Web e terrorismo: meglio la sicurezza o la libertà?

Web e terrorismo: meglio la sicurezza o la libertà?

Dati, libertà e sicurezza al tempo di terrorismo e social network: di questo che si è parlato nella redazione di Vita, nell’incontro Privacy e Libertà ai tempi di Charlie, organizzato insieme a Linkiesta cui hanno partecipato tra gli altri Manlio D’Agostino, Oscar Giannino, Piero Dominici, docente all’Università di Perugia e Marco Donzelli, presidente Codacons.

Una tavola rotonda a cui hanno partecipato economisti, docenti, ricercatori e giornalisti, per riflettere, all’indomani della tragedia di Charlie Hebdo, su cosa si sia disposti a sacrificare in termini di privacy, in nome della promessa di una maggiore sicurezza sovranazionale. Intorno al tavolo si sono seduti Marcello Esposito, professore di International Financial Markets all’Università Cattaneo di Castellanza ed editorialista di Vita, Manlio D’Agostino, economista e consulente di direzione di Business & Financial Intelligence, Oscar Giannino, Piero Dominici, professore aggregato di Comunicazione pubblica all’Università degli studi di Perugia, Marco Donzelli, presidente Codacons e Francesco Cancellato, direttore de Linkiesta.

Nelle discussioni del dopo-Charlie si è tanto parlato di Big Data e dell’utilizzo che, di questi, si dovrebbe fare (o già si sta facendo), per rafforzare le norme di sicurezza, mettendoli a disposizione dei servizi di intelligence e riconoscendo anche il ruolo delle grandi multinazionali della rete, in grado di fornire dati sensibili sugli utenti ed indentificare così, eventuali indizi di pericolo. Ma qual è il rovescio della medaglia? Cosa significa davvero rendere pubblici i nostri dati?

Domande ancor più d’attualità visto che entro il 2 marzo banche, intermediari e compagnie di assicurazioni dovranno trasmettere all’Agenzia delle entrate tutti i dati del 2013 sui movimenti di conti correnti, carte di credito, derivati e fondi pensione, ma anche sugli acquisti di gioielli e accessi alle cassette di sicurezza. Entro venerdì 29 maggio andranno trasmessi invece i dati relativi al 2014. Queste informazioni si aggiungono a quelle del 2011 e 2012, già a disposizione del fisco. E dal 2016 tutti i dati, mensili e annuali, viaggeranno sulla piattaforma Sid (Sistema interscambio dati), approvata dal Garante per la protezione dei dati personali, in modo da poter essere usati dagli ispettori del fisco sia per la verifica delle posizioni individuali, sia per l’elaborazione di liste di contribuenti da sottoporre a controlli più rigorosi. Quando questo sistema entrerà a pieno regime, la comunicazione annuale dovrà essere fatta da banche e intermediari entro il 15 febbraio.

«La questione è estremamente complessa», ha spiegato Marcello Esposito, professore di International Financial Markets all’Università Cattaneo, Castellanza ed editorialista di Vita e de Linkiesta. «Il primo grosso problema è che non ci rendiamo davvero conto di cosa stiamo mettendo in gioco quando si parla di privacy».  Perché, in realtà, come dichiarò nel non troppo lontano 2012 uno dei più consolidati investitori della Silicon Valley, Anne Winblad, “Data is the new oil”, i dati sono il nuovo petrolio.  Non a caso, secondo il guru americano, Jaron Lanier, l’unico modo per togliere potere ai governi e alle multinazionali del web, sarebbe attribuire un prezzo a tutti i bit che costituiscono la nostra identità digitale. Non male come proposta, visto quanto sono preziosi i nostri dati per i giganti della Silicon Valley, eppure saremmo disposti a fare lo stesso e cedere pezzi della nostra identità reale? La dimensione virtuale, dopotutto non ha gli stessi diritti della dimensione reale?

