Viva la Fifa«Faremo innamorare i cinesi della nazionale italiana»

«Faremo innamorare i cinesi della nazionale italiana»

Se chiedi a chi segue il calcio italiano chi ne sia il vero “padrone” fuori dal campo, le risposte che ricevi potrebbero essere due: Claudio Lotito o Marco Bogarelli. Il primo, per la posizione ricoperta in Lega e Federcalcio, giudicata da molti dominante. Il secondo, perché numero uno di Infront Italy, società che allo stesso tempo è advisor dei diritti tv della Lega Calcio e partner commerciale di molte squadre di Serie A oltre che, da qualche mese, della Federcalcio. Di certo c’è che ad esempio l’accordo con la Lega porterà nelle casse del calcio italiano 945 milioni di euro nei prossimi 3 anni, circa 100 milioni in più rispetto al passato.

Poco tempo fa, tutta l’attività di Infront è stata rilevata dal colosso immobiliare cinese Wanda Dalian, di proprietà del magnate Jianlin Wang. Un’operazione da oltre 1 miliardo di euro, che dovrebbe permettere a Infront – e alle realtà ed essa connesse, quindi buona parte del calcio italiano, Nazionale compresa – di accedere in maniera più diretta a quel nuovo mercato asiatico a cui tutte le big del calcio europeo guardano. Non è stato casuale, lo scorso 19 febbraio, l’interesse scatenato dal capodanno cinese in club come la Roma e il Barcellona, con tanto di giocatori impegnati nel fare gli auguri in cinese dai canali social e dai siti delle proprie squadre.

Perché il calcio moderno ormai non è solo quello giocato. Come spesso abbiamo cercato di analizzare su Linkiesta, è un insieme di fattori spesso economici, che gestiti a seconda del mercato possono dare risultati più o meno validi. E non è un mistero che il nostro pallone, in questo momento, si trova a dover fronteggiare una crisi economica e di risultati che lo vedono indietro rispetto a molte altre realtà europee. Un gap che si potrà colmare con gli stadi, certo, ma anche con una importante novità: il brand azzurro.

Bogarelli, qual è la causa della crisi del nostro calcio? Si tratta di un problema economico, culturale, o di cattiva gestione da parte delle Istituzioni?

In realtà non sono d’accordo sul fatto che il calcio italiano stia attraversando tutta questa crisi. Lo dimostra il fatto che in Europa League sono passate cinque squadre su cinque.

Eppure in molte classifiche siamo indietro.

È evidente che, se vogliamo parlarne dal punto di vista economico,  dieci anni fa eravamo leader. L’economia del nostro calcio era supportata da capitani d’industria che mettevano nel pallone risorse proprie, attraverso rifinanziamenti o aumenti di capitale. Oggi tutto questo è venuto a mancare. Certo, siamo secondi in Europa dopo l’Inghilterra per ricavi dai media, ma molto più indietro per quanto riguarda altri business, ad esempio il merchandising. In altri Paesi si sono evoluti.

In che modo?

Prendiamo ad esempio la Germania, dove hanno avuto modo di organizzare un Mondiale, quello del 2006. O la Francia, che avrà l’organizzazione degli Europei del 2016. Il grande evento attira capitali, soprattutto da destinare agli stadi, sotto forma di finanziamenti o crediti agevolati. Succede un po’ come per l’Expo a Milano, ovvero un evento che ha richiesto investimenti straordinari ma che porterà pubblico e soldi. A noi tutto questo è mancato ed ha fatto sì che noi non fossimo più competitivi. Inoltre, in Italia veniamo da un periodo di ricchezza che ha lasciato nel calcio i costi invariati: per esempio, i contratti dei calciatori, spesso onerosi, non li smaltisci nel giro di un anno, perchè vengono stipulati in maniera pluriennale.

Cosa cambierà con il passaggio di proprietà di Infront, dal fondo Bridgepoint al colosso cinese Wanda?

