La scomparsa del cibo

La scomparsa del cibo

Questa storia comincia alla fine del 2012 nella Silicon Valley, in un angusto appartamento di San Francisco, dove tre 25enni hanno appena fallito nel progetto di una startup che avrebbe dovuto costruire torri per cellulari. Avevano ricevuto 170mila dollari da un incubatore, gliene restano 70mila. Si mettono subito al lavoro su un altro progetto, lavorano di continuo, senza mai uscire di casa. Resta un solo problema: il cibo. Serve qualcosa di nutriente e veloce da preparare. La prima soluzione sono i panini a un dollaro di Mc Donald’s. Ma non resistono per molto. Poi provano con una dieta vegetariana, ma neanche questa non li convince. Alla fine, ragionando da ingegnere, uno di loro, Rob Rhinehart, si rende conto che in fondo hanno bisogno di carboidrati, non del pane in sé, di amminoacidi e lipidi, non di latte. E anche le verdure, sì sono una fonte di minerali e vitamine, ma per la maggior parte sono fatte di acqua. E allora perché non mangiare direttamente le molecole che ci servono? Niente spesa al supermercato, niente pentole, forchette, briciole e tavola da sparecchiare.

Rob ordina così polveri e pillole online e li scioglie in acqua. Il risultato è una brodaglia marrone dove c’è tutto quello di cui ha bisogno per vivere chiuso in quell’appartamento di San Francisco. La chiama Soylent, e comincia a vivere bevendo solo bicchieroni della sua nuova creatura. Dopo cinque settimane pubblica sul suo blog i risultati dell’esperimento. Il titolo è “Come ho smesso di mangiare cibo”. Rob racconta della sua colazione “deliziosa” con Soylent, del suo pranzo con Soylent, della sua cena con Soylent. Facendo pure due conti: il costo per la spesa alimentare era sceso da 470 a 50 dollari al mese. Dopo un mese a base di Soylent, dice di avere la pelle più chiara e i capelli più spessi. Qualcuno non gli crede, ma molti cominciano a domandargli qual è la formula chimica della sua brodaglia. E lui, in pieno spirito open source, la posta nel suo blog. Con tanto di peso e dosi, come se fosse una ricetta. 

La formula diventa di dominio pubblico. Qualcuno si fa la sua versione con più calcio, altri consigliano di aggiungere magnesio. Alla fine Rob si rende conto che quella brodaglia poteva essere la startup di successo che aveva sempre cercato. Così lancia una campagna di crowdfunding per sviluppare il prodotto, raccoglie 3 milioni di dollari, e in poco tempo le confezioni di Soylent cominciano a girare in lungo e in largo per gli Stati Uniti. Prima del lancio, i preordini toccano già un milione di dollari. Venture capitalist e incubatori fanno a gara per finanziare il progetto. A maggio 2014 Rhinehart e coinquilini finiscono sul New Yorker con il titolo “The End of Food“, “La fine del cibo”. L’ultima notizia è che a gennaio 2015 sono arrivati 20 milioni di dollari da una cordata di investitori di serie A guidata da Andreessen Horowitz (gente che ha investito in Twitter quando non era ancora Twitter, per intenderci).

(Polvere di Soylent/Foto Afp-Stringer)

Soylent è amato da destra a sinistra. Piace ai superimprenditori che non hanno tempo di dedicarsi al cibo e anche a vegetariani e ai più impegnati, visto che tra gli obiettivi ultimi potrebbe esserci anche quello di combattere la fame nel mondo. E poi c’è l’aspetto ambientalista: Soylent punta a eliminare ogni extra, permettendo al corpo di assorbire meglio le sostanze. E di certo non ci si sente appesantiti. Il sapore è a metà tra un impasto di pane e la crema di semolino per bambini. Tra gli ingredienti di Soylent ci sono sono carboidrati, omega 3, sodio, magnesio, ferro, vitamine, proteine, fibre, calcio, fosforo, zinco, potassio e manganese. Tutto concentrato in una polvere da sciogliere in acqua. E il pasto è fatto. È «salutare», spiegano dall’azienda, perché «include tutti gli elementi di una dieta sana, senza zuccheri dannosi, grassi saturi o colesterolo». Ma anche «semplice da usare». Ed «economico: il cibo sano costa tanto e richiede molto tempo per la preparazione. Soylent costa solo 3 dollari a pasto». Esempi del genere si trovano già in passato, soprattutto nel campo delle diete. La differenza, in questo caso, come ha scritto il New Yorker, è il marketing. O meglio l’idea che Rhinehart tende a enfatizzare: che si possa vivere anche di solo Soylent. E lo ha fatto per quasi un anno e mezzo, almeno da quello che racconta, senza avere alcun problema di salute.

Il nome del prodotto, tra l’altro, viene da un film del 1973, Soylent Green, di Charlton Heston: una storia distopica ambientata nel 2022 (non troppo lontana) in cui, a causa di sovrappopolazione e inquinamento, gli umani si cibano solo di misteriose gallette chiamate Soylent Green, che alla fine si scoprono esser fatte di carne umana. Soylent non è fatto di carne umana, ma risponde all’idea di nutrirsi al meglio in condizioni estreme. Un po’ come la razione K per i soldati americani della seconda guerra mondiale, il cibo in bustina per astronauti, i superenergizzanti per gli sportivi o il cibo liquido in flebo per i malati. 

