Là dove c’era il Parma di Wembley e delle due coppe Uefa, ora non c’è più nulla. Dopo 10 anni, i gialloblu tornano a vivere l’incubo del fallimento, della sparizione. Era bello, il miracolo del Parma. Una di quelle belle storie di calcio dove piccole squadre di provincia arrivano al successo. Era bello, ammettiamolo, vedere un’intera curva di Wembley piena di bandiere gialloblu. A sventolarle, un pubblico quasi incredulo di tanta grazia.
Poi arriva il crac Parmalat, i bond che lasciano i risparmiatori a bocca asciutta, lo spettro del fallimento. Ci pensa il commissario Bondi a traghettare la società. La compra Tommaso Ghirardi e la affida a Pietro Leonardi, manager cresciuto nella scuola dell’Udinese tutta talent scout e plusvalenze. Il gioco sembra reggere, ma la differenza con Udine è tanta. Perché se per una stagione non riesci a monetizzare dal mercato, va bene. Se non ci riesci per due, tre stagioni e non hai una struttura in grado di assorbire il colpo, finisce male, malissimo. Finisce che approfitti della revoca della Licenza Uefa per andartene sbattendo la porta – mentre hai lasciato più di 100 milioni di debiti nel solo Parma Calcio e 5 mesi di tipendi non pagati-, finisce che vendi la società a un capitano d’industria albanese con un patrimonio personale da 1,5 miliardi di euro ma che dopo nemmeno due mesi capitano non è e abbandona la nave che affonda. Finisce che a comprare il club per un euro è Giampietro Manenti, imprenditore bresciano che da una settimana ripete la stessa frase, come un disco rotto: «I soldi stanno arrivando». E non arrivano. Nel frattempo, i mesi di stipendi non onorati diventano sette.
Finisce che Parma-Udinese non si gioca. Il Prefetto ducale, d’intesa con la Lega Calcio, ha preferito di no. Il Parma non ha soldi a sufficienza per pagare l’illuminazione, gli steward, l’organizzazione del match. Non è uno scherzo: mancano i liquidi in cassa. Qualche giorno fa, gli ufficiali giudiziari sono arrivati a Collecchio per pignorare due furgoni. Vecchie pendenze con Equitalia, si affretta a spiegare il club. I Furgoni? «Entro due giorni li ricompriamo», rassicura tutti Manenti. Ma fino ad ora nulla. Come i soldi. Di Manenti si sa poco e nulla e quel poco non rassicura nessuno. Si sa che è proprietario della Mapi Group, con sede a Nova Gorica. Quando si è presentato alla stampa, a metà febbraio, gli è stato fatto notare che la Mapi è in realtà una scatola vuota, che ha solo 7mila euro di capitale sociale. Accanto a Manenti c’è Fiorenzo Alborghetti, manager del Gruppo Pigna che si presenta come traghettatore. Manenti spiega che la Mapi era stata creata nel 2013 con un piccolo capitale, per una singola operazione che poi non è andata in porto. L’operazione non viene menzionata, ma dovrebbe trattarsi proprio della acquisizione della Pigna, quella dove lavora Alborghetti, per dire.
Della cosa non si fa nulla, ma Manenti dice di avere contatti nell’Est Europa, di poter portare capitali in Italia da investire. Non si ferma Manenti, e ci riprova con il calcio. Prima con la Pro Vercelli nel marzo 2013. Si propone come «semplice interlocutore di un importante gruppo straniero che ha poi comprato una grande squadra europea», spiega lui stesso. Tra la vecchia cara Pro e questa big d’Europa (che non si sa quale sia), con tutto il rispetto, ce ne passa. E infatti «il gruppo di imprenditori voleva una squadra di A o di B e la Pro Vercelli stava andando in Lega Pro», chiarisce Manenti. Che quindi vira sul Brescia, che in terza serie non ci sta andando. Ubi Banca, che delle Rondinelle è il principale creditore, stando a quanto dice Manenti lo giudica solvibile. Quindi gli apre un conto, nel quale dovrà mettere dei soldi per l’operazione. Il conto resta vuoto e dal notaio Corioni, storico proprietario del Brescia, preferisce allora non farsi vedere.
Quindi, il Parma. Dopo Taci-Doca, servivano certezze. Manenti non ne ha date molte, fin da subito. I giornalisti lo incalzano da giorni, lui spiega che i soldi ci sono, che stanno arrivando, che li raccoglie da investitori dell’Est Europa che «sono interessati al tessuto industriale locale». Parmigiano e salumi, insomma. «Sai che originalità», ridacchiano i giornalisti accorsi a conoscerlo, il giorno di Parma-Chievo. Ma l’ilarità lascia presto spazio prima allo scoramento. Questo è il quarto presidente che viene a consolarci negli spogliatoi dopo una sconfitta. La Lega in tutto questo dov’è?, dichiara il capitano della squadra, Alessandro Lucarelli, dopo lo 0-1 contro il Chievo. Poi, la fine della pazienza. Damiano Tommasi, numero uno del sindacato dei calciatori, fa prima slittare la messa in mora del club a dopo il 16 febbraio. Poi, la decisione: sì alla mora, dalla prossima settimana. Così almeno, un punto fermo in una vicenda c’è. «servono garanzie più concrete rispetto alle parole di questi 15 giorni. Una situazione paradossale, in cui chi acquista una società come questa non deve dare solo garanzie ma mostrare anche organizzazione e fatti», spiega il sindaco Pizzarotti, mentre fa la spola tra Collecchio e la Prefettura, dove si decide se è opportuno giocare o meno.
Verrebbero da chiedersi un sacco di cose. Dov’erano la Lega Calcio, o la Covisoc, quando il Parma si è iscritto al campionato, ad esempio. Dov’erano quelli che dovevano tenere conto delle relazioni dei revisori contabili sui bilanci del Parma Calcio (e della sua controllante, la Eventi Sportivi), altro esempio. Perchè Taci ha tenuto la squadra solo per neanche due mesi e guarda un po’ proprio durante il calciomercato. Perchè Manenti prima compra un club e solo dopo fa la due diligence.
«Abbiamo superato ogni tempo massimo, ora sembra che qualcuno si sia svegliato, finalmente, si sono accorti che c’è una situazione a Parma che dura solamente da sette mesi. Come si è sentito dire che la squadra forse non giocava abbiamo avuto subito la Figc qua. Mi interessa capire se in realtà vengono perché tengono alla regolarità del campionato oppure se hanno a cuore le sorti del Parma. Questo lo capiremo quando ci parleranno e siamo curiosi di capire cosa hanno da dirci», rincara Lucarelli. E siamo curiosi anche noi, francamente.