La sfida tra le due principali candidate brasiliane alla presidenza, Dilma Rousseff del Partito dei Lavoratori e Marina Silva del Partito Socialista Brasiliano, resterà tesa fino all’ultimo. Fino alla fine le due – con un passato comune nel Partito dei Lavoratori di Luis Inácio “Lula” da Silva – si contenderanno – tra gli altri – il voto degli elettori poveri del Brasile. La fascia della popolazione sotto la soglia della povertà è del 9% secondo il dato della Banca Mondiale del 2012*, una percentuale molto diminuita negli ultimi anni grazie ai programmi di Lula e Dilma (era il 22,4% nel 2004).
Entrambe si pongono come punto di riferimento della fascia più bassa della società brasiliana. Dilma si presenta sicura dei risultati raggiunti attraverso i programmi statali a favore dei più disagiati. Marina è forte di una incredibile storia di riscatto sociale e di lotte sindacali tra i lavoratori. E il Brasile, nonostante i vertiginosi ritmi di crescita degli anni passati, ora rallentati tanto da essere in recessione tecnica con due trimestri consecutivi in calo, resta ancora un Paese con ampie sacche di disagio.
Dilma Rousseff e Marina Silva partecipano a un dibattito televisivo a Rio de Janeiro il 2 ottobre 2014 (YASUYOSHI CHIBA / Getty Images)
La partecipazione dei bambini alla forza lavoro – spiega la World Bank – è doppia rispetto a qualsiasi altro Stato dell’America Latina. Nelle regioni Nord e Nord-Est – le meno ricche in assoluto – un quarto dei bambini con meno di cinque anni soffre di malnutrizione cronica. Lì si vive di agricoltura, il capo famiglia è spesso analfabeta e il numero dei figli è doppio rispetto a quello delle famiglie più benestanti. Scarso l’accesso ad acqua, elettricità e altri servizi.
Ma la povertà raggiunge anche le aree urbane, pur concentrandosi nel 40% dei casi sempre nel nord-est. Un quarto della popolazione urbana povera è analfabeta, circa la metà ha frequentato non più di quattro anni di scuola nel corso dell’intera vita. L’accesso all’acqua e ai servizi sanitari è scarso e il principale settore di impiego è il terziario.
Solo una settimana fa, il divario (sondaggi Cnt/Mda) tra le due candidate al secondo turno era di un solo punto percentuale. Dilma avrebbe preso il 42% dei voti, Marina il 41.
Ma gli ultimi sondaggi commissionati dalla lobby dei trasporti Cnt e realizzati dal Centro di Ricerca Mda tra il 27 e il 28 settembre vedono Dilma Rousseff in vantaggio al primo turno con il 40,4% dei voti, contro il 25,2% di Marina Silva. Al secondo turno, le due riceverebbero rispettivamente il 47,7% e 38,7%.
La Rousseff sembra dunque essere in netto vantaggio sulla Silva. Eppure, dicono gli analisti, tutto è ancora da vedere.
L’avanzata di Dilma Rousseff nell’ultima settimana potrebbe essere effetto delle regole della campagna elettorale brasiliana, che nella prima parte concede a ciascun candidato un tempo di apparizione televisiva proporzionale ai voti presi dal suo partito nelle precedenti elezioni. Il che significa, spiega il professor Paolo Magri, docente di Organizzazioni internazionali all’Università degli studi di Pavia e direttore dell’Ispi, «che la Rousseff ha sei volte il tempo degli altri candidati, che sono 11 in tutto». E in Brasile la televisione «ha sugli elettori una influenza molto forte».
L’efficacia dei programmi di Lula e Dilma Rousseff
La lotta alla miseria, in Brasile, è stata il fulcro del governo di Dilma Rousseff, del Partito dei Lavoratori, che ha continuato molte delle politiche avviate dal predecessore Lula. Politiche che hanno dato buoni risultati.
Fabrizio Pelliccelli è il direttore della Ong Avsi e da San Paolo, città in cui vive e lavora, racconta i risultati raggiunti dal Dilma attraverso i programmi di redistribuzione del reddito e di lotta alla povertà finanziati negli ultimi anni.
A partire da quello più noto, Bolsa Familia, avviato nel 2003 dal Presidente Lula. «È un programma di trasferimento diretto di reddito, rivolto alle famiglie povere, cioè quelle con un reddito per persona tra i 70 e i 140 Reales (23-46,6 euro) , e quelle estremamente povere (con reddito per persona inferiore ai 70 Reales (23 euro)». La famiglia tipo che ne beneficia, racconta Pelliccelli, è costituita da ragazze madri o donne sole con figli (nel 42% dei casi). Il 62% delle persone raggiunte non ha accesso a acqua, sistema fognario, energia. Circa il 70% di loro non raggiunge il grado di istruzione medio inferiore e nel Nordest del Brasile il 20% dei beneficiari con oltre 25 anni è analfabeta.
Un poster elettorale ritrare Dilma Rousseff insieme all’ex Presidente Inácio Lula durante un meeting del Partito dei Lavoratori il 15 settembre 2014 (YASUYOSHI CHIBA / Getty Images)
Nel 2013 il programma ha raggiunto circa 50 milioni di persone, il 26% della popolazione totale (Fonte ministero Sviluppo Sociale e Lotta alla Fame). Ma tra 2003 e 2013 «Bolsa Familia ha tolto 1,7 milioni di famiglie dalla povertà estrema, 5 milioni di persone», continua Pellicelli, che cita dati ministeriali.
