Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale favorito alla corsa per il Quirinale Sergio, è il figlio (politicamente) prediletto di Bernardo Mattarella, più volte ministro nei governi a cavallo tra i ’50 e i ’60. «Era un rapporto complesso, quello di Vito Ciancimino con la famiglia Mattarella. Un rapporto antico – scrisse il cronista palermitano Francesco La Licata – che risale all’origine della sua fortuna politica ed economica, quando avviò l’attività del trasporto su carrelli ferroviari grazie a una concessione statale, quando era ministro Bernardo Mattarella, il papà di Piersanti e Sergio». Una figura quella di don Vito che tornerà nella storia dei Mattarella, come vedremo più avanti. Un ritorno che non sarà però foriero di fortune, ma di morte.
Piersanti, classe 1935 fu ucciso dalla mafia mentre era presidente della Regione Siciliana. Consigliere comunale della DC a Palermo, eletto nel 1960, arriva all’ Assemblea Regionale nel ’67, per poi diventare presidente della Regione undici anni dopo.
Il suo assassinio matura in seguito alla Conferenza regionale dell’agricoltura, in cui Mattarella prende una netta posizione, sollecitato da Pio La Torre, nei confronti dell’allora assessore. La Torre denunciò l’assessorato all’agricoltura come centro della della corruzione in ambito regionale, indicando lo stesso Giuseppe Aleppo, allora assessore come personaggio colluso. Mattarella rimarcò la necessità di gestire in modo corretto e legale i contributi agricoli regionali, allora punto sensibile anche nei piani del governo per lo sviluppo del Mezzogiorno. Aleppo fu comunque confermato all’assessorato, ma le dichiarazioni di Pio La Torre e Piersanti Mattarella attirarono il mirino di mafie e poteri più o meno criminali.
Il 6 gennaio del 1980 un killer fredda il Presidente dell’Ars Mattarella dentro la sua auto a cinque mesi dal termine della legislatura regionale. Le ipotesi investigative si svilupparono faticosamente. A far quadrare il cerchio fu l’ultimo atto investigativo chiuso da Giovanni Falcone sui “delitti politici” depositata il 9 marzo del 1991.
Il 6 gennaio del 1980 un killer fredda il Presidente dell’Ars Mattarella dentro la sua auto
Le ipotesi di Falcone puntavano alla commistione tra gruppi della destra eversiva, in particolare i Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR) e cosa nostra. Nel 1995 furono condannati all’ergastolo i boss Totò Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci, componenti della “commissione” di cosa nostra. Nel corso del processo la moglie di Mattarella dichiarò inoltre di riconoscere l’esecutore materiale dell’omicidio nella persona di Giuseppe Valerio Fioravanti, che tuttavia sarà assolto per questo crimine.
Falcone aveva infatti ipotizzato l’ esistenza di uno “scambio” di favori tra la mafia e l’ eversione neofascista. Una tesi che era avvalorata sia dalle dichiarazioni del fratello di Giusva Fioravanti, Cristiano, sia dalla testimonianza di Irma Chiazzesi, la moglie di Piersanti Mattarella. La vedova del presidente della Regione, che assistette all’ uccisione del marito, aveva descritto nei minimi particolari il killer che sparò a bruciapelo contro Mattarella: «Aveva un ghigno glaciale», disse la signora Mattarella che poi in aula, in confronto, indicò senza esitazione Giusva Fioravanti come il sicario del marito.
A decidere l’ uccisione del presidente della Regione Piersanti Mattarella, del segretario provinciale della Dc Michele Reina e del segretario regionale del Pci Pio La Torre, fu la cupola della mafia
La pista nera cadde: per la sentenza, e per l’impostazione accusatoria di Giuseppe Pignatone, che stravolse l’indagine di Falcone, non ci fu scambio di favori tra Cosa nostra e l’ estremismo di destra. A decidere l’ uccisione del presidente della Regione Piersanti Mattarella, del segretario provinciale della Dc Michele Reina e del segretario regionale del Pci Pio La Torre, fu la cupola della mafia. L’ombra dietro a questi omicidi rimane quella dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino. Giuseppe Pignatone, oggi procuratore capo a Roma, allora rappresentante dell’accusa a Palermo sostenne che Ciancimino «legato alla cosca dei Corleonesi» era «contrastato da Mattarella per un suo rientro nel partito con incarichi direttivi». «La Torre – aggiunse Pignatone – indicava Ciancimino come personaggio emblematico dell’intreccio mafia-politica-affari; Michele Reina (segretario provinciale della DC di Palermo ucciso nel 1979) era entrato in contrasto con costruttori legati a Vito Ciancimino».
Insomma, dietro agli “omicidi politici” tra cui quello di Piersanti Mattarella l’ombra ingombrante di Vito Ciancimino. Ad escludere una partecipazione dei terroristi neri nei tre agguati sono stati i pentiti Tommaso Buscetta, Francesco Marino Mannoia, Gaspare Mutolo ed altri collaboratori di giustizia. Come ricorda una cronaca su La Repubblica del 1995 di Francesco Viviano “Pio La Torre venne assassinato per il suo impegno contro la mafia, perché aveva proposto il disegno di legge per la confisca dei patrimoni dei boss. Michele Reina, invece, fu assassinato perché avrebbe favorito alcuni imprenditori edili vicino ad una cosca mafiosa che dava fastidio ai Corleonesi. La sentenza ha provocato la reazione di Giuseppina La Torre, vedova del segretario regionale del Pci, secondo la quale il verdetto «non rende giustizia e non fa verità».