Dal videogioco al film… e al flop

Dal videogioco al film… e al flop

Il 30 settembre 2014, Larry Kasanoff, CEO della casa di produzione Threshold Entertainment, ha detto al Wall Street Journal di aver acquisito i diritti per fare un film ispirato a Tetris, uno dei videogiochi più famosi del mondo, quello coi mattoncini che cadono dall’alto e che il giocatore deve ordinare in file complete, quello in cui il pezzo verticale di quattro blocchi non arriva mai. Il film, ha detto Kasanoff, sarà «un film epico di fantascienza». «Non sarà», ha continuato «un film dove un gruppo di linee si rincorrono sullo schermo. Non stiamo lasciando spazio alla forme geometriche». Che cosa voglia dire, non è ancora chiaro. Ma la possibilità che Tetris diventi un’altro brutto film tratto da un videogame sono tante.

La strana storia d’amore tra i videogiochi e Hollywood è nata negli anni Ottanta, quando i videogame hanno iniziato a essere un fenomeno di massa, e i videogiocatori hanno iniziato a essere un pubblico interessante per l’industria cinematografica. Ma è anche una storia costellata di fallimenti: quasi nessuno delle decine di film adattati dai videogiochi è diventato un successo.

I motivi sono molti: nonostante le molte cose che li accomunano, videogiochi e film hanno anche molto che li divide. Da una parte c’è un’esperienza interattiva, dall’altra uno spettacolo guidato dalla visione di un autore. David S Goyer, sceneggiatore di Batman Begins e L’uomo d’acciaio, ha detto a Digital Spy che secondo lui il motivo per cui non riusciamo a produrre film decenti dai videogiochi è piuttosto semplice «la maggior parte dei bei videogiochi sono ambienti in cui ci si può immergere. […] La maggior parte dei giochi, anche se questa cosa sta cambiando, tende a non avere dei personaggi forti. Se pensi ai videogiochi, pensi a quanto divertente era quel livello, a quando hai fatto questo o quello. […] Un film non sarà mai capace di essere efficace come un videogioco nel trasmettere immersione in un ambiente». Mentre Thomas Tull, produttore di Pacific Rim, della trilogia di Batman e dell’ormai prossimo film basato sul videogame World of Warcraft, offre un altra prospettiva: «i film tratti dai videogiochi non sono mai stati fatti bene, e penso che parte della colpa sia che sono stati fatti per i motivi sbagliati. Se dici semplicemente “Quante persone hanno giocato al gioco? Quanti soldi possiamo fare?” sei finito. Sei finito ancora prima di iniziare».

Molti film sono caduti in queste trappole, trasformando videogame di enorme successo in film che non sono nemmeno riusciti a incassare quello che è stato speso per girarli. Ecco cinque casi emblematici, partendo dal film di Super Mario e arrivando a quello ispirato a Doom, sperando che a Tetris non tocchi la stessa fine.
 

Super Mario Bros., 1993

Quello di Super Mario è un mondo strano, a metà tra i cartoni animati e la psichedelica. L’eroe è un idraulico di origini italiane che corre in un mondo di colori pastello. Contro di lui si presentano orde di nemici, tutti col sorriso sulla faccia, mentre a salvare la vita al nostro eroe sono funghi e fiori. È un videogame della prima ora, e le perfette meccaniche di gioco sono molto più importanti della narrazione (tanto è vero che dal 1985 cade nel più trito dei cliché: la principessa rapita). Il film, quindi, prova a spostarsi in un’altra dimensione, trasformando l’ambientazione di Super Mario in un mondo distopico, zeppo di elementi cyberpunk. Una scelta coraggiosa che dà al film un’identità molto forte, solo che Super Mario Bros. è stato il primo film della storia a essere tratto da un videogame e gli spettatori si aspettavano qualcosa di più simile alle atmosfere leggere e surreali del gioco. Il film è costato 48 milioni di dollari e, in totale, ne ha incassati 21. Un fallimento sotto ogni punto di vista.

Bob Hoskins, che nel film interpreta Super Mario, ha detto in un’intervista al Guardian che Super Mario Bros. è stata la cosa peggiore che ha mai fatto in tutta la sua carriera.
 

Street Fighter – Sfida finale, 1994

Street Fighter è una popolarissima serie di videogiochi di combattimento creata dall’azienda giapponese Capcom. I giocatori combattono con calci, pugni e con delle mosse speciali che permettono di lanciare sfere di energia, sputare fiamme o cose del genere. Non c’è esattamente una trama, ogni combattente sfida tutti gli altri in un torneo in giro per il mondo fino ad arrivare al boss finale, il fortissimo Mr. Bison. Gli spettatori del film, e soprattutto i giocatori, si aspettavano qualcosa di simile a I 3 dell’Operazione Drago o, tutt’al più a Grosso guaio a Chinatown. E invece il film è diventato tutt’altro: un’americanata tutta militari e pistole, con pochi combattimenti e quasi nessuna delle mosse speciali che rendevano il videogioco qualcosa di unico.

