Fallimenti: raccogliamo altri cocci

Fallimenti: raccogliamo altri cocci

Impressionante l’anticipazione dei dati dell’osservatorio Cerved sui fallimenti: +14% nel 2° trimestre rispetto al secondo trimestre del 2013. Soprattutto ricordando che 4.241 procedure fallimentari aperte in tre mesi sono solo la punta terminale di un processo lungo e penoso di crisi di piccole e grandi imprese, che per ogni impresa che fallisce ce ne sono almeno altre cinque che stanno ancora lottando per evitarlo e che ogni fallimento distrugge crediti commerciali e comporta danni ad altre imprese.

Questa marea inarrestabile di imprese che vanno in pezzi, travolte da crisi economica, pagamenti dello Stato che non arrivano, errori manageriali e stretta creditizia deve preoccupare e molto il sistema bancario che subisce danni notevoli da ogni fallimento e che registra lo stato finale delle imprese nella voce sofferenze. E dunque si spiega come mai, nonostante il freno agli impieghi e la maggiore cautela nell’erogazione, le banche italiane stiano continuando a generare sofferenze a un ritmo di crescita pauroso. Da gennaio 2014 a luglio – secondo i dati della Banca d’Italia le sofferenze sui crediti alle imprese sono cresciute a tassi compresi tra il 29% e il 33 per cento. Il leggero calo mostrato nella curva rossa del grafico non può indurre ad alcuna celebrazione. La riduzione è del tutto modesta, il ritmo di crescita è salito dal 15% del 2012 al 30%, in parte per un processo di maggiore trasparenza voluto da Bce e Banca d’Italia, in parte per gli effetti della crisi che sono economicamente immediati, ma finanziariamente sempre a scoppio ritardato.

fonte: elaborazione su dati Banca d’Italia

Stiamo semplicemente raccogliendo i cocci di un sistema che non ha schermato le nostre imprese dal rischio d’insolvenza per mancanza di liquidità. Colpe equamente distribuite tra Stato, che ha esercitato folle pressione fiscale senza offrire veri percorsi di salvataggio, imprenditori che hanno commesso elementari errori gestionali e banche che non hanno saputo prevedere e prevenire il decadimento delle loro posizioni di credito, evitandosi l’onta di raccogliere i cocci nei tribunali fallimentari.

Ma la cosa più preoccupante è che l’onda non è finita, anzi minaccia una recrudescenza, perché come qualcuno ha scritto su Twitter “la nuova recessione sta spingendo fuori dal mercato anche imprese che avevano superato la prima fase”, il sistema bancario è incapace di fare fronte alle richieste di ristrutturazione del debito in tempi necessariamente brevi e lo Stato non ha ancora immesso tutta la liquidità che ha tolto alle imprese non pagando decine di miliardi di debiti arretrati. Nessun miglioramento in quattro anni, nessun protocollo straordinario di cura. I numeri non mentono mai.

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