Sergio Mattarella riceve un’eredità non di poco conto in campo internazionale, ma la sua storia personale e le sue prime parole da presidente della Repubblica servono a mettere meglio in luce una caratteristica del suo predecessore Giorgio Napolitano: il peso che ha avuto, in momenti delicati degli ultimi anni, nel formare una parte dell’immagine italiana fuori dai confini.
Quel peso, certamente, è stato un caso unico nella storia repubblicana – e un’eccezione che promette di non ripetersi nel prossimo futuro. Paolo Magri, direttore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) di Milano, dice che bisogna partire dalla «doppia eccezionalità» di Napolitano: da una parte «il suo profilo e la sua storia, fortemente internazionale», che è «un fatto insolito nella storia dei presidenti italiani».
Responsabile esteri del PCI, fu uno dei primi comunisti italiani ad andare in visita negli USA, nel 1978 – e fu lui che, in un incontro a Cernobbio nel 2001, Henry Kissinger salutò scherzosamente come «il mio comunista preferito» («ex comunista», lo corresse lui).
La seconda eccezionalità, continua Magri, viene dal «il momento storico in cui si è trovato a governare», quando, in passaggi difficili per il nostro paese, è stato in grado di assicurare «continuità e competenza».
Come ha notato anche Sergio Romano pochi giorni fa in un’intervista con Marco Villa, quando la politica italiana affrontava il periodo confuso in seguito alle dimissioni di Silvio Berlusconi è stato Napolitano a farsi carico di dare all’estero un messaggio di stabilità: «nel momento in cui è stato evidente a tutti che l’Italia stava attraversando una fase critica, Napolitano è divenuto l’interlocutore naturale di molti leader stranieri». In quei giorni alcuni di loro, da Obama ad Angela Merkel, gli mostrarono vicinanza poco prima che venisse varato il governo di Mario Monti, il primo ad essere chiamato “il governo del presidente”.
In almeno un caso, l’ex presidente prese un’iniziativa che mostrò come concepisse il suo ruolo in modo meno che meramente cerimoniale, in politica estera: dopo le elezioni italiane del 2013 – mentre la politica italiana dava un’altra prova di grande instabilità e incertezza – il leader dei socialdemocratici tedeschi Peer Steinbrück disse che avevano vinto «due clown» riferendosi a Grillo e a Berlusconi. Napolitano cancellò l’incontro con il leader SPD previsto durante la sua prossima visita a Berlino e disse: «Noi italiani rispettiamo la Germania ma esigiamo rispetto».
Il discorso di Mattarella
Che le cose siano cambiate, rispetto al ruolo che ha rivestito Napolitano negli ultimi anni, lo si è capito anche dal discorso di Sergio Mattarella nell’aula della Camera, martedì 3 febbraio. Il nuovo presidente ha dato un certo spazio alle questioni internazionali e su questi temi il suo discorso di insediamento ne ha ricordato un altro, il primo di Giorgio Napolitano nel 2006: le questioni toccate sono state quasi le stesse, anche se i toni e gli accenti sono molto diversi.
Tra i «rischi che minacciano la nostra convivenza», dopo aver citato la corruzione e le mafie, il neopresidente Mattarella ha nominato il terrorismo internazionale, ricordando i fatti di Parigi di poche settimane fa. Lo stesso aveva fatto Napolitano, più in breve, nel 2006, quando aveva parlato del pericolo del «terrorismo di matrice fondamentalista islamica» (un riferimento diretto all’Islam che Mattarella ha evitato).
Il neopresidente ha detto che «sarebbe un grave errore» leggere il terrorismo fondamentalista «nell’ottica dello scontro tra religioni o tra civiltà», con un parallelo quasi letterale con il discorso di Napolitano del 2006 (l’ex presidente disse che bisognava evitare «qualsiasi concessione alla logica dello scontro di civiltà»).