Il trailer di Soylent Green

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La difficoltà in questo caso è trovare cibo sano e nutriente in poco tempo e con uno sforzo minimo. Rhinehart avrebbe trovato la soluzione: cibarsi dei nutrienti base quando non si ha tempo, usando il resto del cibo come “cibo ricreativo”. Si può scegliere se usare Soylent come pasto completo, o solo come uno “snack”. Sul sito sono indicate i grammi e le calorie da dosare in base alle esigenze. La confezione base contiene 7 sacchettini da 432 grammi di polvere e 7 bottiglie di un mix di oli vegetali da 60ml, utili per preparare un minimo di 21 pasti. Tutto per un costo di 85 dollari.

Da Soylent raccontano che il successo ha superato ogni loro aspettativa, e precisano che il drink non è tecnicamente un sostituto del cibo, ma che la Food and Drug Administration lo ha classificato come “cibo” vero e proprio. Anche se loro lo considerano più che altro come un “cibo base ingegnerizzato”. 

(Le dosi per consumare Soylent)

Soylent ancora non è disponibile fuori dai confini americani, ma da Los Angeles, dove i tre si sono trasferiti, si stanno muovendo per oltrepassarli. Per questo preferiscono non parlare tanto con i giornalisti europei “per evitare delusioni o confusioni ai potenziali clienti”. Intanto, però, essendo la formula di Soylent open source, c’è chi l’ha già replicata in Europa con un nome che lo ricorda molto, Joylent. Il creatore del beverone europeo è un ragazzo olandese di nome Joey van Koningsbruggen, pittore, ex cantautore, ex direttore di un sito web di letteratura erotica ed ex spacciatore, che servendosi della ricetta pubblicata sul sito di Soylent, ha frullato la miscela comodamente a casa sua. «Volevo ordinare Soylent, ma non potevo», ci racconta. «Così ho provato a farlo io stesso e ho vissuto solo di quel drink per 30 giorni. Rispetto alla ricetta originaria, ho aggiunto gli aromi (banana, cioccolato, vaniglia, fragola, ndr) per renderlo più gradevole, ed è così che è nato Joylent».

Viaggio nella fabbrica Joylent, ad Amsterdam

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La ricetta contiene farina d’avena e di soia, proteine del latte, maltodestrina, polvere di vitamine, polvere di semi di lino, polvere di frutta essiccata e cacao. La novità è che Joylent ha un sapore migliore rispetto a Soylent, grazie agli aromi, ma sull’aspetto ci si deve ancora lavorare (pare che van Koningsbruggen stia pensando all’aggiunta di coloranti).

Oggi Joey si nutre di Joylent «per il 60% della mia dieta», racconta. «Il resto è fatto soprattutto di pizza e patatine fritte». Ride. All’inizio non pensava di commercializzare il suo preparato, ma dopo il successo del video della preparazione del drink nel laboratorio della sua cucina (condiviso anche da un nome celebre olandese come Roland Giphart), l’idea lo ha stuzzicato. «Oggi», dice, «le vendite vanno alla grande: vendiamo 3.500 pacchi in 32 Paesi ogni giorno». Italia compresa. Nei laboratori di Amsterdam si producono 2.500 chili di polvere a settimana. «Si tratta di cibo come ogni altro cibo al mondo ma con una più alta densità di nutrienti», dice Joey. «È una grande cosa di per sé e non cambia quanto sia buono il resto del cibo. Se mangi un pasto solo per avere nutrienti, come quando sei molto impegnato, e mangi Joylent o Soylent risparmi tempo e denaro che servirebbero invece per preparare cibo più sofisticati. Quando invece hai tempo e attenzione ti puoi sbizzarrire di più. Se tutti i giorni mangiassimo nient’altro che nutrienti, avremmo una sorta di tabula rasa dei gusti. E in questo modo credo che Joylent e Soylent aumenteranno il piacere di mangiare gli altri cibi».

Ma sarà davvero così? Basterà davvero un beverone marrone per dire “ho mangiato”? Non tutti ne sono convinti. Compreso uno come Chris Ziegler, founding editor di The Verge, che grazie a un mese a base di Soylent ha perso 6 chili senza soffrire la fame. Ma alla fine ha ammesso: «I pasti in polvere possono saziare il corpo, ma non l’anima». Lo dice anche Maura Franchi, sociologa dei consumi dell’Università di Parma: «L’estrema funzionalizzazione del cibo risponde al mito della resposansabilità sul nostro corpo, che dà l’illusione che sia possibile individuare una dieta pefetta a cui attenersi scrupolosamente per mantenersi in salute. Non è la prima volta che pasti sostitutivi entrano sul mercato. E l’accentuarsi della mobilità ne induce la riproposizione. Ma non basta bere una brodaglia per dire “ho mangiato”. Il cibo non è solo un insieme di sostanze nutrienti, è molto altro. E privarsi di tutto ciò che il cibo offre, a partire dal piacere dei sensi e dalla convivialità, è un grave danno alla salute del corpo e della mente». Forse, una via di mezzo esiste. Come tutte le cose, basta saperla usare senza abusarne. Così come bisognerebbe fare con il cibo, quello vero.

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