Al-Sisi, il grande nemico dell’Isis verso la guerra

Al-Sisi, il grande nemico dell’Isis verso la guerra

La risposta dell’Egitto alla decapitazione dei ventuno ostaggi di fede copta e di nazionalità egiziana, pubblicizzata dall’ISIS con un video diffuso domenica, è stata rapida. Al-Sisi vuole farsi vedere forte e deciso contro gli estremisti islamici sia davanti agli altri paesi arabi che davanti alla comunità internazionale, mentre sul fronte interno deve affrontare un aumento dell’attività dei terroristi nel Sinai che hanno di recente dichiarato la loro affiliazione all’autoproclamato Califfato.

Nella mattina di lunedì 16 febbraio, l’esercito egiziano ha annunciato con un comunicato di aver condotto attacchi aerei in Libia contro i ribelli jihadisti affiliati al cosiddetto Stato Islamico. La TV di stato ha mandato in onda immagini della partenza degli aerei militari dalle basi in Egitto. Secondo le forze armate, la missione è stata un successo e sono stati colpiti campi di addestramento e depositi di armi.

 https://www.youtube.com/embed/4FJr4DfejSY/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

L’attacco egiziano è avvenuto in risposta al video diffuso domenica dall’ISIS in cui viene mostrata la decapitazione di ventuno egiziani copti, motivata dalla loro religione – in cui si riconosce circa il 10 per cento della popolazione egiziana, la più grande minoranza cristiana di tutto il Medio Oriente – e condita dalle usuali minacce contro «i crociati» e la promessa di «conquistare Roma».

Gli ostaggi uccisi erano per lo più lavoratori poveri dai villaggi dell’Egitto meridionale, rapiti nella zona di Sirte tra fine dicembre e i primi di gennaio, scrive il quotidiano egiziano Al-Ahram. Nonostante il caos che regna nel paese, molti egiziani – sia cristiani copti che musulmani – vanno in Libia per lavorare, principalmente nel settore delle costruzioni.

Domenica sera il presidente egiziano Abdel-Fattah Al-Sisi aveva detto che il paese si riservava «il diritto di rappresaglia» contro l’ISIS. Fin dalla presa del potere dopo la deposizione di Morsi, Al-Sisi si è voluto mostrare come difensore della minoranza cristiana egiziana: il suo discorso recente sulla necessità di una riforma all’interno dell’Islam, che ha avuto molto risalto internazionale, è stato pronunciato il 6 gennaio proprio alla cattedrale copta del Cairo.

ISIS in Libia

L’emergere dell’ISIS in Libia, o meglio di gruppi che si dichiarano ad esso affiliati, è da un lato un ulteriore elemento di complicazione nella già contorta situazione nel paese e dall’altro un indizio della crescente presa, almeno a livello ideologico, dell’autodichiarato Stato Islamico tra i gruppi terroristici di matrice islamista in diversi paesi arabi – incluso l’Egitto.

Il New York Times ha scritto pochi giorni fa, citando fonti dell’antiterrorismo americano, che il cosiddetto Stato Islamico (o ISIS o ISIL, chiamato nei paesi di lingua araba con la sigla dispregiativa Daesh) si sta ampliando sensibilmente oltre la sua originale zona di azione in Siria e Iraq, con gruppi affiliati in Afghanistan, Algeria, Egitto e Libia.

In alcuni casi, prosegue il NYTimes, si tratta di gruppi terroristici che avevano fatto parte di Al-Qaida e che di recente hanno deciso di dichiararsi parte di un’organizzazione percepita “più vincente”. Il controllo effettivo delle gerarchie terroristiche siriane o irachene sarebbe per il resto quasi assente, in particolare nei paesi nordafricani.

In Libia, due governi rivali lottano per il controllo del territorio quattro anni dopo la fine del regime di Gheddafi nel 2011. Dopo gli attacchi aerei NATO, il paese è stato lasciato sostanzialmente a sé stessa e i tentativi di avviare un processo democratico nel paese, con due elezioni nel 2012 e nel 2014, sono falliti molto presto.