Mattarella ha poi nominato un episodio della storia italiana fino a ieri quasi dimenticato, in uno dei passaggi più citati nei commenti dei giorni successivi: l’attacco alla Sinagoga di Roma dell’ottobre del 1982, in cui rimase ucciso un bambino di due anni, Stefano Taché. Gli autori dell’attentato furono i membri di un commando palestinese, uno solo dei quali venne poi condannato dalla giustizia italiana (arrestato in Grecia per un altro motivo, non venne estradato e riuscì a rifugiarsi in Libia). Altri due attentatori non vennero mai identificati.
Al contrario, nel 2006 il “primo” Napolitano era passato a parlare della questione palestinese – che invece Mattarella non ha nominato – ricordando «il diritto dello Stato di Israele a vivere in sicurezza» ma anche «il diritto del popolo palestinese a darsi uno Stato indipendente».
Il riferimento all’attentato del 1982, nei commenti dei giorni successivi, è stato letto come una «attenzione per Israele» di Mattarella, che è stata da una parte riconosciuta da Calogero Mannino, anche lui democristiano di lungo corso, in un’intervista di pochi giorni fa con il Tempo, e citata diverse volte nei giornali degli ultimi giorni.
Tuttavia, Magri ritiene che non sia il caso di dare troppo risalto a quel passaggio, e che leggere segnali di un cambiamento della politica nei confronti di Israele siano «improprio ed eccessivo».
Rispetto a Napolitano, insomma, «il presidente Mattarella ha un profilo diverso – continua Magri – e in campo internazionale non ha avuto tutte le esperienze di Napolitano. Il suo è stato un discorso bellissimo, ma che ha toccato delle corde nazionali più che internazionali».
Il caso dei marò
E se riferimenti ci sono stati, le parole di Mattarella hanno ricalcato con attenzione le posizioni già delineate dal governo. Lo dimostra il passaggio sulla questione dei marò: il neopresidente ha ricordato «la delicata vicenda» di Latorre e Girone, esprimendo il desiderio che si arrivi a «una conclusione positiva, con il loro definitivo ritorno in Patria».
La presa di posizione può sembrare netta, ma come ricorda Matteo Miavaldi, giornalista di China Files e tra i massimi esperti della vicenda, «ricalca la posizione ufficiale italiana, cioè quella di riportare in Italia i marò e processarli in patria; una posizione che il governo sta mantenendo basandosi sull’interpretazione (nostra) del diritto internazionale». D’altra parte le dichiarazioni di Mattarella non hanno avuto alcuna eco in India, aggiunge Miavaldi, dove quella dei due marò «non è una storia che interessa o appassiona i media, da almeno due anni».
Il ritorno alla “normalità”
Nella sua lunga carriera politica – il suo primo incarico da ministro fu alla fine degli anni Ottanta – Sergio Mattarella ha ricoperto anche il ruolo di ministro della Difesa tra il 1999 e il 2001, nei governi D’Alema e Amato.
A quel periodo risale una vicenda particolarmente spinosa per le cronache italiane, ripresa dal blog di Beppe Grillo nel giorno dell’elezione alla presidenza della Repubblica. Il blog ha pubblicato un post firmato dal giornalista Lorenzo Sani in cui si accusa Mattarella di aver negato, anche dopo la stessa ammissione della Nato, che esistesse una questione legata all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito nei Balcani.
Quei proiettili sono stati accusati di aver causato un grande numero di patologie mortali nei militari italiani impegnati in quella zona nel 1994-1995. Ma come ha ricostruito Enrico Piovesana del Fatto, Mattarella non solo non negò l’esistenza del problema ma istituì anche una commissione parlamentare d’inchiesta alla fine del 2000, la cosiddetta Commissione Mandelli. Anche in questo caso, nessuno scheletro nell’armadio.
Insomma, se sul fronte delle riforme istituzionali la voce del presidente potrebbe farsi sentire, sul piano della politica internazionale il ruolo di Mattarella promette di essere più defilato. «Il discorso di ieri era il discorso già di una presidenza diversa, rispetto a quella di Napolitano» conclude Magri. «Questo tratto emerge ma non deve sconvogerci, perché in campo internazionale, la presidenza Mattarella potrebbe riportarci a un ruolo di “normalità” della figura della presidenza della Repubblica».