Privacy e sicurezza

Moltissime aziende, dunque sono autorizzate a trattare i nostri dati, ma fino a quanto abbiamo il controllo su come le nostre informazioni vengano utilizzate? Qual è il confine tra dossieraggio e profilazione? «In realtà il “dossieraggio” non esiste», ha dichiarato Manlio D’Agostino, economista e consulente di direzione di Business & Financial Intelligence. «L’articolo 24 del Codice della Privacy, infatti, prevede una serie di casi in cui è consentito trattare dati personali anche in assenza del consenso dell’interessato». E secondo D’Agostino, ciò di cui dovremmo davvero preoccuparci non è tanto la quantità di dati che rendiamo disponibili, ma quello che viene fatto, effettivamente, con le nostre informazioni. «Un elemento, ancora molto sconosciuto in Italia, è relativo al furto di identità. Oggi si può avere accesso alle informazioni più dettagliate relative alla vita di una persona e assumerne l’identità, riuscendo ad offrire una storia plausibile e riscontrabile». Un rischio che, secondo D’Agostino, potrebbe aumentare in modo esponenziale nei prossimi anni, rischiando di arrivare a diventare uno dei crimini più diffusi. Citando insomma, il Cluetrain Manifesto, (un insieme di norme e suggerimenti per tutte le imprese che operano all’interno del mercato interconnesso): «Con una probabilità che si avvicina alla certezza assoluta, finiremo per rimpiangere di non aver fatto abbastanza per mantenere i dati fuori dalle mani dei nostri governi e dei grandi signori delle multinazionali».

Mercati internazionali

Secondo Oscar Giannino, non si può parlare di privacy, senza considerare anche il piano finanziario internazionale. Bisogna, secondo Giannino, rendersi conto di quanto sia cambiata la situazione internazionale, in termini di privacy e trattamento dati, anche a livello di grandi transazioni finanziarie. «Il Fatca ha disegnato un nuovo orizzonte per lo scambio di informazioni», afferma Giannino, sottolineando la necessità di poter contare su una comunità pubblica trasparente, capace di gestire, trasmettere e richiedere, a sua volta, dati in tempo reale. Una necessità quindi, di avere capacità all’altezza di un ambiente in cui la gestione dei dati è diventata sempre più strategica.

Dati e tutela dei consumatori

«L’eccesso di dati non è necessariamente sinonimo di maggiore democrazia o di maggior libertà di movimento», ha dichiarato Marco Donzelli, presidente Codacons, sottolineando la necessità di un intervento politico per aiutare gli utenti e dei consumatori a proteggere la propria identità, fisica e digitale, nel Far West di internet. «È necessario che misure di tutela arrivino dall’alto. I movimenti dei consumatori non possono sostituirsi ai consigli dei ministri». Ha continuato Donzelli. «Ciò che possiamo fare noi è portare avanti iniziative di sensibilizzazione, parlare di questi temi e aiutare i cittadini a diventare sempre più consapevoli».

Big Data e cittadinanza

Proprio la consapevolezza, secondo Piero Dominici, professore aggregato di Comunicazione pubblica all’Università degli studi di Perugia, è la chiave per proteggersi e tutelare il più possibile la diffusione dei propri dati online. «Un errore che commettiamo spesso è quello di considerare i social media come a sé stanti e di studiarli come tali», ha spiegato Dominici. «Invece dobbiamo ragionare come se appartenessero ad un vero e proprio ecosistema, insomma, non esiste un mondo virtuale siamo piuttosto dentro a una nuova forma di mondo». La riflessione infatti, secondo Dominici, è molto più vasta e va ben oltre la rete. «Quando si parla di governance di internet in realtà stiamo parlando anche di cittadinanza, di una nuova forma di cittadinanza». E ricordando la (spesso retorica) importanza che viene posta sulla necessità dell’alfabetizzazione digitale, Dominici ha continuato: «Ci basta davvero avere dei cittadini connessi? Probabilmente bisogna fare di più e investire su politiche di lungo periodo che riguardino la scuola e l’educazione, cercando di formare anche uno spirito critico, così da avere dei cittadini, non solo connessi, ma anche consapevoli». E proprio a questo si è collegato anche l’intervento di Francesco Cancellato, direttore de Linkiesta, che ricordando una frase di Max Weber (“Il mercato se viene lasciato alla sua autonormatività conosce solo la dignità della cosa non della persona”) ha aggiunto: «Oggi si sta costruendo una nuova realtà in cui atomi diventano byte e le persone dati. È proprio su questo che dobbiamo dare battaglia».  

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