Giuseppe stanotte non ha dormito bene. Generalmente è al mattino che compie i suoi esercizi di riabilitazione, ma oggi non si sente in forma. È debole, e decide di non farli. Dopo pranzo però il suo umore cambia, e sembra pronto. Va davanti alla TV e inizia la sua sessione di riabilitazione con Rewire. Carlotta invece, in un’altra parte della città, sta eseguendo i suoi esercizi riabilitativi, ma oggi il suo punteggio è piuttosto basso. Il sistema non ha rilevato nessuna differenza significativa rispetto ai giorni precedenti, “intuendo” che si tratta solo di una questione di motivazione.
Il terapista virtuale allora abbassa leggermente il livello di difficoltà degli esercizi e cerca di spronarla: «Dai Carlotta, le tue abilità motorie stanno migliorando, abbi pazienza, non mollare, cerca di colpire più bersagli possibile». Giuseppe e Carlotta sono ipotetici esempi di soggetti costretti a seguire dei programmi di riabilitazione, per via di problemi posturali, per esempio, o in seguito a un ictus. Normalmente entrambi si sarebbero recati in ospedale o in centri specializzati quasi tutti i giorni per seguire la terapia. Ma oggi è in corso di sperimentazione un sistema che permette di eseguire gli stessi esercizi comodamente a casa, con un videogioco.
«Questo non esclude l’interazione fisica con il terapista che è sempre necessaria» spiega a Linkiesta Alberto Borghese, professore presso il Dipartimento di informatica dell’Università degli Studi di Milano, a capo del progetto Rewire (Rehabilitative Wayout in Responsive Home Environments), «ma non deve essere necessariamente quotidiana». Oggi un paziente che ha bisogno di riabilitazione fa avanti e indietro dal centro tutti i giorni, e questo non sempre è possibile se abita in zone lontane dal luogo in cui effettua la riabilitazione. Inoltre le risorse economiche messe a disposizione per un paziente che necessita di terapia sono sempre meno. Con la conseguenza che spesso viene sovvenzionata dallo Stato per un breve periodo e poi resta a carico del cittadino, il quale dopo un po’ abbandona a causa del costo elevato. Aumentando così il rischio di recidive o, ancor peggio, di tornare a una situazione cognitiva e fisica precedente alla terapia.
Per questo oggi la riabilitazione a casa è una delle strade più seguite, sostenuta in particolar modo anche dalla Commissione europea, che nel giro di qualche anno ha finanziato due dei progetti italiani partiti dal laboratorio di Borghese, in collaborazione con altri centri europei. L’ultimo, Rewire, nato con l’obiettivo di riabilitare il paziente dopo l’ictus a casa propria, è stato finanziato per 2730 mila euro nell’ambito del 7° Programma Quadro dell’Unione Europea, e conta il coinvolgimento di nove strutture universitarie europee e due partner commerciali italiani, coordinati dall’Università degli Studi di Milano.
«La nostra idea è che il paziente possa recarsi nei centri per incontrare il terapista non tutti i giorni ma solo quando serve, una volta ogni 15 giorni o ogni mese, e nel frattempo viene seguito a casa» continua Borghese. Come? Attraverso dei videogiochi realizzati ad hoc con l’obiettivo di far compiere al paziente gli esercizi di cui ha bisogno, mascherati da un gioco che li renda meno noiosi. Il gruppo di ricerca di Borghese in questi anni si è occupato di sviluppare un vero e proprio motore di gioco su cui poi far girare giochi specifici a seconda del tipo di terapia di cui il paziente ha bisogno. «I giochi coinvolgeranno un terapista virtuale, che è in grado di fornire un feedback al paziente quando sta giocando, se sta sbagliando, sta eseguendo l’esercizio correttamente, cosa può migliorare, quanto gli manca per arrivare a soddisfare le richieste del terapista e così via».
