Come la pensano gli italiani lo si può comprendere anche dalle lettere ai giornali. C’è un sito, in Italia, che, quotidianamente, pubblica le lettere più interessanti, www.carodirettore.eu, nato per iniziativa dell’Azienda di soggiorno e turismo di Bolzano. Linkiesta ne propone qualcuna, rimandando al sito i lettori che vorranno avere un panorama ancora più vasto di ciò che gli italiani scrivono ai giornali, quotidiani e periodici.
I grillini sono proprio grillini. Inguaribilmente grillini
Chiamateli “islamici”, cioè “sottomessi”, saranno contenti; oppure “musulmani”, cioè “devoti”: per loro andrà benissimo. Ma non chiamateli “maomettani”, si incazzeranno. Maometto è solo un profeta, loro adorano Allah. Le persone sono al servizio delle idee anche in politica: i democristiani non erano degasperiani, né berlingueriani i comunisti, o craxiani i socialisti. Dovrebbero pensarci i Cinque Stelle, che tutti, anche i timidi dissidenti, continuano a dirsi “grillini”. Dovrebbero cercare un nome diverso, ma non sarà facile. Il loro credo è opporsi, urlare, lanciare, demolire. Non hanno alcuna idea né progetto. Ecco perché non possono chiamarsi che “grillini”, da Colui che è, insieme, profeta e dio. Senza il quale sarebbero un nulla.
Gianfranco Morra, ItaliaOggi, 15 ottobre
Un indecoroso (volutamente?) spettacolo al controllo doganale di Malpensa
Sabato pomeriggio ho accompagnato mio figlio, che vive a Shanghai e la sua compagna cinese all’aeroporto di Malpensa per il rientro in Cina. Avevano l’aereo alle 22,10 ma dovendo fare il Tax Free e conoscendo i tempi della burocrazia in Italia, ci siamo recati in aeroporto alle 17,30 quindi cinque ore prima della partenza. Siamo andati nel settore dedicato al controllo doganale dove c’era un solo sportello aperto (sui quattro esistenti) ed una fila, di cui le allego foto, di oltre duecento metri. Mio figlio si è messo in coda alle 17,36 ed è arrivato allo sportello della dogana alle 20,05. Dopo il controllo dei documenti ed i relativi timbri ha dovuto fare una altra mezz’ora di coda allo sportello dove ti rimborsano la cifra del Tax Free per i prodotti acquistati in Italia. In tutto questo lasso di tempo io sono stato ad assistere davanti all’unico sportello aperto dove il solerte impiegato ogni paio di minuti rispondeva al cellulare, inviava messaggi e la gente in attesa continuava a protestare in tutte le lingue e non ho mai visto aprire una valigia per il controllo, tutto fatto ad occhio. Ho chiesto ai vari uffici, compresi alle forze dell’ordine, se c’era qualcuno cui potessi rivolgermi e mi è stato risposto di scrivere alla Sea o alla Agenzia delle Dogane in quanto loro sono perfettamente al corrente di tale situazione che avviene ormai quotidianamente e alcune di queste persone mi hanno candidamente fatto presente che lo fanno apposta così la gente si stanca, non fa il Tax Free e i soldi del rimborso restano alla Dogana…come ho potuto constatare con i miei occhi quando ho visto gente abbandonare la fila, imprecare in modo offensivo verso la nostra nazione e pronunciando le solite frasi sull’Italia che non riporto. Queste persone avevano solo portato reddito alla nostra nazione con i loro acquisiti e vengono trattati in modo così assurdo. Non nascondo che da italiano mi sono vergognato delle frasi ascoltate dalle persone in fila, e il mio pensiero andava al prossimo evento dell’Expo quando in Italia è previsto l’arrivo di cinquanta milioni di visitatori. Io giro per il mondo e questo indecoroso spettacolo l’ho visto solo da noi.
Francesco Casile, Corriere della Sera, 14 ottobre
Di arte ne abbiamo troppa. Meglio il contante per i debiti fiscali
Siamo un Paese con un indebitamento mastodontico e in continua crescita e siamo il Paese più ricco al mondo di opere d’arte, molte delle quali giacciono in magazzini o sono in rovina per assenza di manutenzione. Eppure il ministro Franceschini decide di pagare una Commissione di esperti per valutare opere d’arte (che abbiamo oltremisura!) in cambio di entrate di cui abbiamo un bisogno enorme. Non riesco proprio a capire!
