L’italiano che creò il logo di Harrods

L’italiano che creò il logo di Harrods

Verde e oro. Una delle icone londinesi, insieme al nero dei taxi e al rosso dei bus, è nata dal talento di un ragazzo che diceva «velox» anziché «fast» e appena arrivato in città non spiccicava una sola parola di inglese. Si chiamava Marcello Minale, napoletano, pecora nera di una famiglia di accademici, che alla carriera universitaria dei fratelli aveva preferito il Design. Nel 1967 a Londra, poco più che ventenne, Minale disegnava il logo verde e oro dei magazzini Harrods.

Nell’ufficio al 24 di Southwark Street, a due passi dal London Bridge, Marcello junior, figlio di Minale, accetta volentieri di fare due chiacchiere per ripercorrere la storia della Minale Tattersfield, l’agenzia di comunicazione aperta dal padre insieme all’amico Brian Tattersfield e ancora estremamente attiva, tanto da essere nominata nel 2012 il settimo studio più premiato al mondo dal Design and Art Direction, una delle istituzioni del settore. Dal 1964, l’agenzia che si cela dietro i loghi di giganti come Tesco, Boots, Ferrero, Nivea, Illy, e persino della Premier League britannica, ha ricevuto più di 300 premi internazionali per creatività ed efficacia. Sotto la guida di Marcello Junior, la Minale Tattersfield ha corso per la nomination di British Best Design dopo aver disegnato la Magenta Way, il sistema di segnaletica delle Olimpiadi di Londra, e ha realizzato diversi progetti di comunicazione per i big del settore energetico, tra cui la nostra Eni, e la russa Gazprom.

Ma il motivo per cui raggiungo Marcello è decisamente più impegnativo. Cerco una risposta a una domanda da cento milioni di dollari. Come fa questa città ad accogliere e liberare i nostri talenti. Insomma, cerco di capire perché un italiano a Londra può arrivare a disegnare il logo di un Harrods o di un Hilly e perché invece non riuscirebbe a farlo da Roma, o da Milano. Marcello, oggi Manager director dello studio, con un passato vissuto a metà tra l’Inghilterra e l’Italia, qualche idea chiara in testa ce l’ha. Tre parole chiave lo riassumono: network, semplicità, relazioni piatte.

Le conoscenze devono liberare, non legare

«Fin da sempre Londra è una città che sa riconoscere il talento e lo aiuta ad emergere. Il tuo network, il chi conosci, è importante ma funziona in modo diverso dall’Italia». Non lega, ma libera. Lo insegna la storia di suo padre. Quando Minale senior arriva a Londra nel 1960 dopo due anni trascorsi in Finlandia, inizia a lavorare in una grossa agenzia pubblicitaria, l’americana Young and Rubicam. Dopo due anni, però, decide di lasciare. «Nelle grandi agenzie non incontri mai il cliente di persona, perché c’è un account manager che fa da intermediario tra il cliente e il creativo. Questa cosa a mio padre stava stretta». Minale apre allora uno studio che funzioni con regole diverse, dove il contatto diretto con il cliente sia la base. Insieme all’amico ed ex collega Brian nasce la Minale Tattersfield, fatta da una vera coppia di opposti, tanto estroverso l’italiano («Mio papà non aveva paura di nulla, avrebbe venduto qualsiasi cosa a chiunque. Era un vulcano di idee ed energia», racconta Marcello), quanto riservato l’amico, «un vero britannico», proveniente dallo Yorkshire.

Alcuni dei progetti più importanti della Minale Tattersfield. In alto a sinistra il logo dell’agenzia, lo scarabocchio di un baffo di Marcello Minale senior. In alto a destra la foto di Marcello junior (© Minale Tattersfield)

«In quegli anni, tra i clienti della Young and Rubicam c’era anche Lord Sainsbury, della famiglia Sainsbury, proprietaria dell’omonima catena di supermarket inglesi, da sempre vicina al mondo delle Arti e fondatrice del Sainsbury Center for Visual Arts», continua Marcello. «Lord Sainsbury si innamora di mio padre e di Brian, e li introduce alla sua cerchia di conoscenze. “This are my boys”, diceva. Ed è lui a presentare i due ragazzi al British Empire States, gruppo di cui allora faceva parte anche Harrods». Il magazzino affida ai due giovani la creazione di una nuova visual identity, compreso un nuovo logo che raggruppi i molti allora esistenti. Nascono qui il verde e oro che tutti conosciamo. È l’inizio, questo, di una serie di importanti lavori che avrebbero portato la Minale Tattersfield a diventare una delle principali agenzie di comunicazione al mondo.