La piattaforma Rewire è formata da tre strutture: la Patient Station — ovvero lo strumento utilizzato dal paziente a casa — composto dal pc collegato alla televisione e da dispositivi di localizzazione e sensori corporei (come il Kinect Microsoft o Balance Board della Nintendo Wii), che consentono di acquisire informazioni precise sul movimento eseguito dal paziente. Il movimento del paziente e i dati d’interazione con l’ambiente virtuale vengono quindi acquisiti e inviati al centro ospedaliero; la Hospital Station — utilizzata dallo staff clinico dell’ospedale — che funziona come un’applicazione web e permette ai neurologi, ai fisiatri ai neuropsicologi e ai terapisti di definire, adattare e monitorare gli esercizi del programma di riabilitazione svolto a casa.
Tutto ciò tenendo conto dei dati sull’attività quotidiana del paziente, acquisiti attraverso la rete di sensori corporei registrati direttamente dalla Patient Station. La Hospital Station offre inoltre ai pazienti la possibilità di accedere a numerosi documenti sulla loro patologia e la possibilità di interagire con altri pazienti attraverso forum o social network. La Networking Station, infine, installata a livello regionale presso l’assessorato alla Salute, che consente di analizzare i dati multi-parametrici sulla riabilitazione acquisiti giorno per giorno dai diversi pazienti, per confrontare e interpretare i risultati provenienti da diverse popolazioni di pazienti.
«L’idea di mascherare gli esercizi attraverso dei giochi virtuali non è nuova né è stata inventata da noi — precisa Borghese — ma ciò che mancava, e che rappresenta la nostra vera innovazione, è tutta la parte di supervisione clinica. Molti giochi promuovono un’interazione con lo scenario virtuale, ma sono ad anello aperto, il terapista cioè non ha modo di intervenire o di controllare se il paziente mentre gioca si sta muovendo correttamente. Ma è proprio l’esecuzione corretta dell’esercizio l’obiettivo primario del gioco.
Anche perché se non si esegue correttamente si finisce per sviluppare compensazioni errate, problemi alle cartilagini e tutta un serie di altri problemi. Il clinico poi in ogni momento può chiedere lo storico del paziente, valutare la sua progressione ed eventuali punti critici, aggiornare la terapia man mano che migliora, introdurre esercizi sempre più difficili e così via. L’idea di base in pratica, è che l’ospedale segua il paziente attraverso internet in modo asincrono: questa è la grande differenza rispetto alla teleriabilitazione dove invece è sempre richiesta la presenza del terapista quando il paziente fa gli esercizi a casa. Nel nostro modello il terapista prescrive gli esercizi e poi valuta i risultati che gli vengono forniti digitalmente».
I pazienti colpiti da icuts per esempio, come quelli coinvolti nel progetto Rewire, hanno generalmente problemi di emiparesi, con un lato del corpo più debole dell’altro. Per questo tendono a fidarsi maggiormente della parte sana provocando posture errate, e così via. Se il paziente sbaglia a compiere qualche movimento, il terapista virtuale si accorge che si tratta di situazioni che per il terapista reale devono essere corrette, e le segnala al paziente in maniera diversa a seconda della gravità: «Per esempio il suo avatar può cambiare colore, o magari se sta sforzando troppo una parte del corpo, questa diventa rossa, e capisce immediatamente che c’è qualcosa che non va — continua Borghese — oppure compare il terapista virtuale che ferma il gioco e gli dice cosa e come migliorare. Questo è l’aspetto che ci consente di garantire un certo livello di sicurezza negli esercizi fatti a casa».
Ora il sistema è in fase di validazione anche in Spagna e Svizzera, mentre in Italia stanno partendo dei nuovi progetti anche su pazienti malati di sclerosi. Intanto per i più curiosi, venerdì 26 settembre, durante la notte europea dei ricercatori (appuntamento annuale per la diffusione della cultura scientifica e la conoscenza delle professioni della ricerca tra i cittadini di tutte le età attraverso eventi e iniziative divertenti e stimolant) a Milano, presso i “Giardini Indro Montanelli”, sarà possibile provare questi videogiochi riabilitativi, presso il laboratorio per adulti e bambini allestito dagli stessi ricercatori dell’Università di Milano (qui il programma). «Sarà possibile ideare e sviluppare un gioco sul tema, scelto in collaborazione con personale medico — conclude Borghese — e infine provare e valutare la piattaforma».