Carocci manda dieci lavoratori in cassa integrazione

Carocci manda dieci lavoratori in cassa integrazione

La Carocci ha trovato l’accordo con i sindacati. Dopo una settimana di sciopero dei lavoratori, l’accordo sottoscritto il 14 gennaio prevede la cassa integrazione a zero ore per dieci dei 32 dipendenti, anziché 17 come prevedeva il piano di riduzione dei costi presentato dalla proprietà prima di Natale. Si salvano 7 lavoratori, ma nella redazione resteranno solo tre persone, il resto del lavoro sarà affidato a service esterni. Dal 15 gennaio i dipendenti in sciopero, che nel frattempo hanno creato e aggiornato il blog caroccinsciopero.wordpress.com, torneranno in azienda. «Nulla vieta che i dieci dipendenti in cassa integrazione possano essere reintegrati in azienda», spiega Fabio Scurpa, segretario generale Slc Cgil di Roma Nord e Civitavecchia che ha seguito la vertenza, «ma è chiaro che queste sono uscite e fanno parte di una piano di riduzione dell’organico». 

Sindacati e lavoratori non sono convinti del piano di rilancio della società. Che «non punta a mantenere la qualità del lavoro ma solo alla riduzione dei costi». «Nutriamo forti perplessità su quello che affronterà un’azienda da sempre caratterizzata per l’alta qualità dei suoi prodotti», dicono. Il motivo del ridimensionamento sarebbe il calo del fatturato della casa editrice, dovuto alla crisi strutturale dell’Università, mercato di riferimento dei libri di Carocci. La maggioranza degli studenti universitari in Italia studia o ha studiato sui manuali della casa editrice fondata a Roma nel 1980 da una costola de La Nuova Italia, e assorbita da Il Mulino nel 2009.

Nell’ultimo anno, l’azienda ha dichiarato una perdita reale di 200mila euro, e un calo delle vendite in libreria del 13,9% negli ultimi tre anni. Ma secondo i sindacati, dietro la crisi ci sarebbe soprattutto una cattiva gestione, «che ora viene fatta pagare ai dipendenti». Per fare un esempio: alla Carocci manca una direzione commerciale. «Dall’arrivo della nuova gestione, nel 2009, con l’acquisizione da parte del Mulino, non abbiamo più un catalogo, e guarda caso la perdita delle vendite è sui prodotti da catalogo, non sulle novità». Non solo. «La società lamenta un calo del 35% nella parte finanziata in collaborazione con gli istituti di ricerca». Ma il calo, secondo i lavoratori, «si potrebbe semplicemente spiegare con la riduzione della redazione dedicata a questi prodotti. Abbiamo calcolato che ci sono 150mila euro di libri che non possono essere prodotti per mancanza di personale nella redazione».  

Tutto è cominciato a giugno 2014, quando la società Edifin – holding che controlla Il Mulino e Carocci – aveva annunciato una cassa integrazione a dieci ore. Ma a dicembre, alla vigilia delle vacanze di Natale, è arrivato l’annuncio del piano drastico: cassa integrazione a zero ore per 17 dei 32 dipendenti. L’8 gennaio, durante un incontro in Regione, i sindacati avevano anche proposto di attivare contratti di solidarietà per prendere tempo e rilanciare la società. Ma la proprietà aveva rifiutato.

Da subito è partito lo sciopero di tutti i dipendenti della casa editrice. Che hanno creato un blog nel quale hanno spiegato il proprio lavoro, raccontando passo dopo passo le fasi di confezionamento di un libro di qualità, lanciando l’hashtag #siamoilibricheleggi. La proprietà aveva proposto ai dipendenti di creare una cooperativa alla quale sarebbe stato appaltato il lavoro della casa editrice. La proposta, dicono i sindacati, non dava alcuna sicurezza e così è stata rifiutata. In realtà la Edifin ha inprogramma anche un’altra esternalizzazione, tanto che ha annunciato il licenziamento di 14 dipendenti de Il Mulino e il successivo riassorbimento nella Edimil, una newco che dovrebbe lavorare per la casa editrice bolognese.

Che una semplice casa editrice non è. Nella gerenza dei soci della Associazione Il Mulino, che controlla la stessa casa editrice, ci sono nomi come Giuliano Amato, Ilvo Diamanti, Ernesto Galli della Loggia, Giulio Napolitano, Valerio Onida, Angelo Panebianco, Arturo Parisi, Gianfranco Pasquino, Luigi Pedrazzi, Romano Prodi, Gian Enrico Rusconi, Michele Salvati, Carlo Trigilia, Giacomo Vaciago, Ignazio Visco. Lo stesso Luigi Pedrazzi aveva subito criticato il piano di riduzione dei costi e a Repubblica aveva dichiarato: «È stato vergognoso mollare così la Carocci». Sulla piattaforma Change.org, intanto, quattro grandi nomi dell’Università italiana come Alberto Asor Rosa, Tullio De Mauro, Adriano Prosperi e Luca Serianni, hanno lanciato la petizione «Rilanciamo Carocci», che ha raccolto quasi 5mila firme. 

Il 10 gennaio, nel corso dell’assemblea dei soci dell’Associazione Il Mulino, presente anche l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, erano emersi diversi dissensi. Ma alla fine l’assemblea aveva riconfermato all’unanimità piena fiducia nell’operato della dirigenza. Nel comunicato stampa si era sottolineata la necessità di puntare sulla qualità del lavoro, raccomandando all’amministratore delegato del Mulino e di Carocci, Giuliano Bassani, di «operare ogni sforzo per mantenere aperte relazioni costruttive con i lavoratori e i sindacati», chiedendo la «valorizzazione delle risorse umane».

Valorizzazione che alla fine non c’è stata. L’accordo ora dovrà essere ratificato in Regione Lazio il 21 gennaio. «Il prezzo pagato dai lavoratori resta comunque altissimo», dicono i sindacati. E così anche Carocci si aggiunge alla lista dei grandi nomi dell’editoria in crisi. «E in così poche persone si rischia di avere un controllo serrato più sui tempi di lavoro che sulla qualità». 

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