«La ‘ndrangheta c’è, anche a Reggio Emilia, ma è sempre altrove, sempre in un “altrove”, fisico e geografico tale da non richiedere mai una presa di distanza reale, una indicazione precisa, una posizione chiara. Purtroppo questo sarà il rischio corso anche da tanti amministratori constatato nel corso dell’indagine».
Quattro righe scritte a pagina 864 dell’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione Aemilia della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna, che la scorsa settimana aveva visto finire in manette 160 persone e indagate altre 200. Quattro righe che disegnano il rapporto perverso, ma strettissimo tra mafia, politica e mezzi di comunicazione in quel dell’Emilia Romagna.
Da sdoganare c’era la battaglia contro il prefetto Antonella de Miro e i provvedimenti di interdizione dei confronti delle società legate agli indagati a cui erano state revocate le certificazioni antimafia. In particolare è uno degli arrestati nell’indagine, Michele Colacino, ad avviare le danze in tal senso. Con la cooperativa Transcoop di cui è socio, partecipa a un contratto per la raccolta rifiuti solidi urbani per contro del gruppo Iren, e in seguito all’intervento dell’antimafia si vedrà bloccare i mezzi.
Due mesi dopo il provvedimento del prefetto, arrivato nel febbraio del 2012, si presenta alla porta di Colacino uno degli inviati dello “Speciale Tg1” che sta raccogliendo materiale per un servizio sulla ‘ndrangheta in regione. Colacino nel suo intervento minimizza la presenza della ‘ndrangheta a Reggio Emilia e afferma che, riassumo i magistrati «la vera mafia è individuabile nelle cooperative, nella Camera di Commercio e nella Prefettura”. Visione condivisa e portata avanti pubblicamente anche da altri affiliati e da una parte della politica emiliana che secondo gli inquirenti risulta vicina ai clan, in particolare ai Grande Aracri di Cutro.
Da qui, dai provvedimenti prefettizi, arriva l’abboccamento con Giuseppe Pagliani, capogruppo del Pdl al Consiglio Provinciale di Reggio Emilia, e l’ormai noto pranzo presso il ristorante “Antichi Sapori”. A dirigere le danze è Nicolino Sarcone, che secondo gli inquirenti è «referente della cosca a Reggio Emilia e comuni limitrofi».
Una occasione ghiotta sia per le cosche, ma anche per Pagliani, che intercettato al telefono con la fidanzata, non si fa problemi nel far notare come gli uomini incontrati «vogliono usare il partito, il Pdl per andare contro la Masini (presidente della Provincia, ndr), contro la sinistra». Insomma, sintetizzano gli inquirenti, sfruttando «la potenzialità elettorale dei “cutresi” per sconfiggere gli avversari politici.
I rapporti con la politica locale
Non sono pochi gli amministratori locali “inciampati” in qualche modo nella rete degli investigatori nel corso delle indagini. Dunque Pagliani non è solo: tra gli indagati anche Giovanni Bernini, ex presidente del consiglio comunale di Parma, in passato consigliere dell’ex ministro Lunardi, poi scagionato dalle accuse di concorso esterno in associazione mafiosa.
Ancora, sempre in Emilia, è Gino Frijio, uomo legato ai cutresi, che intercettato esorta altri sodali a sostenere anche il futuro sindaco di Parma Luigi Villani e Paolo Buzzi (ex presidente del Cda della stessa Iren). Nomi quelli di Vignali, Villani e Buzzi che tornano dall’inchiesta che nel 2013 vide finire in manette tre con le accuse di corruzione e peculato.
Non solo Emilia però, perché il clan di Nicolino Grande Aracri punta anche il Veneto e in particolare Verona. Stando alle indagini i lascia passare buoni sono quelli dell’industriale Moreno Nicolis (finito ai domiciliari) e Antonio Gualtieri, “ministro delle finanze” del clan. Nel 2012 i due si dedicano insieme ad un affare immobiliare, Nicolis, scrive il gip, è in «ottimi rapporti con l’amministrazione scaligera», e mira ad acquisire l’area di Tiberghien dopo il fallimento della Rizzi Costruzioni. Anche Grande Aracri, tramite Gualtieri si mostra interessato all’affare.
Da qui arriva anche il pranzo con Flavio Tosi (non indagato) e Vito Giacino, ex vice sindaco, con delega all’Urbanistica, condannato in primo grado a cinque anni per corruzione. D’altronde è lo stesso Gualtieri che dice «Questi “baluba”… non capiscono che senza politica… non si fa niente».
