Strauss-Kahn manda a processo la morale dei francesi

Strauss-Kahn manda a processo la morale dei francesi

La storia della caduta di un uomo potente esercita sempre un fascino romanzesco. All’inizio del 2011, Dominique Strauss-Kahn era il direttore del Fondo Monetario Internazionale da quattro anni e per molti il candidato dei socialisti francesi alle elezioni presidenziali dell’anno successivo. Era in testa ai sondaggi contro l’uscente Nicolas Sarkozy prima ancora dell’annuncio ufficiale della sua candidatura, atteso di lì a poco.

Il 14 maggio di quell’anno, mentre era già a bordo di un aereo Air France al JFK di New York, la polizia lo arrestò in base alle accuse di violenza sessuale fatte da Nafissatou Diallo, un’inserviente dell’hotel Sofitel di Manhattan. Rassegnò le dimissioni dal FMI, vide svanire la sua candidatura presidenziale e rimase per mesi al centro di uno scandalo che, sul fronte giudiziario, si concluse solo nell’agosto successivo, quando le imputazioni contro di lui caddero per richiesta dell’accusa (una causa civile portò più tardi a un risarcimento alla donna che lo accusava di cui non si conosce l’identità). La stampa francese e internazionale si scatenò sul suo passato e sulla sua fama di “libertino” – quando non di molestatore, anche se nessuna delle cause in cui è stato coinvolto è finora arrivata a una sentenza definitiva.

Oggi Strauss-Kahn, 65 anni, andrà nuovamente a processo in Francia per una storia che rischia di toccare un punto ancora più basso, se possibile, per la sua immagine pubblica. L’accusa questa volta è di proxénétisme aggravé, sfruttamento aggravato della prostituzione, e la scena la città di Lille, nel nord della Francia. Già oggi i giornali francesi danno spazio alla discussione sui contorni giuridici del proxénétisme – un «reato dai contorni poco chiari», come scrive Le Monde.

Il nuovo scandalo promette di rivelare nuovi dettagli della vita privata dell’ex speranza dei socialisti francesi e di segnare un’altra tappa del complesso rapporto dei media e dell’opinione pubblica con le vite personali degli uomini politici. Nonostante lo scandalo, infatti, un sondaggio del quotidiano Le Parisien ha trovato che il 79 per cento dei 1008 intervistati pensa che DSK sarebbe stato un presidente migliore di Hollande, e quasi il 60% che la situazione nel paese sarebbe oggi migliore se DSK avesse concorso – e vinto – nel 2012.

Un altro sondaggio della società Odoxa ha trovato che i francesi sanno distinguere bene tra la condotta personale di un politico e le sue capacità di governo: come riporta France24, due terzi degli intervistati ha definito DSK “misogino” e “immorale”, ma l’84 per cento pensa che sia “intelligente” e il 78 per cento lo definisce “competente”. Cambierà qualcosa, dopo lo scandalo di Lille?

L’affaire du Carlton

Nell’affaire du Carlton, un elegante hotel a quattro stelle a pochi metri dalla stazione centrale, Dominique Strauss-Kahn (o DSK, come lo chiama la stampa francese) è accusato insieme ad altre 13 persone di aver preso parte e organizzato feste in Belgio, in Francia e negli Stati Uniti in cui alcune prostitute venivano pagate per far sesso con i partecipanti, tra cui lo stesso DSK – che come tutti gli altri imputati si dichiara innocente.

«Aprire le 210 pagine dell’ordinanza firmata dai giudici istruttori Stéphanie Ausbart e Mathieu Vignau – scrive oggi l’inviato di Le Monde a Lille – è prima di tutto entrare in un telefilm assai mediocre che sembra uscito dritto dagli anni Cinquanta». I media francesi oscillano tra un’autocensura dei particolari e una discussione nel dettaglio di questa o quella pratica sessuale e del suo significato nell’impianto accusatorio.

Tra gli accusati ci sono un alto funzionario di polizia, il pittoresco proprietario di una catena di bordelli al confine della frontiera franco-belga noto con il soprannome di Dodo la Saumure (“Dodo il pappone”, di cui abbondano i ritratti sui media francesi), il proprietario e il responsabile di due hotel di lusso di Lille, tra cui il Carlton, e un noto avvocato della città. Molti di loro appartengono alla stessa loggia massonica.

L’inchiesta cominciò all’inizio del 2011 e inizialmente rimase un’indagine intorno alle abitudini più o meno riprovevoli della borghesia cittadina di Lille, destinata ad avere poco risalto al di fuori della regione. Ma il 15 maggio 2011 – il giorno dopo l’arresto di DSK a New York – saltò fuori nelle intercettazioni telefoniche anche il nome di DSK, quando due persone al centro dell’inchiesta allusero all’uomo come a uno dei loro clienti.

Nei mesi successivi i testimoni dell’inchiesta cominciarono a parlare di feste e «serate libertine» a Parigi, Vienna, Madrid e anche Washington, sede del FMI, con DSK come «re della festa». L’inviato di Le Monde scrive che le descrizioni e le testimonianze delle donne coinvolte occupano due terzi dell’ordinanza processuale, facendo diventare un caso internazionale l’affaire Carlton – al netto del fatto che, secondo tutte le ricostruzioni, i festini che vedono coinvolto DSK si sono tutti svolti lontano da Lille e che al Carlton l’ex presidente del FMI non ha messo forse mai piede.