Alla regia c’era uno bravo: Steven E. de Souza. De Souza è un esperto di film d’azione: ha scritto i primi due film della serie Die Hard, Commando con Schwarzenegger e 48 ore con Eddie Murphy. Ma è de Souza è principalmente uno sceneggiatore e Street Fighter – Sfida finale è la sua prima grossa prova da regista. Purtroppo per lui, e non solo per colpa sua, il film è un disastro. In occasione del ventennale dall’uscita nelle sale del film, la rivista online Polygon ha intervistato de Souza e si è fatta raccontare come è andata la produzione di quel film. Quello che ne esce è una specie di manuale di tutto quello che può andare storto nella lavorazione di un film. Tra attori scelti all’ultimo momento, pressioni costanti da Capcom, ritardi e, non ultima, la malattia di Raúl Juliá (che interpretata il cattivo Mr. Bison), morto di cancro allo stomaco pochi mesi dopo la fine delle riprese.

Nonostante tutto, il film incassò discretamente, arrivando fino a quasi 100 milioni di dollari e ripagando ampiamente i 35 milioni che era costato.
 

Final Fantasy: The Spirits Within, 2001

Final Fantasy è una saga di videogiochi fantasy giapponesi (immaginatevi un Signore degli anelli dove samurai, magia e steampunk si mescolano). Il film, nonostante il coinvolgimento degli autori della saga, è riuscito a scontentare tutti: sia gli appassionati del videogame, sia gli spettatori che non ne avevano mai sentito parlare. Il futuro fantascientifico del film era lontanissimo dal mondo fantasy tipico della saga e, anche se il film era tecnologicamente molto innovativo, la trama lasciava molto a desiderare.

Final Fantasy: The Spirits Within è stato il primo film in computer grafica ad avere dei personaggi realistici realizzati interamente al computer. L’idea di Square, la casa di produzione del videogioco e del film, era di usare l’attrice virtuale protagonista del film in più produzioni ma l’insuccesso commerciale di Final Fantasy: The Spirits Within — costato 137 milioni di dollari, ne ha incassati solo 85 — causò la chiusura della divisione cinematografica della società (che, però, prima di lasciarci, ci ha regalato Final Flight of the Osiris, uno dei cortometraggi di Animatrix in cui ci mostra quanto fosse potente e innovativa la tecnologia dietro a Final Fantasy: The Spirits Within).
 

Resident Evil, 2002

Resident Evil è una serie di videogioco horror della società giapponese Capcom. La Umbrella corporation, una società di biotecnologica, sviluppa un virus che trasforma gli esseri umani in zombie e, nel corso di decine di videogame, i giocatori devono indagare sulle macchinazioni della società e salvarsi da città infestate dal virus.

Il film parte dallo stesso presupposto del primo videogioco della serie: una innocua villetta di campagna nasconde uno dei laboratori della Umbrella. Ma si discosta immediatamente dal gioco, trasformandosi in un film d’azione pura. Resident Evil non è necessariamente un brutto film. Il fallimento, qui, è altrove. Il videogioco da cui è tratto è molto simile a un’esperienza cinematografica: si ispira ai classici film di zombie di George Romero, usa le inquadrature per costruire tensione drammatica, la luce per creare mistero e paura, i controcampi per terrorizzare il giocatore. Vive nella migliore tradizione dei film horror. E Resident Evil, il film, non riesce (perché non vuole) a riportare tutte queste cose sullo schermo. Fallisce nel trasformare una delle più terrificanti esperienze videoludiche del mondo in un film altrettanto terrificante.

Doom, 2005

John Carmack, uno dei creatori del videogioco Doom, una volta disse: «la trama in un videogioco, è come la trama in un film porno. Ti aspetti che ci sia, ma in fondo non serve a niente». Infatti, la trama di Doom si può riassumere in una frase: un marine armato fino ai denti salva la Terra da dei demoni usciti da un esperimento andato male. E la forza del videogioco, infatti, sta altrove, nella velocità, nella violenza, nella grafica rivoluzionaria.

Fatte queste premesse, qualcuno deve aver pensato che portare Doom al cinema potesse non essere una grande idea. Ma purtroppo, nessuno l’ha ascoltato. Il film di Doom segue la stessa storia del videogioco ma con un problema: Doom non è un film porno e la trama serve, anche ad un action senza cervello. Doom, il film, fallisce anche nella più basilare delle scene, quella in cui cita in scala uno a uno il videogioco, con una camera in soggettiva che ci mostra uno dei protagonisti che spara a qualsiasi cosa gli si pari davanti. L’effetto è lo stesso che si prova guardando qualcun altro giocare, sapendo però che non arriverà mai il nostro turno.

Costato 60 milioni di dollari, ne ha incassati solamente 55.

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