Mentre l’Istat pubblica i nuovi dati sul mercato del lavoro, con la disoccupazione che ha raggiunto il record del 13,2% (3,4 milioni di cittadini attivi), sta avendo una notevole risonanza sui media italiani la stima prodotta da una start-up, Face4Job, sui posti vacanti: in Italia ci sarebbero 1.339.730 opportunità di lavoro che aspettano un candidato che si faccia avanti, di cui 397.000 in Lombardia, 280.000 in Veneto, 205.400 nel Lazio e ben 78.200 in Piemonte e 77.300 in Campania. Si tratta di numeri impressionanti perché corrispondono a circa il 40% dei disoccupati italiani. E, se gli italiani fossero meno pigri e più disponibili ad andare nei paesi europei più vicini, forse potremmo anche cercare di agguantare l’eldorado della piena occupazione, perché in Europa, secondo Face4Job, ci sono 19.652.395 posti vacanti.
La stima è stata ottenuta con un algoritmo che scandaglia il web alla ricerca dei posti vacanti segnalati sui siti delle aziende e scartando quelli ritenuti poco seri. Ben pochi, tuttavia, si sono curati di verificare l’affidabilità dei risultati. Il Paese è allo stremo, del resto, e la speranza di trovare un posto di lavoro rappresenta un’opportunità unica per “alzare gli ascolti” di una trasmissione o le condivisioni di un articolo. Se, poi, la soluzione miracolistica è ottenuta da una start-up che sfrutta una idea particolarmente smart, il mix è mediaticamente perfetto.
La Stampa invita a disertare il sito della Comunità Europea: «E se provassimo a cercare un lavoro fuori dall’Italia, in Europa? La risposta oggi c’è e non si chiama Eures, portale pubblico europeo – scrivono -. L’algoritmo di Face4Job, il portale sociale di matrice italiana, in due settimane dal lancio ha portato a casa un aumento di opportunità esponenziale con numeri impressionanti». Il ministro Poletti nel corso di una trasmissione radiofonica è stato invitato da un noto giornalista a studiare con urgenza la soluzione individuata da Face4Job.
A noi i dati prodotti da Face4Job appaiono invece poco plausibili. Siamo in una situazione di forte crisi economica e di disoccupazione estremamente elevata. In periodi come questi la teoria dei “bamboccioni” non regge. La gente è disposta anche a muoversi oltreconfine pur di trovare un posto di lavoro e i dati di emigrazione mostrano chiaramente che il flusso migratorio outbound è superiore a quello inbound. Altro che aspettare la pappa pronta: più di 100.000 italiani di tutte le età – ed è una cifra enorme se si pensa che in Italia si registrano 500.000 nascite all’anno – si stanno trasferendo all’estero ogni anno in cerca di una opportunità.
Ma guardiamo ai dati e partiamo da Eures, il portale della Commissione Europea dedicato alla mobilità della forza lavoro, che si propone di fornire servizi ai lavoratori e ai datori di lavoro in Europa. Eures mette in rete gli uffici di collocamento pubblici (circa 100.000 addetti) e si avvale di una propria struttura di 850 propri funzionari. In Eures convergono i curriculum dei lavoratori e le offerte di lavoro dei datori di lavoro. È chiaro che Eures sottostima il numero di posti vacanti, perché raccoglie solo i dati provenienti dalle agenzie di collocamento pubbliche e dalle aziende che aderiscono direttamente. Tuttavia, è un primo passaggio importante per capire i “numeri” delle posizioni effettivamente aperte in Europa.
Su Eures non è presente la Russia, che è invece presente su Face4Job con ben 4.324.560 offerte, ma ci sono paesi esterni alla Comunità Europea come la Svizzera e la Norvegia. Il totale delle offerte di lavoro censite è di 1.217.443. Se togliamo al dato di Face4Job le offerte russe, la differenza è enorme: 15.300.835 offerte di lavoro censite da Face4Job contro le 1.217.443 censite da Eures. Il rapporto è di 12:1. Se guardiamo al dettaglio per singoli Paesi, il rapporto tra offerte di lavoro censite da Face4Job e le offerte censite da Eures è di 9:1 per la Germania (3,74 mln di offerte), 4:1 per il Regno Unito (1,97 mln) e di ben 150:1 per l’Italia (1,33 mln).
Chi ha ragione? La fonte ufficiale ultima è rappresentata da Ocse e da Eurostat che producono statistiche sui posti vacanti. Le metodologie sono diverse ma dove c’è una differenza significativa consideriamo il dato più alto, che in genere è quello prodotto da Eurostat. Per Eurostat il Job Vacancy ratio (JVR), cioè il rapporto tra il numero di posti vacanti e il totale dei posti di lavoro, è mediamente pari all’1,6% nella EU-28. Siccome gli occupati nella EU-28 sono circa 218 milioni, ne deriva che il numero di posti vacanti si aggira sui 3,5 milioni. Aggiungendo Svizzera, Norvegia e altri Paesi europei non appartenenti alla Ue (ed escludendo la Russia su cui non abbiamo statistiche precise) si arriva ad un massimo di 3,7 milioni di posti vacanti, un quinto circa di quelli censiti da Face4Job.
La differenza maggiore, tuttavia, si riscontra a livello di singolo Paese. Infatti, è da notare che, come prevede la teoria economica (la cd “Beveridge Curve”), il JVR è inferiore nei paesi dove la disoccupazione è maggiore: in Italia il JVR è pari allo 0,5% mentre in Germania è del 2,8% e nel Regno Unito è del 2,3 per cento. Per Eurostat quindi i posti vacanti in Italia sono circa 112.000 (un decimo di quelli censiti da Face4Job), in Germania sono 1.172.025 e nel Regno Unito sono 718.767 (circa un terzo di quelli censiti da Face4Job).
In conclusione: è vero, Face4Job rappresenta una interessante novità nei servizi di collocamento e ricerca del personale e siamo certi che questo sito, come gli altri che sono già nati e che nasceranno in futuro, aiutino a risolvere i gravi problemi occupazionali del nostro tempo, affiancandosi alle reti ufficiali. Siamo in guardia, però, e non attribuiamo doti salvifiche agli “algoritmi”. Questo non significa certo che il portale non offra servizi reali, ma che in un Paese in cui il dramma della disoccupazione è vissuto sulla pelle di tanti giovani e meno giovani è importante che il fenomeno sia misurato correttamente in tutte le sue dimensioni. Tutti conoscono le potenzialità delle tecniche moderne di trattamento delle informazioni conosciute sotto il nome di big data, ma il sensazionalismo di certi annunci rischia di gettare discredito nel campo delle statistiche economiche, che rappresentano uno strumento potente di controllo dei governanti e di orientamento delle politiche economiche.