Gli Stati Uniti si dichiarano pronti a fornire armi all’Ucraina «se la via diplomatica dovesse fallire», dichiara il presidente Usa Barack Obama, a margine dell’incontro con la Cancelliera Angela Merkel. La Russia risponde subito, per via del portavoce Dmitri Peskov, che «l’intenzione di Mosca è davvero la risoluzione pacifica del conflitto» e che «l’intervento degli Usa potrebbe soltanto destabilizzare la regione». Il presidente Vladimir Putin aggiunge anche che «la Russia continuerà la sua politica estera in maniera indipendente», e che non si farà condizionare «dalle pressioni». Gli equilibri sono difficili e la situazione rischia di esplodere da un momento all’altro. La via diplomatica è ardua, gli interessi in gioco numerosi e difficili da conciliare, le strategie degli attori in gioco confuse. In mezzo a tutto questo c’è l’Europa, che non riesce a esprimere una posizione. E così la mediazione passa nelle mani della Germania – e in misura minore la Francia – l’unica che riesce a svolgere un ruolo di primo piano nella questione.
La diplomazia di Angela Merkel passa per gli accordi di Minsk del 31 gennaio, dove con Francia, Ucraina e Russia ha cercato, senza successo, di definire punti di accordi condivisi. Passa anche per i voli intercontinentali (senza Francia, però), a Washington dove cerca di moderare le posizioni interventiste Usa, sollevate soprattutto da esponenti repubblicani come John McCain («Contro i carri armati le coperte non funzionano tanto») e ottiene dal presidente Usa ancora del tempo «per la via diplomatica». Passa, infine, per le trattative con le parti in causa, osservando con attenzione le richieste di aiuto del presidente ucraino Petro Poroschenko, preoccupato dall’avanzata dei separatisti, dal sostegno concesso loro da Mosca e dal collasso economico del suo Paese. È un quadro confuso, fatto di equilibri delicati e fragilissimi. Ma quello che finora è emerso con chiarezza è l’assenza delle istituzioni europee. La diplomazia è nelle mani di una donna, ma non è – come sottolineano in tanti – Federica Mogherini, che pure dovrebbe avere voce in capitolo.
La prevalenza della Germania non è una sorpresa. Come spiega Serena Giusti, ricercatrice associata dell’Ispi e della Scuola Sant’Anna di Pisa, «c’è anche una responsabilità della Russia in questo». Mosca «ha una visione della politica estera tradizionale. Ha sempre fatto fatica a confrontarsi con questi nuovi attori e preferisce confronti bilaterali, scegliendo Paesi di peso». Di conseguenza non «dobbiamo tanto chiederci perché a questi incontri non ci sia Federica Mogherini», bensì perché «non c’è l’Italia».
La Germania «vanta anche un’importante rapporto economico con la Russia, che costituisce il suo primo partner commerciale». Negli ultimi mesi si è registrato un declino dei volumi tra i due Paesi: per effetto delle sanzioni messe in atto contro Mosca – e dei conseguenti bandi decisi da Putin – lo scambio commericale è sceso del 4,3% (almeno secondo dati diffusi dal Cremlino). Nel 2013 solo l’interscambio tra Germania e Russia ammontava a 83 miliardi, nel 2014 si prevede un crollo di almeno una quindicina. La questione avrebbe ricadute anche sull’occupazione. È naturale che la Cancelliera sia preoccupata e intervenga.
Insieme alla Germania c’è anche «la Francia», cioè «i due Paesi che mantengono una maggiore credibilità internazionale, anche da parte degli Usa. Sanno come trattare i russi, capiscono il loro modo di pensare e hanno già una tradizione diplomatica con le autorità di Mosca». Ad esempio, nel 2008 «erano riusciti a bloccare le minacce Usa, di fronte alla guerra in Georgia. In quel caso fu il presidente Nicolas Sarkozy a condurre la trattativa. Ora è la Merkel». L’assenza italiana «è notevole, anche perché abbiamo sempre mantenuto delle buone relazioni con la Russia», e non c’entra Berlusconi, «che pure aveva un’amicizia personale con Putin», ma anche «con i governi di centrosinistra: gli accordi più importanti con Mosca sono stati fatti quando il presidente del Consiglio era Romano Prodi».
Germania e Francia guideranno le trattative: ma dove andranno? «Di sicuro si cercherà di abbassare i toni, da entrambe le parti. Un accordo non sarà trovato a breve. Forse la soluzione migliore è quella di trasformare l’Ucraina in un’area “grigia”, che non sta né da una parte né dall’altra. Ma va decisa in poco tempo, perché la situazione economica del Paese è vicina al collasso. Una guerra non fa certo bene».
Una lezione, comunque, per l’Europa, «che non può pensare di attuare politiche senza effetti. Era impensabile avanzare accordi di associazione a Kiev senza che ci fossero conseguenze. Senza che ci fosse una reazione da parte della Russia. E anche la Russia, del resto, non si aspettava che le conseguenze fossero queste». Perché «non c’è una strategia precisa nei piani di Mosca. Procedono a caso. L’annessione della Crimea, con ogni probabilità, non era stata pianificata, ma ne hanno approfitatto subito. Così anche per gli altri territori dell’Ucraina, che pure sono a maggioranza russa: nessuno pensava che ci sarebbe stata una reazione simile». Il Paese «era diviso, ma non c’erano situazioni di conflitto latente, non esistevano rivendicazioni territoriali ed etniche da parte della popolazione».
L’unica strada, però, è quella diplomatica: «Si giocherà sulle sanzioni, si tratterà sullo statuto dei territori dei separatisti, sulla presenza delle truppe russe (sempre negata da Mosca), sull’inclusione nella Ue. Si cercheranno accordi sull’energia, si discuterà sulle questioni economiche, che vengono a colpire tutti i Paesi europei, in particolare quelli più vicini. Le carte sul tavolo sono tante». Del resto, «Gli effetti di un intervento armato sono incalcolabili. Gli Stati Uniti non sono vicini all’Ucraina: un intervento armato, anche simbolico, potrebbe spingere la Russia ad alzare la posta, a giocare ancora più pesante. E dubito che a quel punto gli Usa manderebbero truppe di terra». Sarebbe, insomma, una gatta da pelare che toccherebbe ai Paesi europei, e alle istituzioni comunitarie. Sempre che esistano ancora.