TaccolaCambia il Titolo V ma le grandi opere non ripartiranno

Cambia il Titolo V ma le grandi opere non ripartiranno

«La riforma del Titolo V della Costituzione andava fatta ma non bisogna illudersi che questo farà ripartire le infrastrutture. Per almeno tre motivi: ci vorranno anni per implementarla, i buoi sono già fuggiti perché il mercato è diverso da quello dei primi anni Duemila, e non bisogna esagerarne la portata: lo Stato in questi anni è stato reticente a usare i suoi poteri contro le opposizioni locali, ma li aveva». A raffreddare gli entusiasmi sulle conseguenze della riforma del famigerato articolo 117 della Costituzione, è Stefano Da Empoli, presidente di I-Com, Istituto per la Competitività, associazione che da anni denuncia i ritardi causati agli investimenti dalla burocrazia. Dal giorno dopo il referendum che approvò le modifiche alla Costituzione del 2001, il nuovo Titolo V è stato messo sotto processo perché ha allargato a dismisura le competenze delle Regioni, attribuendo loro tra le altre cose poteri decisionali sulla strategicità delle infrastrutture di trasporto e dell’energia, e perché ha dato vita alla fallimentare legislazione concorrente tra Stato e regioni, responsabile solo di un contenzioso infinito. Oggi con il cambiamento in vista (manca la seconda lettura per il testo generale) le competenze su energia, infrastrutture strategiche, grandi reti di trasporto, salute e previdenza passano dalle Regioni allo Stato. Ma sbaglierebbe chi si attendesse una rivouzione. 

Cosa cambierà nel concreto per le infratrutture con la modifica del Titolo V?

A mio avviso non cambierà nulla nell’immediato. Intanto perché devono esserci le successive letture da parte del Parlamento e perché bisognerà aspettare con tutta probabilità un referendum confermativo. Anche il giorno in cui la legge sarà in vigore, tuttavia, non dobbiamo attenderci un gran cambiamento. Ci vorrà un’opera di interpretazione delle normative che durerà anni. Dal 2001 quest’opera è stata fatta dalla Corte Costituzionale: lo Stato impugnava le leggi regionali e viceversa e la Consulta ha via via sbrogliato la matassa. Ora si spera che il nuovo testo sia più chiaro e dia adito a meno ricorsi, ma c’è da attendersi comunque delle decisioni della Corte Costizionale. Ci sono altri motivi per pensare che non cambi troppo. 

Quali? 

Intanto c’è una lettura del mercato che dice che i buoi sono già scappati dal recinto. Per esempio, nel caso dell’energia, in questi anni si sono costruite le centrali dove si potevano realizzare, con i combustibili più accettati a livello territoriale, tipicamente a gas, e nelle regioni più disposte ad accogliere gli impianti. Si è così potuto cosrtuire più in Puglia e Calabria e meno in regioni come le Marche e la Sicilia. Oggi però il mercato è in caduta libera. Difficilmente si raggiungerà il livello di domanda pre-crisi. Non mi aspetto quindi un boom di infrastrutture energetiche dopo il cambiamento del Titolo V della Costituzione. 

Quello del Titolo V sarà quindi un cambiamento superfluo?

È stato un passaggio corretto. Ma sarà depotenziato dalle condizioni del mercato, che sono lontanissime da quelle del 2001. I danni creati dal Titolo V sono permanenti, non transitori. L’offerta che c’è stata è irripetibile. Vale per l’energia, ma per i trasporti il discorso è simile. 

Ci sono però questioni come il Tap, il gasdotto che dovrà arrivare in Puglia, o gli elettrodotti, per il quale un cambiamento della Costituzione era auspicato.

O si saranno risolte le cose prima che entri in vigore il Titolo V, o il Tap sarà un tema del passato. Se non si sblocca entro 6-12 mesi, il progetto sfumerà. È un caso paradigmatico della paralisi degli ultimi anni. I gasdotti all’inizio sembravano immuni dal fenomeno Nimby (Not in my backyard, non nel mio giardino, ndr). Lo sono diventati anche per il clima di incertezza della Costituzione del 2001. 

Rimangono però gli elettrodotti, che sono stati bloccati per l’impatto ambietale.

Gli elettrodotti hanno un impatto ambientale, per il tema dell’elettromagnetismo. Anche in questo caso il mercato è completamente cambiato rispetto agli anni scorsi. Non c’è più bisogno di costruire centrali di grandi dimensioni, perché il modello si baserà sempre più sulla generazione distribuita, tipicamente da fonti rinnovabili. Rimangono diversi progetti di interconnessione con l’estero, come un collegamento con il Montenegro e uno con il Nordafrica. Il tema delle interconnessioni rientra però all’interno di dinamiche più ampie del Titolo V. 

Non c’era un potere di veto delle Regioni?

Bisogna sfatare il mito che oggi le Regioni abbiano grandi possibilità di mettere i bastoni tra le ruote delle grandi opere. Bisognerà inoltre vedere se al di là delle forme della Costituzione, che volano alto, ci saranno dei punti di caduta che consentano ancora di bloccare le opere. 

In che senso è un mito il potere di veto delle Regioni?

Oggi ci sono strumenti che permettono di far valere l’interesse nazionale. Per esempio, nel caso degli elettrodotti, la presidenza del Consiglio dei Ministri può far valere il suo peso. Pensiamo al caso della Matera – Santa Sofia. Èra una linea della rete di trasmissione nazionale dell’elettricità dalla Puglia al resto del Sud, in particolare alla Campania. Alcuni comuni si misero di traverso, come quello di Rapolla (Potenza). La situazione si sbloccò con un decreto del presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm). Non bisogna quindi mitizzare gli effetti reali della riforma. 

Sul fronte della Tav con il nuovo Titolo V le cose sarebbero andate diversamente?

Con le nuove regole la parola finale l’avrebbe lo Stato. Ma già ora il peso del governo centrale è determinante, trattandosi di un progetto transnazionale. La Legge Bassanini, che esiste dalla fine degli anni Novanta, riguarda il punto di vista amministrativo, ma spesso nella pratica conta più l’aspetto amministrativo di quello costituzionale. Per esempio, quella legge ha condizionato come si strutturano le conferenze dei servizi, che oggi amplificano il potere di veto. Bisognerà capire come cambieranno con la riforma del Titolo V, secondo me non molto se non per nulla. 

Sul tema dell’ambiente rimane comunque il potere di veto delle Regioni. 

Certo. Sicuramente è positivo che ci sia l’abolizione della legislazione concorrente su alcune materi, che era uno degli elementi della riforma del 2001 da eliminare. Ma non rimarranno competenze regionali e locali. Intendiamoci: c’è il diritto delle comunità locali a dire la loro e sono favorevole alle ipotesi di dibattito pubblico prima della costruzione di una grande opera. Bisogna inoltre ripensare il tema delle compensazioni ambientali. Se è vero che le contestazioni locali spesso sono state un pretesto per alcuni soggetti per cavalcare le paure delle persone, è anche vero che spesso c’erano ragioni fondarte, anche perché le opere sono state presentate in maniera sbagliata e senza coinvolgimento. Non dobbiamo tornare allo Stato borbonico o andare verso lo Stato cinese. Dobbiamo tenere conto di quel che giunge dal territorio, c’è un tema di trasparenza e partecipazione. Poi, però, una volta che si decide, di deve implementare il progetto. Anche perché il fattore tempo è rilevante, molto più di quanto i politici sembrano rendersi conto. 

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