Parliamo anche oggi di mercato del lavoro, ma cambiamo argomento. Basta articolo 18. C’è vita oltre il Jobs Act e dispute annesse.
Forse può essere interessante, soprattutto per chi ha figli in età scolare, chiedersi invece quali tipi di occupazioni saranno prevalenti mel prossimo futuro, diciamo tra venti-trent’anni, quali diventeranno obsolete e quali invece si diffonderanno. In mancanza di una sfera di cristallo, l’unico modo per cercare di capirlo è guardarsi indietro e analizzare l’evoluzione della struttura occupazionale del mercato del lavoro cercando di coglierne i trend di fondo.
David Autor, economista del lavoro del MIT, ha rilevato come negli Stati Uniti, nel corso delle ultime decadi, si sia registrato, insieme ad una crescente diseguaglianza salariale, un peculiare pattern dell’occupazione: è aumentata sia la quota di occupazione relativa a qualifiche molto elevate (ingegneri, manager, ecc.) che quella relativa a qualifiche molto basse (camerieri, addetti alle pulizie, etc.); si è ridotta invece la quota di occupazione relativa a qualifiche intermedie (ceto impiegatizio, ecc.). Questo fenomeno, che riguarda anche l’Europa (ivi compresa l’Italia) ed è rappresentato nella figura 1 (tratta da Autor e Dorn, 2013), viene chiamato polarizzazione.
A cosa è dovuta la polarizzazione dell’occupazione? Al momento, l’ipotesi più accreditata è che questa polarizzazione sia dovuta alla complessa interazione tra il crescente utilizzo dei computer e le mansioni richieste sul posto di lavoro. L’idea è che i computer e i robot possano efficacemente sostituire soltanto mansioni routinarie e facilmente codificabili, tipiche di molte occupazioni impiegatizie; e siano invece inadatti a sostituire sia mansioni che richiedono creatività, flessibilità e valutazioni soggettive (in generale, compiti astratti), che mansioni manuali, ma non routinarie, tipiche dei lavori poco qualificati nel settore dei servizi.
Attraverso questo meccanismo il progresso tecnologico può generare un andamento simile a quello osservato nella figura 1 perché induce una riduzione della domanda di mansioni routinarie (es. lavori impiegatizi); ha scarso impatto sulla domanda di mansioni manuali ma non routinarie (es. servizi alla persona); e induce un incremento della domanda di lavoratori capaci di assolvere mansioni astratte nella misura in cui i computer ne facilitano l’assolvimento, cioè nella misura in cui i computer non solo non sostituiscono mansioni astratte ma ne sono addirittura complementari.
Abbiamo guardato al passato, osservato quello che sta succedendo e proposto una spiegazione plausibile. Ma cosa succederà nel futuro? Il fenomeno della polarizzazione si intensificherà, arrivando a spiazzare un numero crescente di lavoratori – magari sempre più qualificati – mano a mano che il progresso tecnologico farà il suo corso? Probabilmente no, non solo perché già osserviamo nel corso degli anni duemila un addolcimento di questa tendenza, ma anche perché la tecnologia – mentre rende obsolete alcune mansioni – ne crea di nuove e rende più produttive le mansioni alle quali è complementare.
Il pessimismo di matrice neo-luddista di molti è dovuto al fatto che, mentre è facile individuare le mansioni che saranno sostituite del progresso tecnologico, è molto più difficile individuare quelle che ne beneficeranno. La sovrastima della minaccia che la tecnologia porta al lavoro umano è stata una costante negli ultimi secoli. Nel 1900 il 41% della forza lavoro degli Stati Uniti era impiegata nel settore agricolo. Nel 2000 la percentuale era inferiore al 2%. Era in effetti molto difficile nel 1900 prevedere che nel giro di cento anni i settori della sanità, della finanza, della tecnologia avrebbero assorbito una così grande quantità di lavoratori.
Probabilmente, il momento che viviamo è simile. In ogni caso, conclude Autor (2014), “human capital investment must be at the heart of any long-term strategy for producing skills that are complemented rather than substituted by technology” (l’investimento nel capital umano deve essere al centro di qualsiasi strategia di lungo periodo che punti a creare competenze che sono complementari – e non sostituite – dalla tecnologia). Insomma, oggi più di ieri è importante studiare per imparare ad assolvere mansioni non sostituibili dai computer, mansioni astratte che richiedono flessibilità e soggettività.
Per saperne di più:
Autor, David H., (2014). Polanyi’s Paradox and the Shape of Employment Growth, NBER WP 20485.