La passerella europea di Renzi, nel giorno del Jobs Act

La passerella europea di Renzi, nel giorno del Jobs Act

Che il vertice europeo sul lavoro di Milano non sarebbe rimasto nella storia dei vertici europei sul lavoro lo dicevano tutti. Alla Conferenza di alto livello sull’occupazione, la terza dopo Berlino e Parigi, si è assistito al solito gioco delle parti, con Renzi e Hollande che spingono verso maggiore flessibilità sui patti Ue e la Merkel che frena, ma stavolta non troppo, visti i numeri negativi sulla produzione industriale tedesca, i peggiori dal 2009. Renzi non è arrivato a Milano, come desiderava, con il Jobs Act già confezionato, ma il vertice è stato comunque una grande passerella per presentare all’Europa la sua riforma del lavoro. Anche se ancora a metà. Mentre in Senato volavano monetine per la fiducia messa sulla legge delega e in piazza Landini annunciava «Occuperemo le fabbriche», lui prendeva invece i complimenti di Martin Schulz, Francois Holland, Herman Van Rompuy, Josè Manuel Barroso e persino – anche se un po’ più sfumato – di Angela Merkel. Che a sentire i bene informati non voleva neanche fare la conferenza stampa finale, e invece alla fine è rimasta.

A chi ricorda a Renzi quello che sta succedendo a Palazzo Madama, lui risponde parlando di «sceneggiate di alcuni senatori». Si presenta come un premier di ferro, più forte delle divisioni interne al suo partito. A me, dice, «preoccupa la disoccupazione, non l’opposizione. Abbiamo aspettato 40 anni per queste riforme, vuol dire che i nostri senatori aspetteranno qualche ora in più». L’Europa è avvertita: «La riforma sul lavoro si farà. Saremo credibili solo quando avremo portato a termine i percorsi iniziati. Troppe volte abbiamo promesso e non realizzato». È per questo, dice, che pur pensando che «il parametro del 3% sia stato pensato, immaginato e ideato più di venti anni fa quando ancora non c’era Internet, pur avendo le mie idee sul 3%, l’Italia ha un problema di “reputescion”, credibilità, e quindi ritengo giusto per l’Italia rispettarlo». La Merkel abbozza un sorriso e guarda Barroso. «Non giudico le scelte di Paesi come Francia e Spagna», aggiunge Renzi. «Anche il governo Schroeder superò il limite. Per me è importante che l’Italia dia il segnale di voler rispettare gli impegni presi. Quindi nella legge di stabilità sarà scritto 2,9%». «Abbiamo preso la decisione di rispettare il patto di stabilità con Francia e Italia», risponde Merkel, «certo, ci sono margini di flessibilità, ma sono fiduciosa che tutti si prenderanno le proprie responsabilità».

Il presidente del Consiglio era arrivato a Milano con un messaggio chiaro: con il Jobs Act l’Italia sta facendo il suo percorso di riforme come l’Europa e Mario Draghi chiedevano, ma Bruxelles deve fare di più per l’occupazione e la crescita. Da una parte Renzi fa l’occhiolino ai vicini francesi, dall’altra non rinuncia al dialogo con la Germania. E si muove bene anche tra i leader europei, chiamandoli per nome come fa con i suoi ministri e abbozzando qualche battuta. «Vogliamo copiare il sistema duale scuola lavoro della Germania», dice guardando la Merkel. Il presidente del Consiglio sembra tutt’altro che isolato, anche grazie a una Merkel ammorbidita – forse – dai dati negativi sull’industria di casa.

Già in mattinata il presidente del Consiglio italiano trova il pieno appoggio di Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo, che appena arrivato al Milano Congressi dichiara: «Il governo italiano è fantastico, sta facendo il massimo per attrarre gli investimenti, e io lo sostengo in questo». Ma, ha aggiunto, sulla disoccupazione giovanile dobbiamo agire «velocemente, questo è il terzo summit che facciamo». La soluzione? «Tagliare solamente non ha senso. Non può esserci un aggiustamento di bilancio se non si sostiene la crescita, con un piano di investimenti privati e pubblici. Spero che siano usati i sei miliardi disponibili per il fondo dell’occupazione giovanile».

