“League of Legends”, il videogame che riempie gli stadi

“League of Legends”, il videogame che riempie gli stadi

Il 19 ottobre 2014, allo stadio dei mondiali di calcio 2002 di Seul, si sono tenuti i Campionati Mondiali di League of Legends, un videogioco online competitivo sviluppato dalla azienda statunitense Riot Games. 38 milioni di persone hanno visto l’evento in streaming (con picchi di 8 milioni di spettatori in contemporanea), 40mila persone sono andate a vedere l’evento dal vivo e hanno riempito l’intero stadio. Il premio in denaro per i vincitori era di un milione di dollari.

Cos’è, esattamente, League of Legends? È un videogioco strategico online gratuito. Viene spesso citato con l’acronimo di LoL e fa parte del genere MOBA, altro acronimo di Multiplayer Online Battle Arena che in italiano sarebbe “Arena di Battaglia Multigiocatore Online”, ed è il più grande e apprezzato eSport (sport elettronico, ovvero: videogioco competitivo) che esista in questo momento.

Nella modalità di gioco più popolare di League of Legends, si gioca in 10 giocatori, divisi in due squadre da 5. Ogni giocatore controlla un personaggio (chiamato campione) con delle abilità uniche. Lo scopo del gioco è collaborare per distruggere la base della squadra avversaria e, contemporaneamente, difendere la propria. È un po’ come il calcetto, solo che al posto di fare gol, i giocatori devono fare a pezzi un cristallo gigante nella base nemica. E ostacolarsi a vicenda per impedire agli avversari di raggiungere il proprio cristallo.

È uno sport di squadra ed è uno sport di strategia. È di squadra perché ogni campione ha un ruolo specifico. Esattamente come nel calcio esistono i portieri, i difensori, i centrocampisti e gli attaccanti. Coordinare i ruoli, e assistersi a vicenda per completare gli obiettivi necessari ad avanzare nell’arena di gioco verso la base nemica è fondamentale per vincere. Ed è un sport di strategia perché, ad ogni partita, i giocatori devono scegliere cinque campioni tra gli oltre 100 a disposizione. Come quando un allenatore riorganizza completamente la propria squadra — non solo adattando le strategie ma scegliendo anche i giocatori più adatti — per contrastare meglio gli avversari e avere più possibilità di vittoria. Da questo punto di vista League of Legends è simile al rugby: si gioca centimetro per centimetro, e le differenze tra abilità e statistiche dei campioni possono cambiare l’esito di una partita.
 

Perché è un gioco così popolare?

È un gioco free-to-play. Vuol dire che chiunque può scaricare il gioco gratuitamente e iniziare a giocare ( nelle ore di picco ci sono oltre otto milioni di giocatori che giocano a League of Legends contemporaneamente). È molto facile iniziare a giocare ma è incredibilmente difficile vincere, perché è un videogame in cui una quantità di fattori, tattiche e coordinazione entrano in gioco e portano al successo o al fallimento. In più, tutti i giocatori partono da zero a ogni partita: League of Legends ha un sistema di potenziamenti che vengono sbloccati man mano che la partita va avanti, ma a ogni match, tutti ripartono da zero. Conta solo la bravura e l’intelligenza del giocatore.
 

Ma è davvero uno sport?

Dipende da cosa intendete per sport e dipende a chi lo chiedete. Il presidente del canale sportivo statunitense ESPN, ad esempio, ha detto in un’intervista che gli eSport non sono «veri sport» ma competizioni. Come gli scacchi. Dall’altra, nel 2013, il governo statunitense ha riconosciuto i giocatori professionisti di League of Legends come atleti professionisti, permettendo di ottenere permessi di soggiorno come lavoratori per giocare negli Stati Uniti.

Il mondo attorno a League of Legends sicuramente è simile a quello di uno sport. Ci sono gli allenatori, ci sono campionati nazionali, le leghe e, come abbiamo visto, i campionati mondiali. I giocatori lavorano in squadre (che hanno le loro tifoserie), si allenano per ore e ore a settimana e possono essere scambiati tra squadre diverse. Questi aspetti non sono specifici di League of Legends, molti altri eSport, molti altri videogame, hanno creato delle sottoculture di questo tipo. Ma League of Legends sta portando il fenomeno all’ennesima potenza, lentamente sconfinando nella cultura di massa. E poi, ovviamente, ci sono le partite. Viste online e dal vivo da migliaia di spettatori (ci sarà un motivo se Amazon ha speso 970 milioni di dollari per comprarsi una piattaforma che manda in streaming chi gioca ai videogame).

Guardare una partita di League of Legends è difficile come guardare una partita di baseball o di hockey senza conoscere le regole e le tattiche. Ci sono un sacco di cose che si muovono ma non si ha idea del perché. Questa, ad esempio, è l’ultima partita del Campionato Mondiale.

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Anche guardare una partita con il commento in italiano non aiuta moltissimo. League of Legends, come moltissimi giochi online, ha un linguaggio tutto suo, fatto di neologismi che a volte rimangono in inglese e a volte vengono italianizzati, come pushare, farmare, junglare, lasthittare. Sono come il catenaccio, il pressing, il dribbling. Tattiche e pratiche che fanno dello sport, be’, uno sport.

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Per capire un po’ di più il fenomeno, forse conviene incontrare i giocatori, che stanno trasformando League of Legends da un hobby a una professione, puntano alle leghe professionistiche. GEC (che sta per Giochi Elettronici Competitivi ed è un progetto per promuovere gli eSports in Italia) ha intervistato uno dei più forti giocatori italiani Andrea “Bonny” Bonifazio:

 https://www.youtube.com/embed/FqgwNuZCkyQ/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

La patria degli eSports: la Corea del Sud

Così come il Brasile (o, va bene, l’Italia) sono la patria del calcio, la Corea del Sud è la patria degli eSports. Ed è un posto da guardare se vogliamo capire cosa potranno diventare gli eSports nei prossimi anni. In un’intervista al New York Times, il giocatore professionista olandese ha detto «il gioco professionista esiste nella sua forma e nella sua dimensione attuale in gran parte grazie alle persone che l’hanno reso possibile in Corea del Sud. Altri Paesi ci hanno messo anni a mettersi in pari e, ancora oggi, stanno cercando di replicarne il successo».

In Corea del Sud, il gioco competitivo è già un fenomeno di massa. Dai primi anni 2000, infatti, grazie a una rivoluzione infrastrutturale che ha portato banda larga e alfabetizzazione digitale a quasi tutto il Paese, e agli internet cafè dove i ragazzi potevano trovarsi a giocare insieme, i videogame online sono diventati parte della cultura del Paese. Il governo coreano ha presto riconosciuto le potenzialità degli sport elettronici, creando una lega professionale di videogiocatori professionisti: la Korean E-Sports Association. Oggi, i team sono sponsorizzati da grandi aziende (il campionato mondiale di League of Legends è stato vinto dai Samsung White, ma esistono anche i Samsung Blue) e alcuni giocatori sono diventati vere e proprie star. Un po’ come i calciatori qui da noi.

L’interesse di Amazon — e degli altri giganti del web come Google e Yahoo — nei confronti degli eSport indica che il fenomeno crescerà presto e tanto anche da noi in occidente. E chissà, magari inizieremo a contenderci la sede dei Campionati Mondiali di videogame come League of Legends così come facciamo con il calcio.

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