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Cie: metà sono chiusi, gli altri non servono

I Centri di Identificazione ed Espulsione in Italia sono undici, di cui solo cinque sono funzionanti a oggi. I sei che mancano all’appello (Brindisi, Crotone, Gorizia, Trapani-Serraino Vulpitta, Bologna e Milano) sono temporaneamente chiusi per lavori, in attesa di definire le procedure per l’aggiudicazione della gestione, oppure attualmente utilizzati come centri di prima accoglienza. Sono chiusi, per lavori o perché in attesa della definizione delle procedure di aggiudicazione della gestione, i Cie di Brindisi, Crotone, Gorizia. Il Cie di Trapani-Serraino Vulpitta è in via di riconversione in centro di accoglienza per richiedenti asilo. I centri di Bologna e di Milano dal mese di agosto 2014 sono utilizzati come centri di prima accoglienza.A fotografare e monitorare la situazione dei Cie italiani è la Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, guidata dal senatore Luigi Manconi.

IL REPORT DELLA COMMISSIONE STRAORDINARIA

Il rapporto approvato dalla stessa Commissione lo scorso 24 settembre 2014 riporta i dati e le attività di monitoraggio svolti dall’organismo parlamentare che in questi mesi si è recato in missione anche presso i centri raccogliendo le storie degli immigrati trattenuti.

Storie di immigrati arrivati a bordo dei cosiddetti “barconi” diretti sulle coste italiane, ex detenuti, ma anche vicende di chi, dopo 20, anche 40 anni di permanenza in Italia si ritrova a dover fare i conti con un periodo di limitazione della libertà pressoché immotivato. Per esempio il caso di una donna sessantenne di etnia rom sul territorio italiano da quarant’anni, e possibile titolare di status di apolide in quanto proveniente dalla ex-Jugoslavia, trattenuta presso il Cie di Ponte Galeria. Dopo due mesi la donna ha preso la via dell’uscita dal CIE solo grazie al provvedimento di sospensiva che il suo avvocato è riuscito ad ottenere.

Caso analogo, rilevato dalla Commissione, quello di una signora di nazionalità cinese sposata con un cittadino italiano. La commissione la incontra sempre al Cie di Ponte Galeria, dove è rimasta per trenta giorni causa il ritardo nel rinnovo del permesso di soggiorno. «Nonostante la posizione sia chiara e facilmente sanabile — rileva la commissione — il trattenimento è spesso convalidato».

«Non è raro il caso di chi, nonostante sia in Italia da molti anni e qui abbia portato avanti un percorso di formazione e di vita, rischi di essere rimpatriato»

Insomma, il fenomeno che appare grave nel trattenimento all’interno dei Cie, riguarda cittadini nati e cresciuti in Italia. Dalle carte del rapporto si apre il ventaglio delle situazioni possibili: «La prima riguarda chi ha sempre avuto un permesso di soggiorno e al compimento dei diciotto anni non è riuscito a rinnovarlo trovandosi così in una situazione di irregolarità. La seconda comprende chi è nato in Italia ma non è mai stato regolare. Il passaggio alla maggiore età è un momento critico perché il permesso di soggiorno deve essere legato alla frequentazione di un corso di studi oppure alla firma di un contratto di lavoro. Ma non è detto che queste due condizioni ci siano. Non è raro il caso di chi, nonostante sia in Italia da molti anni e qui abbia portato avanti un percorso di formazione e di vita, rischi di essere rimpatriato».

CHI C’È NEI CIE?

Richiedenti asilo che hanno potuto formalizzare la propria domanda solo dopo la ricezione di un provvedimento di respingimento o di espulsione, ex detenuti che, scontata la pena vengono trasferiti nei Cie in attesa di identificazione e rimpatrio oppure persone che per lunghi periodi, come si scriveva, hanno risieduto a lungo nel Paese e che non avendo rinnovato il permesso di soggiorno per qualche ragione sono diventati irregolari.

Rapporto Cie from Luca Rinaldi

Storia particolare in questo senso è quella di Ali Abdul Atumane. Nel 1995 arriva in Italia a diciotto anni con un permesso di soggiorno per motivi di studio. Per tredici anni ha avuto documenti in regola, fino a che per un intoppo burocratico non riesce a rinnovare il permesso di soggiorno e durante un controllo delle forze dell’ordine viene trasferito al Cie di Ponte Galeria con la successiva convalida del giudice di pace. Intanto interrompe gli studi universitari e si ritrova a dover presentare domanda d’asilo, ottenendo poi il riconoscimento della protezione internazionale.

Dopo anni in Italia si è trovato, senza aver di fatto commesso reati, in una situazione di privazione della libertà con l’eventualità di essere rimpatriato al suo Paese natale, il mozambico. A oggi, All’interno dei centri di identificazione e di espulsione sono trattenute le donne e gli uomini sprovvisti di un valido titolo di soggiorno in Italia. Nello specifico:

–  persone adulte; 

–  persone che non hanno mai avuto un documento regolare per la permanenza in Italia; 

–  persone che erano in possesso di un documento regolare e non sono riuscite a rinnovarlo; 

–  persone nate in Italia o giunte minorenni, che a diciotto anni non hanno potuto rinnovare il documento per la raggiunta maggiore età; 

–  apolidi che non hanno fatto la richiesta perché gli sia riconosciuto quello status; 

–  richiedenti asilo che non hanno presentato la domanda al momento dell’arrivo in Italia; 

– ex-detenuti. Questi ultimi sono in maggioranza all’interno dei Centri

I DATI: CIE POCO UTILI ANCHE PER I RIMPATRI

I numeri parlano chiaro: i Centri di Identificazione e di Espulsione servono poco, anche alle politiche di rimpatrio. Secondo i dati della Polizia di Stato, nel 2013 sono stati 6.016 (5.431 uomini e 585 donne) i migranti trattenuti in tutti i centri di identificazione ed espulsione operativi in Italia; meno della metà di essi (2.749) è stata però effettivamente rimpatriata.

Dai numeri si ricava che i Cie, nonostante le condizioni di vita dei trattenuti, per nulla ottimali, risultano sottoutilizzati. Insomma, conclude la commissione «a fronte della spesa minima di 55 milioni di euro l’anno relativa ai Cie, i risultati ottenuti in termini di rimpatri effettivi sono stati modesti e lontani dalle aspettative: tra il 1998 e il 2012 su 169.126 persone transitate nei centri, sono state 78.081 (il 46,2 per cento del totale) quelle effettivamente rimpatriate».

«Tra il 1998 e il 2012 su 169.126 persone transitate nei centri, sono state 78.081 (il 46,2 per cento del totale) quelle effettivamente rimpatriate»

Inoltre, nel dicembre 2011 sono stati tagliati i costi di funzionamento dei Cie, imponendo una spesa pro capite/pro die pari a 30 euro più IVA, molto bassa e insufficiente a garantire la qualità minima dei servizi e il rispetto delle condizioni minime di tutela della dignità delle persone trattenute».

A peggiorare ulteriormente la situazione c’è la valutazione delle offerte economiche sugli appalti: per l’assegnazione della gestione dei centri viene adottato come unico criterio, quello dell’offerta economica minima, indipendentemente dalla qualitàdei beni e dei servizi garantiti, «determinando – scrive la commissione nella risoluzione dello scorso 5 marzo – un ulteriore e insostenibile scadimento delle strutture e dei servizi e un aumento delle proteste da parte dei trattenuti».

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