Secondo l’accusa, anche se DSK non pagava mai di persona, gli organizzatori facevano di lui «il principale beneficiario» del giro di prostituzione, per ottenere «vantaggi personali o professionali dal suo atteso accesso alla presidenza della Repubblica». Le spese sarebbero state coperte da un costruttore del grande gruppo Eiffage e dal dirigente di una società di materiale medico.

La prostituzione non è un reato in Francia, né pagare in cambio di prestazioni sessuali, e il Senato francese ha respinto una proposta di criminalizzazione dei clienti lo scorso settembre. Il ruolo di «organizzatore» contestato a DSK non è molto ben delineato, se si eccettua il fatto che almeno una delle feste in questione si sarebbero tenute in uno dei suoi appartamenti a Parigi.

Il caso giudiziario ha avuto una storia complicata, con l’iniziale non luogo a procedere chiesto dalla pubblica accusa e una decisione diversa dei giudici, che a luglio del 2013 hanno deciso di rimandare lo stesso il caso al tribunale di Lille. DSK sostiene di non sapere che le donne presenti fossero state pagate. La pena massima che rischia è di dieci anni di carcere e 1,5 milioni di euro di multa.

Un processo politico?

Nei resoconti della stampa francese, molti sottolineano che le prove contro DSK sembrano piuttosto esigue sul piano giudiziario e si domandano se la questione non riguardi anche altro oltre al piano penale. Le Monde collega la vicenda di Lille ad un altro processo che aprirà tra pochi giorni e di cui la stampa francese si è occupata molto a lungo, quello per l’affaire Bettencourt, che riguarda presunti pagamenti illeciti a membri del governo di Nicolas Sarkozy nel 2010.

Il quotidiano Libération si chiede se sia sostenibile la tesi già espressa da diversi avvocati dei 14 imputati – quelli di DSK non si sono pronunciati pubblicamente sulla vicenda – che l’intera inchiesta di Lille sia stata frutto di «un complotto» per stroncare le ambizioni presidenziali del più celebre dei personaggi coinvolti, amplificando i risultati delle indagini e portando in aula un impianto accusatorio basato sul nulla. Nel 2011, secondo questa linea di interpretazione, l’arresto di DSK a New York avrebbe fatto emergere prima del tempo una storia destinata alle prime pagine una volta che si fosse avviata davvero la campagna presidenziale francese.

«Certo – scrive la giornalista Ondine Millot – gli avvocati fanno il loro mestiere, ma una tale unanimità [tra i difensori degli altri imputati], quando differiscono gli interessi e i supposti ruoli dei loro clienti, è notevole».

Etica pubblica e morale privata

Il processo di Lille, che dovrebbe durare circa tre settimane e che ha portato nella città settentrionale giornalisti da tutto il paese – e non solo – ha anche riportato i media francesi a discutere di quanto la vita personale dei leader politici debba avere una rilevanza pubblica. Il caso, ha detto il giornalista francese Didier Specq al Guardian, non è di grande importanza sul piano giudiziario, ma «riguarda la politica, i media e i giudizi morali».

Già nel caso del Sofitel che pose fine alla sua carriera politica – il partito socialista da allora non vuole più saperne nulla di lui – molti in Francia opposero la moralità “puritana” degli Stati Uniti alla prospettiva più libertina diffusa in patria, difendendo DSK sulla base dell’argomento che «nel proprio privato ciascuno fa ciò che vuole». E questo anche a costo di non entrare nel merito della vicenda di New York, mostrando in alcuni casi una prospettiva sessista da parte dei commentatori e facendo toccare con mano l’aura di impunità di cui DSK ha a lungo goduto nella sua carriera.

A differenza di quanto accade nei paesi anglosassoni, per molti anni i media francesi si sono auto-censurati, complici le strettissime leggi sulla privacy del paese, quando è emersa la possibilità di rendere pubbliche le relazioni sentimentali, extraconiugali o meno, dei propri leader politici. Le cose sono cominciate a cambiare solo negli ultimi anni, a volte per volere degli stessi politici: Nicolas Sarkozy ha coinvolto la sua famiglia nella sua campagna elettorale del 2007, e poco dopo i media francesi hanno dato grande risalto al suo divorzio e al matrimonio con Carla Bruni mentre era in carica.

Allo stesso modo, ai primi di gennaio del 2014 finì su tutte le prime pagine la relazione extraconiugale del suo successore François Hollande. Anche se gran parte dei francesi dichiara che le scelte sentimentali o sessuali di un politico non sono di alcun interesse per il suo rapporto con gli elettori, la stampa ha preso a dare a simili vicende un’inedita copertura. Il processo di Lille è seguito da decine di telecamere e cronisti: al di là della sua conclusione, la nuova puntata dell’umiliazione pubblica di DSK mostra che in Francia il rapporto tra i media, il pubblico e i politici è già cambiato.