TaccolaBanche, 5 Stelle e minoranza Pd chiedono un’indagine

Banche, 5 Stelle e minoranza Pd chiedono un’indagine

La commissione Finanze della Camera potrebbe svolgere un’indagine conoscitiva per chiarire alcuni aspetti del decreto “Banche popolari”. Questo almeno è quello che chiedono gli esponenti del Movimento Cinque Stelle, con il sostegno delle opposizioni e della minoranza del Partito democratico. Attorno al provvedimento del governo si salda una convergenza inedita. A raccogliere le firme a favore dell’iniziativa è il deputato pentastellato Alessio Villa Rosa. 

Nelle ultime ore è stato lui a contattare i rappresentanti della Lega Nord, di Forza Italia e di Sinistra Ecologia e Libertà, disponibili a promuovere l’indagine. Ma è l’intesa con alcuni esponenti della minoranza democrat a sorprendere. «In realtà quella dell’indagine conoscitiva era una proposta che aveva avanzato Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio» racconta Pippo Civati. «Ma non vogliamo fare polemiche. È una richiesta legittima e siamo disponibili a partecipare». Con il deputato Pd sarebbero già d’accordo alcuni colleghi di partito. L’ex viceministro dell’Economia Stefano Fassina e Luca Pastorino, ad esempio. Ma anche lo stesso Boccia. «Sono disponibile, certo» conferma fuori dall’Aula di Montecitorio, dove intanto prosegue il voto degli emendamenti al decreto. Entro giovedì 12 marzo si dovrebbe arrivare all’approvazione del testo. Anche il bersaniano Davide Zoggia, membro della commissione Finanze, racconta di essere pronto a partecipare all’iniziativa. «Devo essere sincero – spiega al telefono – dal Movimento Cinque Stelle nessuno mi ha ancora contattato. Ma personalmente non avrei alcun problema a firmare la richiesta di indagine conoscitiva».

Al centro delle polemiche finisce soprattutto l’articolo 1 del decreto, che obbliga la trasformazione in società per azioni delle banche popolari con attivo superiore a otto miliardi di euro. Al primo punto dell’indagine proposta dai Cinque Stelle c’è proprio «la scelta del limite patrimoniale previsto». Ma non solo. Le opposizioni chiedono di fare luce sulla «reale capacità delle banche popolari di reperire capitali nel mercato», e sull’«eventuale sussistenza di violazioni normative o regolamentari nella limitazione del recesso da parte dei soci». Villarosa avanza dei dubbi sulla legittimità costituzionale di alcuni aspetti del provvedimenti. È il caso dell’articolo 41 della Carta, dove si stabilisce che «l’iniziativa privata economica è libera». Eppure «secondo questa riforma – racconta il grillino in conferenza stampa – chi ha deciso liberamente di intraprendere un’iniziativa economica, acquisendo azioni di una società cooperativa, si troverà da un giorno all’altro in mano titoli di una società per azioni». Ci sono poi le disposizioni dell’articolo 45 della Costituzione, laddove «la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata». Villarosa incalza: «Il governo invece riconosce la speculazione privata, obbligando una forma cooperativa a trasformarsi in Spa».

I proponenti chiedono adesso di fare chiarezza. Anche per valutare l’impatto che avrebbe sul Paese «un’eventuale posizione contraria della Corte Costituzionale». Per far questo l’indagine conoscitiva dovrebbe procedere a diverse audizioni. Nella richiesta inviata al presidente della commissione Finanze Daniele Capezzone, il grillino Daniele Pesco propone di ascoltare in Parlamento i rappresentanti della Banca d’Italia e del ministero dell’Economia, ma anche un delegato della Corte dei Conti, della Banca Centrale Europea e del Fmi. Insieme a loro, si legge nel documento, si prevedono le audizioni dei costituzionalisti Cesare Mirabelli e Francesco Bassi. 

Il decreto che trasforma le dieci principali banche popolari in Spa è stato fortemente voluto dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Ha subito una sola importante modifica in commissione Finanze: il limite all’esercizio del diritto di voto al 5% per un periodo ponte di 24 mesi, pensato per evitare scalate, soprattutto dall’estero. Una modifica voluta dal Partito democratico – l’emendamento è stato proposto dal deputato del Pd Vittorio Gitti, eletto con Scelta Civica – e accettata dal governo. Al tetto del 5% la maggioranza è arrivata dopo un accordo con Ncd che, soprattutto con il ministro Maurizio Lupi, aveva risposto agli appelli arrivati dalla finanza cattolica. Il compromesso non ha però calmato le acque prima del voto. Sia nel mondo cattolico, che ha mandato un appello con i presidenti di una quindicina di associazioni ad Avvenire, sia nella minoranza Pd. «Acconsentire a un limite del 5% – ha scritto il 10 marzo al Sole 24 Ore il senatore Pd Massimo Mucchetti – non serve a nulla, anzi consente di ingrassare il cappone attraverso qualche fusione per poi servirlo a sconto». 

Non è invece stato modificato il valore di otto miliardi di attivi, sopra il quale scatta l’obbligo per le popolari di trasformarsi in spa. Un limite considerato da molti arbitrario e che non coincide, ad esempio, con le popolari italiane incluse nell’asset quality review della Bce. Ne erano rimaste escluse la Banca popolare di Bari e Banca Etruria, incluse invece nel decreto di riforma. 

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