A Bolsa Familia si accostano Fame zero, «che ha fornito alimentazione equilibrata a 47 milioni di studenti», il programma abitativo Minha casa minha vida, che conta di costruire un milione di nuove abitazioni, la metà delle quali destinate ai più poveri. Ma anche il programma di apprendistato per i giovani, che coinvolge le aziende private, offrendo ai ragazzi la possibilità di imparare mestieri qualificati.
E gli effetti si vedono. Solo tra 2007 e 2012 la percentuale di poveri è passata dal 16,1% al 9 per cento (dato World Bank).
Il grafico della World Bank mostra la diminuzione della popolazione povera in Brasile dal 2004 (primo anno della presidenza di Inácio Lula) al 2012.
Visto che la Rousseff ha promesso che non interromperà tali programmi, è facile pensare che gran parte della popolazione che ancora ne beneficia continuerà a votarla.
Anche se, mettono in guardia gli analisti, i programmi della Rousseff sollevano in molti – soprattutto tra le classi sociali più agiate – la preoccupazione di politiche assistenzialiste, che scoraggiano i più poveri dal lavorare. Un rischio ben presente anche a chi lavora tra i meno abbienti, come Fabrizio Pelliccelli. «La nostra esperienza sul campo ci fa credere che le persone in situazioni di estrema povertà hanno bisogno di sussidi emergenziali per la loro sussistenza. Ma senza incontrare compagnie educative che le aiutano a diventare soggetti attivi della propria vita, il rischi di diventare dipendenti dai programmi sociali a scapito di un vero sviluppo è concreto».
La forza di Marina Silva, la sua storia
Se Dilma ha quasi assicurato il voto di chi oggi beneficia dell’assistenza statale, la sua principale rivale è una candidata estremamente carismatica, arrivata quasi per caso alla guida di un partito che fino al 13 agosto, data della fatidica morte dell’ex leader Eduardo Campos, aveva solo l’8% delle preferenze e salito con lei al 25,2 per cento. Una Marina Silva che già alle elezioni del 2010, cui concorreva come candidata dei Verdi, prese il 19,9% delle preferenze nonostante i sondaggi la dessero al 10 per cento.
La storia di Marina Silva ha fatto il giro di tutti i media. Nata su una palafitta nel Seringal Bagaçoa (piantagione di alberi di caucciù), a 70 km dal centro di Rio Branco, capitale dello stato di Acre, vede morire tre dei suoi undici fratelli. Da bambina aiuta i genitori “seringueros” (chi estrae il lattice dagli alberi da gomma), vivendo in condizioni di semi schiavitù in un ambiente contaminato dal mercurio. Resta analfabeta fino all’età di 16 anni, quando prende parte a un progetto di alfabetizzazione finanziato dal regime militare brasiliano. Le succede un po’ per caso, perché nella capitale del Brasile arriva per curare un’epatite, che inizialmente viene scambiata per malaria.
- Marina Silva visita la favela di Rocinha a Rio de Janeiro il 30 agosto 2014 (Mario Tama / Getty Images)
Nella capitale Silva lavora come donna delle pulizie, poi come insegnante di scuola media e inizia a partecipare al movimento sindacale. Supporta Chico Mendes nella coordinazione della Central Única dos Trabalhadore. Ed è l’inizio della sua carriera politica, che ripercorriamo nel modo più sintetico possibile. Nel 1986 entra nel Partido dos Trabalhadores di Lula. Nel 1988 diventa consigliera nel consiglio comunale di Rio Branco, unica esponente della sinistra. Nel 1994 viene eletta senatrice della Repubblica brasiliana per lo stato di Acre. È segretaria nazionale dell’Ambiente del Partito dos Trabalhadores (Pt) dal 1995 al 1997. Finché nel 2003, dopo la vittoria elettorale di Inácio Lula, diventa ministro dell’Ambiente. Denunciando il blocco di molti dei suoi progetti ambientalisti, nel 2008 la Silva si dimette dalla carica (dopo conflitti con la stessa Rousseff, già parte del Pt) e torna ad essere senatrice dello Stato di Acre. Nel 2010 si iscrive al Partito Verde e si candida alle Presidenziali del 2010 dove ottiene il 19,9% dei voti. Esce dai Verdi per fondare un nuovo partito, che ha scarso successo.
Nell’aprile 2014 Marina Silva si ricandida alle Presidenziali 2014, ma per la carica di vice-presidente del Partito Socialista Brasiliano (PSB). Il 13 agosto il candidato presidente dei socialisti Eduardo Campos muore in un incidente aereo, e Marina Silva viene indicata dai socialisti come propria candidata. E qui inizia la scalata dei sondaggi.
Con un simile passato alle spalle, Marina Silva sembra essere il punto di riferimento scontato dei più poveri tra i brasiliani. Anche se, sostengono gli analisti, con lei potrebbero schierarsi soprattutto i brasiliani che hanno fruito in passato dei programmi di sostegno di Lula e Dilma e oggi, diventati nuova classe media brasiliana, lottano per avere servizi migliori e più accessibili (sono i protagonisti delle proteste dello scorso anno quando si chiedevano trasporti gratuiti e sanità abbordabile). È ciò che Dilma – impegnata a lottare contro la fame – ancora non è riuscita a offrire. Ma di questo ne parliamo nella prossima puntata.
*Il Brasile, spiega la World Bank, non ha una soglia di povertà ufficiale. Negli ultimi anni è stata usata come punto di riferimento la soglia fissata dal governo brasiliano per il programma Bolsa Familia. Povera è la famiglia che guadagna tra i 70 e i 140 reales al mese. Sotto i 70 reales al mese si parla di estrema povertà.