Luciano De Stefani, [email protected], Corriere della Sera ,15 ottobre
All’estero impossibile trovare frutta italiana
Ho lavorato per decadi, fino a qualche mese fa, in Medio Oriente e quasi sempre ho acquistato il cibo localmente. Nei fornitissimi supermercati degli Emirati Arabi, Dubai, Abu Dhabi, Qatar, Kuwait ecc. si possono trovare arance, mandarini, mele, uva da Usa, Spagna o Francia. Nulla di tutto ciò dall’Italia nonostante i prodotti siano di qualità migliore e alcuni Paesi siano più distanti. Come mai? Non è possibile che i produttori di California o Catalogna operino in perdita. Non dovrebbe il governo mettere in atto politiche opportune in tal senso?
Antonio Scattareggia Marchese, Milazzo (Me), Repubblica, 15 ottobre
L’articolo 18? Un simbolo che è giusto eliminare
La querelle sull’abolizione dell’articolo 18 a me pare che abbia un significato che va ben oltre il contenuto normativo dell’articolo e le sue implicazioni sul fronte del mondo del lavoro. Renzi ha in qualche modo il dovere morale di abolirlo, a prescindere dal suo contenuto, perché ciò significherebbe avviare un processo la cui portata è eminentemente simbolica: dimostrare che la sua azione di governo è autenticamente orientata a modificare profondamente l’assetto del nostro Paese. È proprio l’art. 18 a rappresentare uno dei pilastri della parte più conservatrice dell’Italia restia ad ogni cambiamento. L’art. 18 è l’emblema di un mondo obsoleto, fatto di privilegi e certezze ormai insostenibili socialmente, propenso a difendere caste e fazioni, tutto ciò che, se vogliamo uscire dalla palude in cui siamo finiti, dobbiamo lasciarci alle spalle voltando pagina. Renzi deve dare uno scrollone a questo mondo che non regge più, che ha portato il Paese nel baratro. E per far ciò deve compiere azioni forti che colpiscano anche la sfera emotiva e che nell’immaginario collettivo siano vissute come dirompenti e rivoluzionarie. L’impossibilità di licenziare è un retaggio dell’epoca delle stelle fisse, oggi dobbiamo compiere la rivoluzione copernicana e far propria la visione di un mondo mutevole, mai fisso, sempre in divenire che si rigenera costantemente e pone al centro le istanze innovatrici del Paese piuttosto che i particolarismi e la difesa dello status quo. L’art. 18 è fissità, immobilità, in opposizione alla mobilità incessante della vita sociale. Renzi se vuole cambiare l’Italia deve sradicare queste pseudocertezze anacronistiche per ridare vita ad un Paese che ha bisogno di liberarsi dalle innumerevoli fissità in cui si è avviluppato. Mandare in soffitta l’art. 18 sul piano della sfera simbolico-emotiva è un gesto di liberazione dai lacci e laccioli del passato e di apertura al nuovo, dove la categoria della possibilità e il dinamismo ritornano prepotentemente in auge. L’abolizione dell’art. 18 è il punto di svolta: simbolicamente ci dice che finalmente l’Italia può ripartire.
Alessandro Caretta, imprenditore, 50 anni, Torino, La Stampa, 15 ottobre
Sblocca Italia come l’uovo di serpente
Dietro l’onda di fango ed emozionale dell’alluvione a Genova, Bonafè, Serracchiani e compagnia Pd cantante hanno inondato il talk show dell’appello ad approvare in fretta lo Sblocca Italia, col 3 per cento dei fondi alla prevenzione e il 97 per cento alla nuova cementificazione. Sblocca Italia è come l’uovo di serpente: dentro il guscio dell’emergenza si vede benissimo la malabestia della deregolazione guidata dalla cementificazione e dall’affarismo.
Sergio Brenna, Il Fatto, 15 ottobre
Prima tutto Berlusconi. Oggi tutto Renzi
Mi piaceva il Foglio quando era tutto Berlusconi. Ora che è tutto Renzi mi piace meno. La politica non segue Duchamp e Warhol: c’è una grossa differenza tra l’originale e la (brutta) copia.
Manfredi Piccolomini, Il Foglio, 15 ottobre