre a una robusta depenalizzazione e riduzione di appelli e ricorsi non si impone una durata massima ai processi con udienze straordinarie e con adeguate risorse personali e finanziarie? L’emergenza non si risolverà solo col demagogico taglio delle ferie dei magistrati addirittura con decreto legge. Gli altri provvedimenti non meritavano un decreto legge?
Lettera firmata, Roma, la Repubblica, 16 settembre
Rilascio di certificati: che differenza tra Italia, Francia e Danimarca
Purtroppo, come molti altri giovani connazionali, mi trovo a dovere fuggire all’estero in cerca di opportunità di lavoro. In alcuni Stati, le procedure di visto lavorativo richiedono la presentazione del documento relativo alle eventuali precedenze penali per tutti i paesi ove il soggetto ha vissuto per oltre un anno. Così, scopro che in Francia e Danimarca (attraverso un corpo di polizia), mi inviano in pochi giorni, a seguito di una mail, il documento via posta (senza aver pagato alcun euro): la Francia in due copie come richiesto, mentre la Danimarca lo ha inviato addirittura in 5 lingue, tra cui l’inglese. D’altronde tradurre “nulla” in 5 lingue non deve essere poi così difficile. Infine, l’Italia! Obbligatoriamente mi reco presso la Procura della Repubblica (aperta solo dalle 9 alle 12). Presento un bollo base da 16 euro, più un secondo bollo di 3 euro che può essere accompagnato da uno di 7 euro per ricevere immediatamente il certificato (che efficienza!). Chissà se posso ricevere il documento anche in lingua inglese. Lo sbigottimento e gli occhi smarriti dei preseti mi fanno capire che forse, se lo avessi richiesto in lingua friulana, avrei avuto maggior fortuna. Ovviamente, la richiesta di una seconda copia impone un secondo pagamento di bolli e con una spesa di oltre 80 euro riuscirò a ricevere la traduzione autenticata del documento. Speriamo, almeno, che queste spese da me sostenute aiutino l’economia e non la burocrazia!
Filippo Comelli, [email protected], Corriere della Sera, 16 settembre
Mica facile iscriversi alle liste di mobilità
Riuscirò ad iscrivermi nelle liste di mobilità? A luglio ricevo la lettera di licenziamento dal mio datore di lavoro, dopo 16 anni e due di cassa integrazione, nella quale mi viene comunicato che dall’11/09/14 posso iscrivermi nelle liste di mobilità tramite il Centro per l’impiego. Giovedì 11/09 vado al Centro per l’impiego di Asti e dopo due ore, tra attesa, iscrizione nella loro anagrafica e colloquio ad uno sportello, esco con alcuni documenti ed una lista di patronati dove recarmi per potermi iscrivere. Venerdì 12/09 raggiungo uno di questi patronati i quali, però, mi comunicano che devo rivolgermi all’Inps perché «tanto se telefoniamo non rispondono». Lunedì 15/09, mi presento ad un sportello dell’Inps di Asti e qui mi dicono che devo rivolgermi ad un patronato, perché sono loro che provvedono all’iscrizione nelle liste di mobilità. Siamo in Italia, cosa dovevo aspettarmi ! Pensavo, visto che tutto è informatizzato, che una iscrizione del genere fosse una cosa da niente!
Monica Nebiolo, La Stampa, 16 settembre