L’affare sulla speculazione edilizia, ricostruiscono gli inquirenti, intanto rientra nel “‘Piano degli interventi” della giunta scaligera con le varianti urbanistiche chieste dalla società di Nicolis, la Nicofer. Agli atti finisce pure un’intercettazione ambientale che ricostruisce un incontro a Cutro tra il boss Nicolino Grande Aracri, Gualtieri e lo stesso Nicolis. Natale 2011. A bordo del suv di Gualtieri gli investigatori hanno piazzato le cimici. «Non mi sembra tanto forte questo qua», dice Nicolis rivolto a Gualtieri descrivendo l’impressione su Grande Aracri. Gualtiero però risponde: «Morè, ascolta, lui è quella persona che comanda la Calabria… Senti a me, a un tuo fratello, che io ti voglio bene veramente … Morè, lui comanda». Un passaggio che per gli inquirenti dimostra «il forte legame con l’associazione mafiosa, di fatto non ricollegato a comuni origini regionali né a vincoli parentali».
Il “pellegrinaggio” a Cutro e i voti sospetti
Non è tra gli indagati, ma è stato sentito dai pm e sicuramente nei prossimi mesi ci saranno altre cose da chiarire davanti alla magistratura. Si parla dell’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio, che da sindaco di Reggio Emilia era tra i promotori del gemellaggio proprio con la città di Cutro.
I magistrati lo convocano in virtù di quell’episodio e della partecipazione alla processione del Santissimo crocefisso in periodo elettorale insieme ad altri candidati sindaci. Con lui, riporta il Corriere della Calabria, anche Antonio Olivo, consigliere comunale dem non indagato, ma considerato in ambienti investigativi vicino ad alcuni uomini di Nicolino Grande Aracri. Olivo alla Gazzetta di Reggio, riprese anche il refrain sulle interdicevi antimafia: «devono essere usate però con una certa accortezza», difendendo Sarcone, tra gli imprenditori raggiunti dai provvedimenti del prefetto. «Ha avuto purtroppo dei problemi in passato – dice – e se li è portati dietro nel tempo. Lo conosco anche se non ci frequentiamo: è molto bravo nel suo lavoro. Stiamo attraversando tutti una situazione davvero complessa, con le banche che non ci danno soldi e un sacco di pregiudizi». Insomma i calabresi ancora vittima di crisi e cooperative.
Così come non è indagata, ma gli atti che ha firmato sono sotto la lente d’ingrandimento della procura di Bologna, Maria Sergio, ex dirigente del settore urbanistica del Comune di Reggio Emilia e moglie dell’attuale sindaco democratico Luca Vecchi, sospettata di aver agevolato alcune imprese vicine ai clan.
Delrio dunque a Cutro in pieno periodo elettorale non ci va da solo e davanti ai pm cita il collega consigliere comunale del Pd Savatore Scarpino e lo stesso Gualtieri. Su Grande Aracri davanti ai pm Delrio dice «Non sapevo che era originario di Cutro. Sapevo che era calabrese, ma non sapevo che fosse originario di Cutro. Perché abita lì nel centro di Cutro? No, io non lo sapevo».
La lettura di un report dello studioso Enzo Ciconte, pubblicato proprio sul sito del comune nel periodo in cui Delrio è stato primo cittadino avrebbe potuto essere d’aiuto anche per raccogliere informazioni utili sull’inquinamento dell’economia in regione.
A verbale Delrio afferma anche di aver accompagnato alcuni esponenti della comunità cutrese ad un incontro chiarificatore con il prefetto Antonella de Miro. «Li ho accompagnati perché il prefetto potesse spiegare le ragioni» dice sentito dai pm nel 2012.
Sulla vicenda, sulla tempistica e sulle “manifestazioni di amicizia” con Cutro qualcuno desta però più di un sospetto. La Casa della Legalità pubblicando un dettagliato dossier sull’operazione fa notare «Delriò trionfò in quella tornata elettorale. Il partito di Delrio, il Pd, alle comunali ottenne 37.890 voti, e la sua lista personale “Cittadini con Delrio” conquistò altri 1.637 voti. Complessivamente 39.527 voti. Venne eletto sindaco al primo turno con il 52,5 %. Su quello stesso territorio del Comune di Reggio Emilia, nelle parallele elezioni provinciali, il Pd recupera 34.959 voti, ovvero 4.568 in meno rispetto ai voti conquistati, nella stessa votazione, nello stesso territorio, con Delrio, per il Comune. Che in quella differenza di voti abbia pesato il fatto che a differenza di Delrio (a pieni voti) la Sonia Masini, presidente uscente e ricandidata alla presidenza della Provincia si sia rifiutata di scendere a Cutrò alla processione dietro al Santissimo Crocefisso».
Tuttavia gli inquirenti riconoscono al sottosegretario di aver reagito in modo “molto chiaro” nel momento dell’apparizione sugli organi di informazione di articoli che ridimensionavano il fenomeno della ‘ndrangheta in quel di Reggio Emilia. Tuttavia, riporta Il Fatto Quotidiano, oggi (6 febbraio) il Movimento 5 Stelle chiederà le dimissioni da sottosegretario di Delrio «perché da sindaco avrebbe dimostrato sottovalutazione e leggerezza nell’affrontare un tema così delicato».
(Ultimo aggiornamento 17 novembre 2015)