Coraggio e lungimiranza. Coltivare talenti in Italia è possibile, a patto di avere una buona dose di queste due qualità. Mentre si moltiplicano le storie di laureati che lasciano radici e affetti per portare altrove le proprie competenze, capita di scovare realtà che disegnano tutt’altro percorso: imprenditori che allevano giovani ingegneri per creare qualcosa di unico al mondo. Disposti a spendere ogni anno cifre consistenti in ricerca e sviluppo. E che scelgono l’Italia come Paese in cui fare tutto questo. Archimede Solar Energy (Ase) ha sede a Massa Martana, in Umbria, ed è una società controllata del Gruppo Angelantoni Industrie, uno dei leader mondiali nella produzione di tubi ricevitori per centrali solari termodinamiche. «Investire in Italia e creare nuovi posti di lavoro fa parte della vision del nostro gruppo», spiega la ceo di Ase, Federica Angelantoni. «Mio nonno, il fondatore, decise di trasferire in Umbria, nella sua terra natale, l’azienda che aveva creato a Milano, dopo essere emigrato a nord. Voleva tornare e creare occupazione qui». Ed è con questa idea in testa che ancora oggi a Massa Martana si allevano talenti.
Nel 2007, anno di nascita, Archimede ha assunto sei ragazzi neolaureati o con qualche anno di esperienza, provenienti tutti dall’Università di Perugia, per attuare un progetto sperimentale avviato nel 2001 dal Nobel per la Fisica Carlo Rubbia presso l’Enea di Napoli, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile di cui Rubbia è stato presidente. Si trattava di ottimizzare una tecnologia già esistente nelle centrali solari termodinamiche di tutto il mondo, ma troppo poco efficiente. Rubbia in sostanza proponeva di sostituire i tubi a olio che trasportano il calore raccolto dai pannelli solari con tubi a sali fusi, capaci di raggiungere temperature più alte e quindi di produrre – a parità di condizioni – più energia elettrica (qualche anno fa Superquark ha dedicato una puntata alla novità del professor Rubbia, e questo video aiuta a capire meglio di cosa si tratta).
Tra 2003 e 2004 il Gruppo Angelantoni vince la gara fatta dall’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, per scegliere chi avrebbe prodotto i nuovi tubi ricevitori. Nascono i primi prototipi, tutti ancora per uso sperimentale. Finché l’italiana Enel non decide di mettere in funzione questa tecnologia nascente in una delle sue centrali solari, Priolo Gargallo, Sicilia. Ed ecco che entrano in scena i sei ingegneri italiani.
È il 2007 quando al Gruppo Angelantoni viene affidato il compito di produrre i tubi ricevitori per Priolo. Le attività artigianali fatte fino ad allora presso l’Enea non sono più sufficienti. Occorre costruire e poi gestire delle macchine che producano i tubi. Ma nessuno sa come fare. «È in questo momento che nasce Archimede Solar Energy», racconta la ceo. «Si trattava di creare una tecnologia nuova al mondo, per cui non c’erano assolutamente competenze. Il gruppo Angelantoni metteva a disposizione le conoscenze meccaniche, l’Enea portava il progetto sperimentale, ma mancava chi avrebbe unito le due cose. Abbiamo scelto allora di assumere giovani ingegneri umbri, richiamandone anche qualcuno che si trovava già all’estero. Per sei mesi questi ragazzi hanno lavorato fianco a fianco con i tecnici dell’Enea di Napoli. Dovevano imparare a gestire le macchine che avrebbero realizzato i tubi. Perché se da un lato questi erano molto semplici sul piano della componentistica (sono fatti di acciaio e vetro), dall’altro sono davvero complessi nella loro realizzazione».
Dopo aver investito più di 60 milioni di euro nel progetto di ricerca di Archimede Solar Energy (Angelantoni calcola una media di 500 mila euro all’anno destinata solo alla Ricerca e sviluppo e non solo per il progetto Enea), l’azienda si trova a fare i conti con una domanda di mercato ridimensionata rispetto al 2007. «La crisi finanziaria mondiale ci ha costretto a ridurre o tagliare alcuni progetti. Ma contro di noi rema anche la produzione di shale-gas, e le primavere arabe che hanno colpito il nostro mercato di riferimento, il nord Africa, il territorio più adatto alla creazione impianti solari, sia per le alte temperature raggiunte dai raggi solari che per la vicinanza all’Europa».
Eppure, nonostante questo, la ceo si dice assolutamente convinta della scelta fatta, perché quella sviluppata a Massa Martana, in Italia, è una «tecnologia vincente. Il problema sono le condizioni economiche e politiche di questo momento, non la bontà di quanto abbiamo costruito. Il mercato non si è ridotto, è solo in ritardo», continua Angelantoni che accenna a progetti aperti e momentaneamente sospesi in Cina, India e Sardegna. «I profili professionali che abbiamo creato sono unici al mondo, tanto che alcuni di loro vengono ora chiamati da aziende straniere che stanno entrando nel settore».
Federica Angelantoni non rimpiange nemmeno la scelta di restare in Italia. «Fa parte della tradizione del nostro gruppo e della vision del fondatore. Ma l’Umbria è anche il territorio in cui sono radicate le nostre competenze. E dove abbiamo potuto godere di conoscenze elevatissime, tra Enea e quelle degli ingegneri usciti dall’Università di Perugia». Certo, altri Paesi come Spagna o Germania, apparivano nel 2007 molto più attraenti sul piano degli investimenti. «Lì avremmo avuto accesso a finanziamenti a fondo perduto e agevolazioni per le prospettive occupazionali create. Qui abbiamo avuto un parziale sostegno pubblico solo a cose già fatte, quando si è trattato di creare un impianto dimostrativo a Massa Martana. Per il resto abbiamo fatto tutto con soldi privati».