Ora che il governo ha portato a casa il contratto a tutele crescenti e i nuovi ammortizzatori sociali, resta da capire cosa accadrà agli oltre 500mila collaboratori a progetto. Parte dei quali dovranno migrare verso altri contratti. Quali, ancora non si sa. Il terzo decreto approvato in prima lettura dal consiglio dei ministri il 20 febbraio scorso cancella dal mercato del lavoro italiano cocopro, associazioni in partecipazione e job sharing. E dal 1 gennaio 2016 tutti gli autonomi che lavorano in maniera continuativa, ripetitiva e con un organizzazione del lavoro gestita da un committente possono andare dal giudice e chiedere di essere trasformati in dipendenti.
L’obiettivo del governo, come si legge nei decreti, è «promuovere la stabilizzazione dell’occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nonché di garantire il corretto utilizzo dei contratti di lavoro autonomo». Tradotto: riportare nel bacino del lavoro dipendente i finti contratti a progetto che in questi anni hanno rimpolpato le fila dei precari.
Il rischio dell’aumento delle false partite Iva
«È un testo molto appariscente che toglie del tutto la figura della collaborazione coordinata continuativa a progetto, che in questi anno ha accompagnato il mercato del lavoro», spiega l’avvocato giuslavorista Fabrizio Daverio. «Si tratta di una drastica abrogazione, ma le persone da qualche parte dovranno pur andare. La scommessa del governo è che i datori di lavoro assumano con il contratto a tempo indeterminato grazie agli incentivi economici. La domanda è: il lavoro autonomo finirà? In teoria, dovrebbe rimanere solo quello “buono”. Ma può anche darsi che le aziende, non potendo usare più i cocopro, e non volendo assumere a tempo indeterminato, ricorreranno di più alle cosiddette “false partite Iva”».
Il rischio c’è. Non tutti i lavoratori saranno disposti ad assumere a tempo indeterminato. E i soldi stanziati per gli sgravi contributivi per i primi tre anni, 1 miliardo di euro per il 2015, a un certo punto finiranno. Secondo gli esperti, l’effetto Jobs Act sull’occupazione potrebbe esaurirsi entro l’estate del 2015. E senza incentivi economici la “scommessa” (parola usata dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti) che i datori di lavoro assumeranno resta una scommessa. Per tutto il resto, senza cocopro, ci sono le partite Iva, incluse quelle cosiddette false o finte, cioè gli autonomi soggetti a vincoli organizzativi e lavorativi. Che già sono 400mila.
Può anche darsi che le aziende, non potendo usare più i cocopro, e non volendo assumere a tempo indeterminato, ricorreranno di più alle cosiddette “false partite Iva”
“Un ritorno al passato”
«Ci potrà essere un incremento della somministrazione», commenta Francesco Rotondi, avvocato fondatore dello studio LabLaw, «e senza il contratto a progetto ci sarà una riattivazione delle collaborazioni finte per chi non riesce ad assorbirle come contratti a tempo indeterminato. È un ritorno al passato, prima ancora della legge Biagi e della legge Fornero, quando esistevano da una parte il lavoro subordinato, dall’altro quello autonomo».
Il contratto a progetto, introdotto dalla legge Biagi del 2003 come tipologia della collaborazione coordinata e continuativa (cococo), presenta caratteristiche che sono a metà tra il lavoro subordinato e quello autonomo (parasubordinato). C’è il coordinamento da parte del committente, ma resta l’“autonomia dell’esecuzione”. «Anche in presenza della monocommittenza e della continuità della prestazione», spiega Rotondi, «si potevano avere collaborazioni cococo, cocopro e partite Iva». Ora, il mercato potrebbe di nuovo dividersi in due.
Chi sono i cocopro
In Italia i cocopro sono 502.834, diminuiti di oltre 100mila unità dopo l’entrata in vigore della legge Fornero del 2012. Più della metà ha tra i 30 e i 39 anni, e più della metà è composta da donne, con un reddito medio annuale di 10.280 euro. In base ai dati Inps, tra i collaboratori a progetto circa il 90% ha un solo committente e una percentuale di poco inferiore ha l’esclusiva, cioè non ha nessun’altra copertura previdenziale se non la gestione separata dell’Inps. I collaboratori che sono insieme monocommittenti e con l’esclusiva sono oltre 370mila su quasi 503mila, oltre il 70 per cento.
La monocommittenza non significa necessariamente che il contratto a progetto nasconda un rapporto di lavoro subordinato vero e proprio, ma spesso questi contratti sono stati usati per questo. Senza alcuna differenza di mansioni tra i collaboratori e gli altri lavoratori dipendenti. Se non nel costo, visto che al datore di lavoro il cocopro costa di meno.
In Italia i cocopro sono 502.834. Più della metà hanno tra i 30 e i 39 anni. Oltre il 70% è composto da collaboratori insieme monocommittenti e con l’esclusiva
Chi è interessato dalla riforma
Il decreto di riordino dei contratti, che ancora deve passare nelle Commissioni, interessa solo i quasi 503 mila cocopro, escludendo gli amministratori (oltre 506mila), i cococo della pubblica amministrazione (che sono circa 42mila), i dottorandi e i medici specializzandi. Restano fuori anche i lavoratori dei call center, il cui contratto collettivo ammette i contratti di collaborazione, e le prestazioni a favore delle società sportive.
Il decreto prevede anche che il datore di lavoro che entro la fine del 2015 assume un “finto” collaboratore a progetto con un contratto a tempo indeterminato avrà l’estinzione delle violazioni sugli obblighi contributivi, assicurativi e fiscali a cui doveva attenersi. La nuova assunzione, tra l’altro, godrebbe della decontribuzione per i primi tre anni. E ci sarebbero le tutele crescenti, cioè una maggiore possibilità di licenziamento. Il datore di lavoro, insomma, è invogliato a farlo.
“Alla fine i contratti a progetto trasformati in contratti a tempo indeterminato saranno tra i 150 e i 180mila”
Ma non tutti i collaboratori a progetto si trasformeranno in dipendenti. «Primo, non saranno interessati quelli che non hanno la continuità, la monocommittenza e l’esclusiva», spiega Rotondi. «Secondo, vanno tolti i lavoratori dei call center, quelli dei consigli di amministrazione e i lavoratori che vogliono restare autonomi». Fermo restando che ci saranno anche datori di lavoro che non vorranno trasformare il contratto a progetto in uno a tempo indeterminato. «Alla fine a essere interessati dalla trasformazione saranno non più di 150-180mila contratti a progetto». Un po’ meno dei 200mila annunciati da Renzi.
Gli altri collaboratori pluricommittenti rimarranno autonomi, ma senza un contratto a progetto. E chi non l’ha già fatto, probabilmente aprirà una partita Iva. Il problema resta per quei monocommittenti il cui datore di lavoro non ha nessuna intenzione di assumerli con il contratto a tempo indeterminato. Le scelte sono due: aprire un contenzioso e andare davanti al giudice – scelta costosa – o, in assenza del cocopro, aprire una partita Iva. Falsa, ovviamente. La terza alternativa, la peggiore, è che pur di lavorare qualcuno accetti di essere pagato in nero.