Ritorno al 2000: è dall’anno ricordato per lo scoppio della bolla delle dot.com che non c’erano così tante quotazioni a Wall Street e soprattutto che non si raccoglievano così tanti capitali nei primi otto mesi dell’anno. Da gennaio a oggi le 188 società statunitensi che hanno effettuato delle Ipo (offerte pubbliche iniziali) hanno raccolto 46,4 miliardi di dollari. Se si contano anche le registrazioni iniziali non portate, il conto sale a 261, una cifra mai vista dopo la crisi finanziaria iniziata nel 2007. E ancora, per quest’anno, non si è avuto che l’antipasto.
Come ha ricordato il Wsj, l’immobiliarista di New York Paramount Group, specializzato in uffici, ha registrato i documenti preliminari per la quotazione alla fine di agosto, per quello che potrebbe essere il maggiore debuto di sempre di un fondo di investimento nel real estate. Ci si aspetta che anche la start up dello spazio di archiviazione online Box Inc. e l’ultima arrivata nel credito al consumo, LendingClub Corp. arrivino in borsa. Ma la vera quotazione dell’anno sarà quella di Alibaba, il gigante dell’e-commerce cinese. Se le previsioni si realizzassero, la quota di capitali raccolta potrebbe arrivare a 20 miliardi di dollari, quasi la metà di quanto ottenuto finora da tutte le altre aziende al debutto.
A trainare questa primavera borsistica sono stati tre settori: la tecnologia, soprattutto per l’emergere dei business basati sul cloud; l’energia, in particolar modo quella legata al boom di trivellazioni di shale gas; e le biotecnologie. Un articolo di Quartz ha ricostruito in dettaglio i maggiori protagonisti per ciascuno dei tre settori.
Anche per i mesi a venire i nuovi ingressi a Wall Street saranno in larga parte rappresentati dai settori della salute e dell’energia. Al New York Stock Exchange a metà ottobre sarà anche la volta di Fca, la società di diritto olandese in cui confluirà Fiat con la controllata Chrysler, così come stabilito dall’assemblea straordinaria del primo agosto.
C’è poi il contesto macroeconomico: «Con tassi di interesse bassi e con una buona crescita dei rendimenti aziendali, e nessun altro posto dove investire, l’appetito per il rischio è vivo e vegeto», ha sintetizzato al Wsj un gestore del fondo William Blair Funds.
Il rischio infatti è connaturato alle aziende che sbarcano in Borsa, soprattutto se le quotazioni sono alte come quelle di quest’anno. La mediana del price-to-sales, ossia il valore delle azioni comparato ai ricavi dell’anno precedente, per le Ipo del 2014 è stata pari a 8,2. Per fare un confronto, questo valore nei 12 anni precedenti era stato di 3,6. C’è quindi una sopravvalutazione delle aziende, in buona parte dovuta alla nutrita presenza di aziende di biotech, che spesso si quotano senza avere ancora raggiunto dei fatturati significativi. Ma anche escludendo queste società la mediana del price-to-sales rimane sopra la media, a quota 4,2.
C’è quindi da temere una nuova bolla? Per gli esperti sentiti dal Wall Street Journal non troppo, perché le aziende che si quotano oggi sono generalmente più solide che alla fine degli anni Novanta e nei primi anni Duemila, quando sbarcavano società dot-com che non avevano quasi niente di più di un piano di marketing e un nome accattivante.