Sui miliardi da mettere sul piatto della Garanzia giovani è Francois Hollande, fresco dell’annuncio dello sforamento del 3%, che si spinge più in là: «Sei miliardi in due anni sono troppo pochi, servono 20 miliardi di euro e una semplificazione delle procedure». Il focus dell’incontro era proprio la Garanzia giovani, visto che gli under 25 senza lavoro in Europa sono 5 milioni (21,6%), di cui 3,3 nell’Eurozona (23,3%). «Sono preoccupato», dice Hollande, «serve meno austerity e un piano di investimenti Ue. Se tutti praticano l’austerità, si frena la crescita. Bisogna adeguare il ritmo delle politiche di bilancio alla situazione economica». Perché, avverte, «la crescita è minacciata». Minaccia confermata anche dal World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale: la crescita media dell’area euro sarà dello 0,8% nel 2014, e dell’1,3% nel 2015, ma resta una probabilità su tre che l’area euro torni in recessione. Germania compresa. E i numeri sull’industria tedesca non fanno ben sperare. L’austerity merkeliana non dà buoni frutti: gli ordinativi ad agosto sono crollati del 5,7%, il peggior calo dal gennaio 2009, e la produzione industriale è scesa del 4 per cento.

Il punto è che la disoccupazione in Europa resta alta. I disoccupati nell’Europa a 28 restano quasi 25 milioni, di cui 18 milioni nell’Eurozona. L’Italia, con il 44,2%, ha la maglia nera della disoccupazione giovanile, insieme a Spagna (53,7%), Grecia (51,5%) e Croazia (43,9%). Lo ricorda Van Rompuy: «Nonostante tutti gli sforzi e i segnali di miglioramento, la disoccupazione rimane intorno al 12% nell’Eurozona e all’11% in Europa: inaccettabilmente alta». Con differenze molto forti tra Paese e Paese. «Rischiamo di avere una generazione perduta». La Garanzia giovani da sola non basta, «le politiche nazionali fanno la differenza». Primo passo: «Serve ridurre il cuneo fiscale, che in Europa è tra i più alti al mondo». Secondo: «Le regole del mercato del lavoro devono essere cambiate: le economie con più flessibilità nel mercato del lavoro sono quelle che hanno affrontato meglio la crisi in termini di disoccupazione». Terzo: «Dobbiamo superare il gap tra insider e outsider del mercato del lavoro. Tra quelli che sono protetti e quelli con contratti temporanei e non protetti, soprattutto donne, giovani e migranti non qualificati. Questo dualismo nel mercato del lavoro spiega il perché della rapida ascesa della disoccupazione in alcuni Paesi; quando la crisi colpisce, il peso finisce soprattutto sui lavoratori non protetti». E qui partono i complimenti a Renzi: «Io voglio elogiare il primo ministro Matteo Renzi per le riforme che ha fatto partire a questo riguardo».

Complimenti che arrivano anche da Barroso, che dice: «Voglio complimentarmi con Renzi per il Jobs Act, perché secondo me va nella giusta direzione». Ed elogia Italia e Francia per «aver attuato programmi operativi specifici» per usare i fondi europei della Garanzia giovani per ridurre la disoccupazione giovanile. Angela Merkel non si sbottona molto e si spinge a dire che «la legge delega in discussione al Senato è una iniziativa molto importante», ma quando parla delle riforme renziane – fa notare un giornalista tedesco – usa sempre il futuro. Insomma, ci credo ma non troppo. Hollande aggiunge: «L’Italia sta andando nella giusta direzione». Renzi è promosso.

Altra questione sono gli investimenti, chiesti da più parti, e l’utilizzo dei fondi europei. Tutti dicono che il piano da 300 miliardi di euro annunciato da Juncker va bene, ma «bisogna spenderli bene». La Cancelliera tedesca sottolinea che «è importante investire, ma anche dove investire. Dobbiamo investire sui lavori del futuro non del passato, a partire dal digitale». Per Hollande, più che pensare ai nuovi fondi, «dobbiamo portare a termine i programmi già attivati. Alcuni Paesi hanno già attinto ai 6 miliardi di euro per la disoccupazione giovanile, altri no». Renzi ne approfitta per ricordare «il problema del cofinanziamento con cui si corre il rischio di sforare il patto di stabilità e quindi finisce per non farci spendere i fondi europei». E in questo l’Italia è maestra.

(Il tasso di disoccupazione in Europa ad agosto 2014)

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