In principio era il verbo. E insieme al verbo era il numero. Chiaro e condiviso. Maglie dall’1 all’11. Il portiere con l’1. Poi, nell’ordine, i difensori, quindi i centrocampisti, infine gli attaccanti. C’erano eccezioni e una diffusa tolleranza sui numeri 4,5 e 6, difensori o centrocampisti a seconda delle tradizioni o delle latitudini. Ma tutto sommato ci si capiva. Il mondo (del calcio) era un giardino.
La retorica dell’età dell’oro, specie nel calcio, è un sintomo di paranoia. Ma anche i paranoici, talvolta, hanno ragione. Sarà un caso che il nadir del calcio italiano corrisponde al 69 di Meggiorini, al 99 di Cassano e al 45 di Balotelli? Possiamo fingere davvero che non stia accadendo niente? Da anni gli dei del calcio ci tempestano di segnali che ci rifiutiamo di cogliere. L’anima del calcio è malata, assediata dai sette vizi capitali, che si manifestano attraverso i numeri di maglia.
Accidia
Male antico, origine delle sciagure odierne. Un’inerzia burocratica che affonda le radici nella Coppa del mondo dove per lungo tempo i numeri sono stati distribuiti secondo principi alfabetici, relativi o assoluti, come per l’Olanda finalista ai mondiali del ’74, dove il numero 8 del portiere Jongbloed è il primo caso noto a rompere la sacralità del numero 1. Sebbene il principio alfabetico venga poi abbandonato, ai mondiali argentini del ’78 molti olandesi manterranno i numeri ereditati dal ’74, attirandosi addosso un’altra (sacrosanta) sconfitta. Simile il caso dell’Argentina nel 1978, 1982 e 1986, che produce la maglia numero 1 degli offensivi Ardiles e Almiron, rispettivamente ai mondiali spagnoli e messicani. Tuttavia l’alfabetismo quasi assoluto prevede saggiamente due eccezioni: il 10 di Maradona e l’11 di Kempes nel 1982, il 6 di Passarella, il 10 di Diego e l’11 di Valdano nel 1986. E infatti l’Argentina vince due dei tre mondiali. Più cervellotico e parimenti burocratico il principio alfabetico “per reparto” adottato dall’Italia a partire dai mondiali 1978, forse in seguito allo sfortunato dualismo Mazzola-Rivera del 1974. Principio che prevedeva l’attribuzione d’ufficio delle maglie numero 1, 12 e 22 ai portieri e poi una rigida numerazione alfabetica all’interno dei sottogruppi : prima i difensori , poi i centrocampisti, infine gli attaccanti. Sottogruppi che diventano addirittura cinque nei mondiali ’82, con l’aggiunta del reparto ali: Causio, Conti, Massaro. Tra le rarissime eccezioni troviamo il 6 di capitan Baresi, il 10 di Roberto Baggio (che quattro anni dopo si accontenterà di un anonimo 18) a Usa ’94 e il 3 di capitan Maldini a Euro ’96. Comprensibilmente turbata dalla visione della maglia numero 9 attribuita a Mauro Tassotti nel ’94, Moreno Torricelli nel ’96 e di Albertini nel ’98, la FIGC ha optato prudentemente per una sostanziale liberalizzazione a partire da Euro 2000. Ma ormai il virus era in circolo.