«Londra è sempre stata alla ricerca dell’innovazione, commenta Marcello. E già negli anni ’60 sapeva riconoscere i ragazzi che avevano talento ed energie per farcela. Le conoscenze qui sono importanti per emergere, aiutano chi ha idee, entusiasmo, intelligenza. E soprattutto non lo ingabbiano mai. In Italia invece, è come se ti indebitassi. Quando ricevi aiuto devi dimostrare eterna riconoscenza, e finisce che ti ingabbiano».

Fallo semplice

Nel 1998 Marcello Minale senior pubblica un libro: How to keep running a successful design company. (Come far funzionare una agenzia di design di successo, distribuito in Italia da Hoepli). È un successo di copie e nel giro di pochi anni arriva alla terza edizione. Tra le pagine, in mezzo ai consigli per aspiranti designer e professionisti che vogliono aprire la loro attività in proprio, ci sono alcune righe in cui Minale delinea la differenza tra Nord e Sud europa e mette nero su bianco la carta vincente del suo essere italiano. «Gli inglesi soffrono delle stesse inibizioni dei tedeschi», scrive. «Se metti a confronto i settori dell’arredamento italiano e britannico, sono diametralmente opposti. Mentre le aziende britanniche cercano di interpretare i desideri dei clienti facendo ricerche di mercato, gli italiani sono molto più liberi nei loro pensieri: producono una serie di idee originali, mettono in mostra almeno 40 prototipi, e lasciano che sia il mercato a decidere quali andranno in produzione».

How to keep running a successful design company, il libro di Marcelo Minale (© Minale Tattersfield)

Ma perché un italiano possa liberare «la sua sensualità» occorre un ambiente come Londra, o almeno, la sua logicità. Ne è convinto oggi Marcello junior, che dopo aver trascorso l’adolescenza in Italia con la madre, a 18 anni è tornato a Londra per prendere una laurea in Graphic design al West End College. «Quello che ci contraddistingue come italiani è la nostra capacità di esprimerci. Esattamente come mio padre, non abbiamo paura di dire quel che pensiamo», commenta. «Londra insegna, però, che la spontaneità è una carta vincente purché si sappia come controllarla. Gli inglesi insegnano a usare la testa per fare le cose con razionalità». Molta della creatività che gli italiani si attribuiscono, continua Marcello, è spesso troppo involuta, intima e piccola per poter diventare design vero, arte. «Siamo davvero così creativi come diciamo di essere?» Si chiede provocatoriamente. «Quello che tutti cerchiamo di fare, in questo campo, è costruire un modello, uno schema, a partire da un’idea piccola e personale. Trovi un tuo modo di fare le cose che poi vai a replicare all’infinito. Ma perché ciò accada, l’idea deve semplificarsi, deve diventare comprensibile anche agli altri oltre che a te stesso». In Italia questo concetto fa fatica ad attecchire. Anzi. Più le cose sono complicate più si crede che abbiano valore. L’Inghilterra invece riesce a rendere semplici anche le cose difficili. Ed è per questo, ad esempio, che Londra si è adattata così facilmente alla tecnologia. Perché tutto era già semplice, razionale, trasparente. E la tecnologia stessa è semplicità e razionalità».

Relazioni piatte

A Londra, però, Minale junior, sta assistendo all’arrivo di molti giovani italiani che gli fanno sperare in un futuro diverso per il nostro Paese. Negli scorsi mesi la Minale Tattersfield ha curato l’identità visiva del progetto di Luca Vullo, Influx, un documentario che si propone di raccontare la recente “ondata” di connazionali a Londra. Vi hanno lavorato ragazzi tutti italiani e tutti con un’esperienza di migrazione alle spalle. «Questi ragazzi hanno dimostrato di sapere collaborare con trasparenza e fiducia. Tutti loro hanno messo in comune le proprie idee e capacità, per raccontare la storia che li accomunava, la migrazione, appunto. È così che nasce la migliore struttura di una azienda o società. Relazioni piatte, «flat». Basate sul concetto che se hai un’idea, hai bisogno degli altri per poterla realizzare. E allora ti apri, presenti il progetto, comunichi, apri il cerchio, e inizi a costruire relazioni che diventano la base della struttura del tuo business».

È, per Marcello, un tema molto caldo anche nel settore della comunicazione. «I creativi si stanno chiedendo come fare a creare nuove strutture, nuove relazioni che permettano di liberare le idee. Io credo che la chiave sia l’apertura, la condivisione, il far crescere l’intuizione di un singolo attraverso la collaborazioni con altre menti creative. Senza paura che qualcuno ti rubi niente». Ne è talmente convinto Marcello, che proprio in queste settimane sta lavorando alla “rinascita” della Minale Tattersfield, un’agenzia cresciuta nel tempo e che rischia ora di diventare troppo grande e strutturata da soffocare freschezza e originalità. L’insegnamento che fa da base è quello del padre. Salvaguardare sempre la relazione diretta con il cliente, senza troppe sovrastrutture in mezzo. E anche questo è un bel consiglio che Londra lancia all’Italia.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter