«La storia della Grecia è una storia senza speranze. Sarà salvata con nuovi finanziamenti, ma continuerà a sopravvivere solo finché le sarà fatta la respirazione bocca a bocca. Non ha la base fiscale per finanziare uno Stato sociale e la ripresa ci potrà essere solo a tratti», a meno di un vero piano per lo sviluppo che passi dalle infrastrutture. La soluzione più probabile è «che la Grecia, ottenuto un accordo, ma non lo metterà in pratica». Però come la Grecia di Tsipras non ha avuto alternative all’accordo, l’Europa non può sottovalutare la Grecia. Non per un rischio di contagio finanziario, «oggi nullo», ma per un rischio di contagio politico: se un accordo con la Grecia di Tipras costa relativamente poco, fronteggiare una Spagna con Podemos al potere avrebbe effetti devastanti per le politiche e la tenuta finanziaria europea.
Parole e pensieri di Giorgio Arfaras, economista del Centro Einaudi e chief of investment committee di Scm Sim spa, ospite del primo degli incontri #LKopentalk, venerdì 20 febbraio, poco prima dell’accordo tra la Grecia e l’Eurogruppo sull‘estensione dei finanziamenti per quattro mesi al Paese guidato da Alexis Tsipras. Gli incontri #LKopentalk vedranno ogni settimana la partecipazione di economisti e imprenditori e altre personalità chiamate a dare la loro visione su un determinato argomento. Le prospettive della Grecia sono state al centro del primo incontro. Non sono prospettive buone, soprattutto nel lungo periodo.
Europa grigia per forza
Per arrivare alla situazione attuale della Grecia, Arfaras parte da alcune premesse. La prima è che accusare l’Europa di essere grigia e burocratica e di non tenere conto della volontà popolare è sbagliato. «L’Europa è nata grigia volutamente, per reazione al cesarismo degli anni Trenta. In quesi sistemi carismatici erano saltate tutte le mediazioni, perché il concetto di fondo era che quello che bisognava fare lo sapeva il capo. Il cesarismo ha portato alla rovina e alla guerra. Nel Dopoguerra è stato quindi voluto un sistema di pesi e contrappesi per evitare il ritorno del cesarismo. Non a caso il sistema europeo è stato inventato da tre signori anziani, cattolici e provenienti da zone di confine: Schuman, che era alsaziano, Adenauer, di Colonia, e De Gasperi, che era altoatesino. Tutti personaggi lontani dal carisma. L’Europa è volutamente noiosa. Non mi fiderei di una Europa non noiosa, visti i precedenti. La democrazia è noia». Mentre, «quelli che non amano l’Europa grigia e burocratica sono dei duci, dei cesaristi, da Grillo a Berlusconi, dalla Le Pen a Farage. Interpretano pneumaticamente quello che le persone vogliono».
Una somma di politiche compatibili
L’appello di Alexis Tsipras al rispetto della volontà popolare, per Arfaras, nasce dalla mancata accettazione dell’idea di Europa. L’Unione europea, infatti, «non è un’unità politica. È un’unità di politiche: ciascuno accetta di stare in Europa perché le politiche si assomigliano. E quella di Syriza non è una politica compatibile con le altre. Se si lasciare fare quello che ciascun Paese vuole, si sfalda l’idea che la Ue è un’unità di politiche». Chi oggi critica l’Ue prendendo a modello gli Stati Uniti, deve ricordare, aggiunge l’economista, che «negli Usa gli Stati non possono andare in deficit, se non per le infrastrutture, che sono finanziate con project bond. Solo il governo centrale può andare in deficit e per evitare il free riding dei singoli Stati sono messi dei forti vincoli di bilancio. In Europa, per arrivare agli Eurobond e al debito messo in comune si dovrebbe passare dall’assenza di nuovo debito degli Stati». Capito il meccanismo statunitense, «si capisce meglio l’idea delle spese per le infrastrutture prevista dal piano Juncker».
La Grecia e l’Euro
«Dire che l’Europa non è l’Euro è una sciocchezza – spiega Arfaras -. È uno strumento per arrivare all’Europa politica. I politici europei che hanno voluto l’Euro erano consapevoli che ci sarebbero stati dei problemi perché non c’erano tutte le condizioni per creare una moneta unica. La decisione è stata presa perché ritenevano che andare verso un’unione politica fosse talmente importante da mettere in conto degli incidenti di percorso. Non c’è un complotto o l’Europa dei banchieri dietro l’Euro».
La volontà politica è stata alla base anche della decisione dell’Europa di far entrare la Grecia nell’Euro. «Il presidente dell’Eurostat non a caso si dimise – aggiunge -. I greci hanno truccato i conti, insomma, ma lo sapevano anche gli europei».
«La parte ingenua di questo ragionamento, fatto anche per Spagna e Portogallo – continua – è che si pensò che una volta avuto un tasso di cambio prefisssato, sarebbe venuto meno il rischio di cambio e questo avrebbe favorito gli investimenti in Grecia e Spagna. In Spagna ha funzionato solo per l’immobiliare, in Grecia per nessun settore».