Le antiche divisioni tribali, tenute sotto controllo durante il regime, sono esplose dopo il collasso del governo centrale in una guerra intestina tra un’infinità di gruppi armati (parecchie centinaia) con una moltitudine di ideologie, obiettivi e motivazioni diverse.

Tra questi, almeno tre hanno dichiarato negli ultimi tempi di volersi legare allo Stato Islamico: uno per ciascuna delle tre grandi regioni in cui è divisa la Libia fin dai tempi coloniali, ovvero la Tripolitania a ovest – dove si trova Tripoli e ha sede uno dei due governi in lotta – il Fezzan desertico a sud e la Cirenaica a est – dove si trova, nella città costiera di Tobruk, il governo considerato legittimo da gran parte della diplomazia occidentale. Gli attacchi egiziani sono stati compiuti con la collaborazione dell’esercito governativo libico – intendendo con “governativo” quello fedele a Tobruk.

L’Egitto e la minaccia dell’ISIS

L’ISIS è arrivato anche in Egitto, un dato che potrebbe spiegare la risposta immediata del governo di al-Sisi al video delle ventuno decapitazioni. Il gruppo estremista Ansar Beit al-Maqdis, attivo nella penisola del Sinai, ha dichiarato la sua affiliazione all’ISIS lo scorso novembre, adottandone i metodi brutali – come le decapitazioni – e lo stile comunicativo.

Il 29 gennaio ha rivendicato una serie di attentati esplosivi contro le forze di sicurezza nella regione, in cui sono morti 24 soldati, sei poliziotti e quattordici civili: l’attacco sembra indicare un aumento delle attività del gruppo terroristico, nonostante Al-Sisi abbia inviato mezzi blindati e rinforzi militari nella regione fin dallo scorso settembre.

Il New York Times dice che, secondo i rapporti dell’intelligence occidentale, membri del gruppo con base nel Sinai sono stati in Siria negli scorsi mesi per ottenere appoggio militare e finanziario. Finora, Ansar Beit al-Maqdis ha colpito quasi esclusivamente le forze governative egiziane che provano a mantenere il controllo sulla regione al confine tra Egitto e Israele, evitando attacchi contro i civili, gli occidentali o i membri della minoranza copta.

La diplomazia del kalashnikov

Nel frattempo, l’Egitto di Al-Sisi sta cercando il suo posizionamento nella diplomazia internazionale. I rapporti con gli Stati Uniti, che per decenni ha dato miliardi di dollari in aiuti finanziari e militari, si sono raffreddati con la presa del potere dei generali, la deposizione di Morsi e la successiva repressione contro i Fratelli Musulmani. Il presidente egiziano ha mostrato di recente di voler cercare nuovi alleati.

Martedì scorso il presidente russo Vladimir Putin ha fatto una visita di stato al Cairo molto pubblicizzata sui media egiziani: il quotidiano Al-Ahram – di proprietà statale – ha dato grande risalto all’evento chiamando Putin «un eroe dei nostri tempi».

Putin ha portato in dono alla sua controparte un kalashnikov, prima di concludere una serie di accordi di alto profilo: il libero scambio tra l’Egitto e la recente Unione Economica Eurasiatica – dominata dalla Russia – una zona industriale russa vicino al canale di Suez e un programma di assistenza nella costruzione del primo reattore nucleare in Egitto.

Nella risposta all’ISIS in Libia, ad ogni modo, Al-Sisi ha lasciato intendere il suo appoggio a un intervento internazionale, di cui si parla con insistenza da alcuni giorni: il presidente egiziano ha annunciato che il ministro degli Esteri Sameh Shoukri andrà a New York per parlare con le Nazioni Unite e «mettere la comunità internazionale davanti alle sue responsabilità, avviare le necessarie procedure in linea con la convenzione dell’ONU e dichiarare che ciò che accade in Libia minaccia la pace e la sicurezza internazionale».

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter