Green Hill, tre condanne per l’allevamento dei beagle

Green Hill, tre condanne per l’allevamento dei beagle

La prima sezione penale del tribunale di Brescia ha condannato tre persone per maltrattamento e uccisione di animali nel processo sulla vicenda “Green Hill”, un allevamento di Montichiari (Brescia) messo sotto sequestro nell’estate del 2012. La sentenza è arrivata oggi, venerdì 23 gennaio. Nella struttura circa tremila cani di razza Beagle venivano allevati per essere venduti a strutture mediche e di ricerca che fanno uso della sperimentazione animale.

La vicenda aveva acquistato rilevanza nazionale alla fine del 2011, con una serie di servizi del programma televisivo Striscia la notizia: un filmato mandato in onda nel novembre di quell’anno aveva denunciato che gli animali erano gestiti in condizioni igieniche molto carenti. Poche settimane dopo, quando già erano cominciate le manifestazioni anche al di fuori del bresciano e la Procura di Brescia aveva aperto un’inchiesta, l’ex ministro del Turismo Michela Brambilla aveva annunciato che l’allevamento sarebbe stato chiuso, definendolo «fabbrica di morte».

Con la sentenza di questa mattina il tribunale ha condannato a un anno e sei mesi Ghislane Rondot e Renzo Graziosi, rispettivamente co-gestore e veterinario di Green Hill; un anno per il direttore Roberto Bravi. È stato assolto invece l’altro gestore, Bernard Gotti. Il pubblico ministero Ambrogio Cassiani aveva chiesto condanne più dure, tra i due anni e i tre anni e sei mesi.

Nella sentenza – le cui motivazioni verranno depositate entro 60 giorni – viene disposta inoltre la confisca dei cani e il divieto di allevamento per due anni per i condannati.

La Lega Antivivisezione (LAV), in prima fila nelle proteste contro la struttura, ha annunciato che chiederà anche «l’imputazione dei veterinari dell’Asl di Lonato, dell’Istituto Zooprofilattico di Brescia e dei funzionari della Regione Lombardia e del Ministero della Salute, che in tutti gli anni passati avevano scritto che tutto era regolare nell’allevamento».

La vicenda Green Hill

La LAV definisce «storica» la sentenza. «Per la prima volta – dice a Linkiesta Gianluca Felicetti, presidente dell’associazione animalista – una filiale collegata a una multinazionale è stata condannata. Sono stati accolti entrambi i capi di imputazione ed è stata rigettata la tesi di Green Hill, portata avanti in questi mesi, secondo cui quei beagle non fossero animali come gli altri», tutelati dalle normative. «Che pure – aggiunge Felicetti – restano insufficienti».

L’allevamento “Green Hill 2001”, cinque ettari di terreno sulla collina di San Zeno e una ventina di dipendenti, era collegato alla Marshall BioResources, una succursale della multinazionale statunitense Marshall Farms, che ha sede nello stato di New York. Marshall BioResources si dedica all’allevamento animale per la sperimentazione scientifica. Era l’unico allevamento di cani per quello scopo rimasto in Italia. 

Fin dal 2010 era nata nel bresciano la campagna “Salviamo i cani di Green Hill”, con lo scopo iniziale di evitare l’ampliamento dell’allevamento (poi bocciato dal comune di Montichiari) ma allargatosi presto fino a chiedere la chiusura della struttura.

Tra il 2008 e il 2012, oltre seimila cani erano morti nell’allevamento, secondo quanto ha detto il pubblico ministero nella requisitoria finale del processo. Diverse decine di animali, ha aggiunto facendo riferimento alla documentazione presentata dai periti dell’accusa, sono stati uccisi solo perché malati e senza ricevere cure adeguate.

La LAV ha denunciato che, nell’allevamento, gli animali erano abbandonati a se stessi dalle sei di sera fino al mattino successivo, che solo un veterinario seguiva tutta la struttura e che i cani erano tenuti in condizioni igieniche molto carenti, aiutando il diffondersi di malattie.

Nell’aprile del 2012 una decina di animalisti – poi fermati dalle forze dell’ordine – erano entrati nella struttura dopo una manifestazione, aprendo una breccia nelle recinzioni e prelevando una settantina di cuccioli. Nelle stesse settimane, molte altre iniziative di protesta si stavano tenendo in parecchie città italiane, da Roma a Milano, e una petizione promossa dal “Comitato Montichiari contro Green Hill” aveva raccolto decine di migliaia di firme. Le campagne per la chiusura dell’allevamento avevano ottenuto anche il sostegno di personalità del mondo dello spettacolo come Brigitte Bardot (da tempo impegnata in battaglie per i diritti degli animali).

Il 18 luglio 2012 la Procura aveva chiuso le indagini, rinviando a giudizio quattro responsabili dell’allevamento e disponendo il sequestro probatorio dei capannoni. Nei giorni successivi i cani, dati dai giudici a Lav e Legambiente, erano stati dati in affidamento a centinaia di persone.

Il processo conclusosi oggi non è l’unico che riguarda la vicenda: a maggio scorso il comandante della polizia locale di Montichiari Cristian Leali è stato assolto dall’accusa di falso e omessa denuncia per alcune ispezioni del 2011. Leali era imputato insieme ad un funzionario regionale lombardo.

La vicenda ha avuto conseguenze anche sul piano legislativo: recependo una normativa europea del 2010, un decreto legislativo del marzo 2014 – soprannominato “norma anti Green Hill” – ha introdotto nuove limitazioni nell’uso di animali ai fini della ricerca scientifica sul suolo italiano, arrivando a vietare esplicitamente l’allevamento di cani, gatti e primati (che quindi devono essere comprati all’estero dalle strutture che ne fanno uso).

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