C’è la crisi, la pubblicità non fa più litigare

C’è la crisi, la pubblicità non fa più litigare

È finita l’epoca delle liti causate da una pubblicità fuori luogo. Oggi rimangono le finte accuse di un finto ex marito alla moglie fedifraga, che in realtà nascondono la promozione di un nuovo programma televisivo. Ma le vere liti causate da inserzioni pubblicitarie sono in calo, a leggere i dati non definitivi per il 2014 dei diversi osservatori che seguono i contenziosi delle aziende con i concorrenti, i consumatori e gli organismi di controllo a causa della loro comunicazione. Segno che si litiga di meno o di una maggiore attenzione ai consumatori? Probabilmente è solo una questione di minore voglia, in tempi di crisi, di spendere soldi per difendere la propria reputazione. 

Antitrust sempre più smaniosa di pubblicità

Il settore della pubblicità si caratterizza in Italia per una ripartizione di competenze molto articolata. Alle sezioni dei Tribunali d’Impresa, nate sull’esperienza delle sezioni specializzate in proprietà industriale, si contrappone l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, sempre più smaniosa di visibilità e assurta a vero e proprio paladino dei consumatori.

Nel 2014, sulla base dei primi dati ancora non ufficializzati, i procedimenti per pratiche commerciali scorrette gestiti dall’Antitrust sono stati 357 (comprensivo di violazioni accertate o domande rigettate perché infondate) e le sanzioni complessivamente comminate ammontano a 18 milioni di euro. Tra i casi più recenti le condanne inflitte a quattro grandi realtà produttrici di patatine fritte (sanzionate per un milione di euro complessivi) e la sanzione in solido per  TripAdvisor LLC e da TripAdvisor Italy da 500mila euro per aver diffuso informazioni ingannevoli sulle fonti delle recensioni, pubblicate sulla banca dati telematica degli operatori, e aver adottato strumenti e procedure di controllo inadeguati a contrastare il fenomeno delle false recensioni. Casi che hanno riacceso l’attenzione sul crescente protagonismo dell’Autorità. Cosa meglio delle campagne pubblicitarie  per affermare la propria leadership su consumatorie  imprese?

Infine l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria, fondato nel 1966, che tra alti e bassi ha attraversato le diverse stagioni della pubblicità italiana. Stime ancora non ufficializzate parlano di una sostanziale tenuta nei numeri delle decisioni assunte nel 2014 tanto dal Giurì, quanto dal Comitato di controllo.

Niente soldi, niente cause ai concorrenti

In questo scenario, com’è percepito dalle imprese il contenzioso da comunicazione pubblicitaria del concorrente?

«La percezione di questo specifico contenzioso ha seguito, di pari passo, l’evoluzione della rilevanza del fenomeno pubblicitario. Mentre cresceva la consapevolezza dell’importanza e della centralità della comunicazione nella commercializzazione di un bene o un servizio, ci si è resi conto che non si poteva prescindere dalla adozione di strumenti e competenze  specifiche atte a difendere l’impresa dalle iniziative altrui reputate non corrette» spiega  Massimo Tavella, tra i più autorevoli professionisti del settore.

Anche dal punto di vista normativo, si è assistito ad un proliferare di nuove regole. In primis l’autodisciplina pubblicitaria (attraverso la quale si è addirittura costituito un ordinamento autonomo di giustizia)  e poi a seguire a livello statale (su input comunitario) con le varie normative in materia di pubblicità ingannevole, pratiche commerciali scorrette e comunicazione in generale.

Ma qual è stato negli ultimi anni l’effetto della crisi? «Con la riduzione dei budget pubblicitari, tutti i soggetti coinvolti  – dai media agli utenti pubblicitari, passando dalle agenzie pubblicitarie ed i centri media – hanno, per così dire, razionalizzato le risorse. Le aziende più virtuose, tuttavia, hanno ridotto i budget legali soltanto per le attività di contrasto verso le iniziative altrui, non toccando – oppure riducendo meno sensibilmente – quelli rivolti alla verifica preventiva delle operazioni di comunicazione. Dal punto di vista prettamente concorrenziale – non dimentichiamoci che Autodisciplina e le Autorità di garanzia possono  agire anche d’ufficio – si è “alzata la soglia di attenzione», concentrando le risorse sulle questioni particolarmente pregiudizievoli», spiega Tavella.

Le istituzioni non si parlano

Uno dei fronti più interessanti della litigiosità pubblicitaria italiana è quello autodisciplinare.  Il cambiamento più evidente è che oggi una campagna non si limita ad utilizzare i mezzi cosiddetti tradizionali ma viene spalmata su più media, tra cui molti digitali e social. Una svolta evidenziata dalla modifica del Codice IAP che nel 2008 ha adottato una nuova  denominazione oggi in vigore come Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale. 