Ripresa sulla sabbia
Atene entra dunque nell’Euro «in modo garibaldino» ma i problemi si mostrano subito. «La Grecia non ha industria e ha servizi forniti solo da micro imprese, come i tavernieri e gli albergatori, presso le quali la raccolta delle imposte è inefficace. L’unico settore sviluppato, quello della marina mercantile, vede le navi battere bandiera dei paradisi fiscali. Inoltre la Grecia non ha Guardia di Finanza e non ha il catasto. Ha, insomma, una base imponibile debole. Non puoi avere un sistema fiscale svedese se non hai una base fiscale. Strutturalmente, le entrate sono il 35% del Pil, le uscite il 45 per cento». Queste debolezze economiche non sono diverse da quelle che hanno il Meridione d’Italia o l’Andalusia in Spagna. Ma la Grecia non ha un Nord che possa supportare un Sud povero. Potrebbero diventarlo gli altri Stati europei? «Possono farlo per ragioni simboliche e di natura geo-militare, cioè evitare che si getti tra le braccia della Russia, ma ci sarebbero probabilmente cento “Leghe Nord” nell’Europa settentrionale contro questi aiuti», risponde Arfaras.
La verità sul debito greco
Per l’economista del Centro Einaudi ci sono due narrazioni sulla Grecia, una buonista che vede i greci schiacciati dalla Troika che impone misure di austerity e una cattivista che vede nei greci i truffatori che hanno truccato i conti. Quando si ragiona della situazione ellenica, invece, «è meglio partire dall’analisi del debito greco: l’80% del debito è nelle mani di Commissione europea, Bce e Fmi. I tassi non sono affatto da usura, sono al 2 per cento. Sono pari ai tassi dei tedeschi, se si considera il debito degli anni passati più caro di quello attuale. In Italia il tasso medio è del 4 per cento. In più il 60% del debito greco ha scadenza a 25 anni, il 20% a 13 anni. È come se fosse consolidato. In Italia la lunghezza media è sette anni, negli Usa è cinque anni. Il problema sono dunque delle piccole scadenze da 5-10-15 miliardi. Quello che costa è il 20% rimanente». Per Arfaras «il debito dal punto di vista finanziario non è un problema. È un argomento fortissimo di negoziato politico. È facile dire che c’è una mancanza di sovranità. Il governo greco si rappresenta come un Davide contro Golia. C’è la narrazione di una finanza senza cuore che scavalca la democrazia».
La soluzione proposta dal ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, di ridurre l’avanzo primario dal 4,5% richiesto dall’Eurogruppo all’1,5%, «sembra una cosa innocente, ma se vogliamo un taglio sull’avanzo primario, cioè un aumento delle uscite, si pone il problema di come finanziarle. Visto che le entrate promesse in passato non sono mai arrivate, tutti sanno che le promesse sul recupero di soldi dalla sola evasione fiscale non sono credibili».
Il vero punto, spiegta Arfaras, è che alzare la spesa pubblica per favorire la crescita, in una visione neo-keynesiana, sarebbe inefficace. «Chi ha fatto le simulazioni sui conti ha visto che il deficit pubblico esploderebbe oltre ogni misura. Mettetevi dalla parte di Schauble: se partono con una spesa che fa riesplodere il debito senza garanzie sulla crescita, lo hanno fregato. Passerebbe una linea di individualizzazione in cui ogni Stato fa la propria politica anche se non è compatibile con quelle europee».
Il contagio politico
Oggi il rischio di contagio finanziario «non c’è – aggiunge l’economista -. La decisione della Bce di intervenire sui mercati con il Quantitative Easing è favorevole per Schauble e sfavorevole per Tsipras. Non può minacciare di far cadere Sansone con tutti i filistei. Oggi l’Europa ha due opzioni mentre la Grecia ne ha una sola, accettare l’accordo». Ma c’è una seconda soluzione, «che vedo più probabile: la Grecia accetterà l’accordo per non praticarlo», perché è impossibile prevedere le entrate future viste le condizioni economiche. L’end game non è comunque positivo nel lungo periodo: «Più mi allontano dal ragionamento dell’oggi, meno sono ottimista». All’Europa un accordo conviene soprattutto per evitare un rischio di contagio politico, perché se una soluzione ai problemi greci ci sarebbe il rafforzamento dei partiti anti-euro in Spagna, Portogallo, Irlanda, Francia e in altri Paesi del Nord Europa.
La sola soluzione: creare un vero sviluppo
Una via d’uscita non sarebbe allora quella di creare le condizioni per un vero sviluppo, quelle che l’austerity non è in grado di ottenere? «Sì, ha senso – risponde Arfaras -. Per esempio si potrebbe creare sviluppo attraverso le infrastrutture, dove per un euro di spesa si ottengono due euro di reddito». In questo contesto, aggiunge, sarebbe opportuno «forzare il piano Juncker sulle infrastrutture greche. «È un rischio che puoi correre – commenta -. Non graverebbe sul bilancio greco e farebbe lavorare gli operai e gli ingegneri greci. Nelle condizioni della Grecia, anche se le infrastrutture si rivelassero poco utili, come tante Brebemi, ci sarebbe comunque un senso politico, perché eviterebbe un diffondersi di movimenti di protesta come Podemos in giro per l’Europa».
L’intervista