Con l’arrivo di Wang Jialin e dei cinesi alla proprietà di Infront, si possono aprire molte opportunità che al momento sono sottosviluppate in Italia. Oltre agli stadi, infatti, ci sono possibilità da sviluppare a livello di marketing verso quelli che possiamo definire nuovi mercati.

Ultimamente si leggono critiche nei confronti di Infront, in particolare sul fatto che rappresenti un “blocco” di squadre contrapposto a un altro. Qual è la sua posizione in merito?

Noi come Infront abbiamo rapporti contrattuali con 17 club su 20, evidentemente perché sappiamo fare il nostro lavoro e offriamo buoni servizi. Non parlerei di blocchi di squadre contrapposte in Lega. Noi proponiamo servizi squadra per squadra, ma che è più comodo vendere in blocco, questo sì. Ma ciò significa che noi ci muoviamo seguendo un business, non seguendo una maggioranza o una minoranza. Di conseguenza, io non starei qui a chiedermi “cosa fare”. Dobbiamo “fare”, perché gli altri producono ricavi. Perciò direi basta con certe polemiche e di metterci al lavoro.

Infront ha anche stretto di recente un rapporto con la Figc. Il rilancio del nostro calcio passa anche dalla Nazionale?

Quando non gioca un club, gioca la Nazionale. Quindi, per non avere dei buchi nella nostra attività, l’attività della Nazionale è un complemento necessario. Possiamo dare risalto nazionale alla Nazionale, scusate il gioco di parole. Anche perché la nostra è una delle selezioni più importanti, una di quelle che ha vinto più Mondiali di calcio.

Seguendo quali strategie?

Il nostro obiettivo è quello di cogliere l’interesse di Paesi a noi “complementari”.

Cioè?

Ci sono appassionati di calcio come cinesi, o uzbeki, tanto per fare un esempio, che seguono nazionali di calcio storicamente poco competitive. Nel caso in cui queste squadre si ritrovino fuori da una competizione come può essere il Mondiale, allora questi tifosi possono spostare la loro attenzione su altre nazionali più forti. Questo perché si possono identificare in un brand. La Nazionale è un brand: è la stessa cosa che succede quando la squadra della tua città non gioca in Serie A e allora tifi un club più famoso. L’Italia è nella lista di quelle sei o sette nazionali che è riuscita a vincere nel campionato del mondo e molti seguono il nostro Paese e lo identificano come brand per tanti altri aspetti, dal paesaggio al cibo.

In una intervista alla “Gazzetta dello Sport” di qualche mese fa, lei disse che Infront aspirava a diventare anche advisor della Lega per stadi e marketing. È questa una delle vostre strategie future?

Noi vogliamo sviluppare altre linee di ricavo, ma non dobbiamo parlare di abbattere la teledipendenza. Perché i media non sono solo il mezzo che trasmette una partita di calcio. Sono un mezzo di comunicazione che promuove il calcio, comprese le altre linee di business come le maglie, o gli sponsor, piuttosto che gli stadi stessi. Per alcune di queste linee, cercheremo di firmare dei singoli accordi con delle squadre, ma tutto ciò non passa necessariamente dalla Lega Calcio.

Come vede il nostro calcio fra dieci anni?

Fra dieci anni vedo molto bene il calcio italiano. Il nostro è un pubblico sempre molto interessato, più di quello di Germania e Francia. In Italia il calcio non è solo uno sport, ma fa parte del nostro sistema di vita. Ne parliamo dovunque, dal bar all’ufficio. Lo vedono alla tv. Come sarà il nostro futuro, da come andrà, dipende anche da tante cose. Prima di tutto, in Serie A siamo 20 squadre, ma ognuna ha responsabilità etica ed economica. In questo senso, il nostro calcio è passato da scandali più o meno recenti. E molto dipende anche dal comportamento dei giocatori. Quando guardi una partita all’estero, non vedi i calciatori rotolarsi a terra per venti minuti. Dunque quello che conta non è soltanto la scenografia, ma cerchiamo di raccontare una buona storia con buoni attori, in un contesto in cui dobbiamo cercare di progredire.

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