Sull’impatto che ha avuto il crescente attivismo dell’Agcm Vincenzo Guggino, Segretario Generale Iap  ha le idee chiare. «L’Antitrust  negli anni ha ampliato il campo di sua competenza e il numero degli interventi. Ma nonostante ciò, la centralità del sistema autodisciplinare è rimasta invariata proprio per le caratteristiche indicate sopra. La stessa Autorità considera lo IAP suo interlocutore naturale e complementare nel settore del controllo della pubblicità».  Certo manca un ulteriore e da più parti  auspicato passo in avanti, peraltro da sempre caldeggiato anche dal legislatore comunitario nelle varie direttive che riguardano la comunicazione commerciale. Ci riferiamo ad un coordinamento che andrebbe trovato tra le due Istituzioni al fine di valorizzare i comportamenti virtuosi dei soggetti aderenti all’Autodisciplina, e che avrebbe un positivo riflesso deflattivo del contenzioso con un conseguente alleggerimento dei costi della  macchina statuale.

«Da tempo chiediamo che i pareri preventivi favorevoli, rilasciati dal Comitato di Controllo su un determinato messaggio prima che venga diffuso, vengano considerati, nel caso in cui l’Autorità apra un’istruttoria sullo stesso messaggio, attestazione della buona fede dell’azienda che lo ha ottenuto e che di ciò se ne dovrebbe tener conto nel procedimento amministrativo. E analogo favor andrebbe riconosciuto nel caso in cui la diffusione di un messaggio risulti già cessata a seguito di un provvedimento inibitorio degli organi di controllo autodisciplinari» conclude Guggino. 

Anomalia italiana

L’anomalia tutta italiana del controllo pubblicitario è la sussistenza di due organismi, che trattano spesso dei medesimi messaggi senza tuttavia che le autorità dialoghino tra di loro. Lo Iap negli ultimi anni ha implementato e stretto rapporti di collaborazione con diverse realtà (si pensi al Protocollo con il Dipartimento per le pari opportunità in difesa della dignità della donna, appena rinnovato  e a quello con il Garante per l’Infanzia), senza tuttavia formalizzare nulla di concreto proprio con l’Antitrust. Una scelta antieconomica, dal momento che lo Iap potrebbe svolgere attività più veloci e su materie fuori dalla portata dell’Antitrust, spendibili avanti ad essa qualora sorgesse una controversia su medesime problematiche.

Torniamo alle dinamiche del confronto pubblicitario. Multinazionale vs piccola azienda: l’esito sempre scontato? Decisamente  no. L’autorevolezza degli organi giurisdizionali consente di superare un luogo comune di questo tipo. «Ovviamente, i gruppi più strutturati hanno una maggiore abitudine a gestire un certo tipo di contenziosi e dispongono spesso di competenze specifiche per procedere ad una adeguata istruzione dei fascicoli. E questo, come si può facilmente intuire, può risultare molto importante» ricorda Tavella.

Un caso illuminante di quello che dovrebbe essere un rapporto responsabile con le regole della comunicazione è Nestlè che in Italia negli ultimi anni ha visto ridursi la conflittualità pubblicitaria. Sia sul versante delle controversie passive, vale a dire i casi in cui la comunicazione sia attaccata da concorrenti, sia sul versante attivo, Nestlè ha scelto sempre la massima attenzione in sede preventiva. «Sottoponiamo tutte le nostre comunicazioni ad un controllo di conformità rispetto alle molte norme vigenti» spiega Danilo Celestino, Direttore Affari Legali Nestlé Italiana. «Questo vale sia per le comunicazioni create e gestire in Italia sia, sebbene con qualche complessità maggiore, quando dobbiamo diffondere campagna internazionali la cui creatività nasce in Paesi diversi» aggiunge. L’approccio al problema è nel senso della massima collaborazione con le Autorità di controllo e le imprese che abbiano diffuso comunicazioni non corrette. «Saremo molto attenti nei prossimi mesi al fenomeno dell’Ambush Marketing legato alla nostra esposizione in Expo Milano 2015. Così come seguiamo con crescente attenzione lo sviluppo dei new media e dei social, tanto innovativi per chi vuole comunicare con i propri stakeholders ma potenzialmente forieri di criticità per marchi ed imprese» conclude Celestino.

Cambio di strategia

Come è vissuto in fase di elaborazione di una strategia e proposta creativa pubblicitaria l’insieme di regole e controlli connessi che riguardano la comunicazione commerciale? Secondo Pino Rozzi, Ceo and Executive Creative Director Grey United, «La comunicazione, per funzionare, dev’essere sempre in grado di scuotere un po’ le acque. Negli anni non abbiamo avuto grandi scontri o problemi con gli organismi di controllo. Diciamo che corriamo dei rischi calcolati. Buon senso, come dicevo». Fino a che punto si è disposti ad accettare il rischio di una controversia? «Questa è una scelta che non prendiamo mai da soli. Interpelliamo sempre il cliente. Se ne vale la pena, e riteniamo difendibile la nostra posizione, ci lanciamo. In tempi meno prudenti ci è anche capitato di cercare la denuncia, ma anche in questo caso è sempre un ottimo consiglio farlo con ironia» aggiunge.

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