Uno dei temi fondamentali per una popolazione che cresce di età, come quella italiana, è il rapporto tra salute e felicità e di conseguenza i fattori che incidono sulla salute delle persone. È stato proprio questo il fulcro della ricerca “The (w)health of nations Salute e felicità” condotta dal Ceis Tor Vergata di Roma e Fondazione Angelini, per individuare i fattori determinanti per aiutare la popolazione a invecchiare bene. L’Italia è uno dei paesi con la maggior aspettativa di vita – in continua crescita, oggi si attesta intorno agli 85 anni per donne e 80 anni per gli uomini – ma in parallelo, secondo i dati OCSE, l’aspettativa di vita in perfetta salute è in calo (in discesa di 6-7 anni dal 2003 a oggi). Riveste quindi sempre più importanza il tema dell’invecchiamento attivo (active ageing), perché invecchiare in buona salute incide meno sulla felicità e sul bilancio dello Stato, costretto altrimenti a coprire una domanda sempre maggiore di servizi sanitari che rischia di diventare insostenibile.
Dalla ricerca è emerso come un incremento dell’1% della spesa sanitaria sul Pil potrebbe ridurre dello 0,1 il numero medio di malattie croniche nella popolazione over 50. «In altre parole – spiega a Linkiesta Leonardo Becchetti, professore di economia politica dell’Università Tor Vergata di Roma – se ipotizziamo una popolazione di individui senza malattie croniche, un punto in più di Pil di spesa sanitaria (circa 16 miliardi di euro in Italia) consente a un individuo su dieci di non contrarre una malattia cronica che avrebbe contratto». Oltre alla spesa sanitaria altri fattori che incidono sulla salute e quindi sulla felicità sono: istruzione, vita sociale e di relazioni, spesa sanitaria e qualità dei sistemi nazionali, soddisfazione soggettiva di salute.
Contrarre una malattia cronica ha un peso non trascurabile sulla felicità che può essere tradotto anche in termini monetari. «Una persona è disposa a pagare in media 50mila euro all’anno per evitare di contrarre una malattia cronica» continua Becchetti. Per calcolare questo valore i ricercatori hanno condotto una stima econometrica che misura l’impatto del reddito sulla felicità, e l’impatto della malattia sulla felicità. «Abbiamo confrontando la riduzione di felicità provocata dall’impatto di una malattia cronica sulla soddisfazione degli italiani, con la variazione di reddito che produce lo stesso decremento di felicità. In questo siamo riusciti a calcolare quanto costa in termini di felicità una malattia. Per esempio contrarre il Parkinson o un tumore, produce una riduzione di felicità uguale a quella che si avrebbe se si perdessero 80mila euro di reddito famigliare all’anno. Lo stesso concetto si può vedere anche come reazione compensativa, ovvero quanto reddito sarebbe necessario per riportare la soddisfazione allo stesso livello di quella che avevo prima di avere la malattia».
Con un euro in più di spesa sanitaria quindi – in grado di ridurre di 0,1 il numero medio di malattie croniche della popolazione, come spiegato sopra – si può calcolare esattamente la riduzione di malattie croniche che determina, e di conseguenza la quantità di felicità corrispondente, e il suo equivalente monetario. Ovvero 7 euro lordi (perché la stima si riferisce al reddito annuo lordo) o 4 euro netti. «Quindi per ogni euro speso in sanità ne guadagno sette in felicità, con un rendimento del 600%» sottolinea Becchetti.
Tra gli fattori determinanti che riducono l’insorgere di malattie croniche stati considerati gli stili di vita, come obesità e inattività fisica, che presi insieme impattano di 0,3 punti. Il che significa che se partissimo da una popolazione sana, essere normopeso e fare attività fisica, ridurrebbero del 30% la possibilità di ammalarsi. «Se le politiche di prevenzione funzionassero bene potremmo ridurre le malattie croniche e fare risparmiare lo stato» afferma Becchetti. «Potrebbe anche voler dire che un giorno lo stato potrebbe decidere di far pagare un ticket in più per chi non rispetta queste regole di stili di vita».
Un’altra variabile importante è l’istruzione, il cui effetto sulla salute è dimostrato da numerosi studi scientifici. Le persone più istruite, secondo l’indagine, hanno un’aspettativa media di vita significativamente più elevata rispetto i meno istruiti, soprattutto negli Stati Uniti, dove la differenza arriva fino a 10 anni per ridursi sino a 3-5 anni nei paesi europei.
Un peso rilevante sulla salute hanno anche le relazione sociali. Chi fa volontariato in particolare, come emerge dalla ricerca, ha una minore probabilità di contrarre un tumore. «La partecipazione alla forza lavoro, l’attività di volontariato, la partecipazione attiva alla vita della comunità sociale e le responsabilità familiari contribuiscono all’allenamento delle funzionalità mentali e fisiche e all’irrobustimento del “capitale psicologico” necessario per far fronte alle sfide dell’età resistendo al rischio di depressione e agli stress correlati» scrivono i ricercatori tra le conclusioni della ricerca. Anche la salute percepita infine ha un effetto sulla salute. I ricercatori hanno lavorato su un campione di 19 paesi dell’area Ocse, prendendo in considerazione più di 45mila cittadini europei over 50.
«I nostri risultati presentano suggerimenti importanti dal lato delle policy» conclude Becchetti. «Lo scopo della ricerca era identificare le variabili che incidono sulla salute delle persone, e dare dei suggerimenti di policy a livello di società, per migliorare la salute e i servizio sanitario nazionale. L’active ageing sarà uno dei temi chiave delle nostre società per i prossimi anni».