Uno spettro si aggira per l’Italia del calcio. Ha gli occhi a mandorla, pare venga dalla Thailandia e vuole comprarsi il Milan. Anzi no, è cinese e ha fatto fortuna negli Usa vendendo una bibita al ginseng dal nome divertente. Macché: è il quarto uomo più ricco di Pechino e dopo aver speso 1 miliardo di euro per Infront ha già messo gli occhi sul club di Milano.
Ok, non sappiamo chi sia in realtà. Però sappiamo quando spenderà per comprarsi la squadra: 500 milioni di euro. Ma no: Forbes dice che ce ne vogliono 700 e passa, di milioni di euro. Vi state sbagliando tutti invece: pare che ce ne vogliono molti di più, pare addirittura un miliardo.
Va bene, lo ammettiamo. Non sappiamo chi comprerà il Milan, né quanto spenderà. Però possiamo provare a capirci qualcosa in più, viste le tanti voci uscite negli ultimi giorni e che hanno riempito (e riempiranno) intere pagine e videate.
Ottima domanda. Alla quale tempo fa aveva provato a rispondere Forbes, autorevole foglio Usa che quando si tratta di denaro sa quel dice. Ci provò qualche anno prima anche Fedele Confalionieri, dicendo che «Il Milan è come il Duomo di Milano, non ha prezzo». Per rimanere in tema, diciamo, lo stesso Berlusconi qualche anno dopo dirà a “Porta a Porta” che «Il Milan non si vende e vale più di 500 milioni. Non scherziamo sulle cose sacre».
Lo scorso anno, dicevamo, Forbes valutò il Milan 750 milioni di euro. Una cifra che all’epoca sembrò confermata dalla offerta del magnate thaliandese Peter Lim, che secondo i soliti ben informati mise sul piatto 500 milioni di euro, più altri 250 milioni per ripianare l’indebitamento del club. Poi però lasciò perdere e si prese il Valencia. Ok, ma il prezzo era giusto? Un anno fa, facendo qualche calcolo basato sui valori dell’epoca, scopriamo che il marchio del club, cioè il brand, valeva 200 milioni: una cifra risultante dalla classifica stilata dal report annuale di Brand Finance. A questi cosa va aggiunto? Il patrimonio. Che per prima cosa include i beni di proprietà del club. Cioè Milanello, il centro tecnico del Milan (16 milioni, più 11 della cessione della vecchia sede di via Turati). Poi, marchi e licenze varie legate al nome e all’immagine del club per 33 milioni. Quindi i 117 milioni del parco giocatori e i 17 del vivaio. Insomma, sommando tutte queste voci arriviamo a poco più di 200 milioni, più il brand superiamo i 400. Sommando i debiti pregressi (vedi alla voce banche, soprattutto) diciamo che Forbes anche questa volta non ci ha visto male.
Perchè allora quotarlo 1 miliardo?
Perché così Berlusconi può incassare i soldi, metterli in Fininvest e con quelli da una parte rientrare dagli oltre 700 milioni di euro spesi per i diritti tv della Champions per i prossimi 3 anni (lo dicono tutti i giorni anche a Premium Sport fino allo sfinimento, noi ci limitiamo a questa volta e stop). Dall’altra, magari, muoversi tra RayWay e Rcs-Libri. Sì, perché i tifosi del Milan una cosa devono mettersela in testa: i soldi di chi comprerà il club non finiranno nel Milan, ma nella holding che la possiede. Esatto, Fininvest.
In tal modo chi vuole prendere il Milan lo paga 250/300 milioni per acquistarne una fetta pari al 30%. Non ci vuole quindi molto per capire che se paghi quella cifra per tale fetta, in tutto il Milan arriva a valere davvero 1 miliardo. Berlusconi incassa la cifra subito e contabilizza i restanti 700 nel bilancio Fininvest. Una valutazione ovviamente raggiungibile anche grazie all’aggiunta di un altro bene immobile da far rientrare nel patrimonio: lo stadio di proprietà. Ecco perché il Milan nell’ultimo anno ha messo i piedi in più scarpe (prima zona Expo, poi Portello, ma lo Scalo Farini resta in piedi): il club ha fretta di iniziare i lavori e far rientrare il valore dell’impianto in quei 700 milioni restanti.
Non dimentichiamoci, inoltre, che il calcio moderno vede le società trattate come fossero dei mobili componibili. Cioè suddivisi in altre aziende più piccole, tutte riconducibili alla casa madre, ma valutate separatamente. Che è quello che stanno facendo Erick Thohir con l’Inter o James Pallotta con la Roma. I due nuovi arrivati nel calcio italiano hanno creato delle società veicolo (o conduit) alle quali hanno conferito i contratti legati a marchio e diritti tv. Pallotta ha fatto di più: come svelato proprio qui su Linkiesta, lo stadio della Roma non sarà della Roma, ma di una società creata ad hoc da Pallotta stesso. Non è escluso possa farlo anche il Milan, da una parte per poter usare tali società come garanzia per nuovi prestiti in attesa della vendita, dall’altra per poter disporre di un più ampio ventaglio di possibili compratori.
Chi è il pretendente in vantaggio?
Il famoso miliardo è la quotazione del club fatta non da Berlusconi, ma da Bee Taechaubol, finanziere thailandese che nonostante qualche anno fa abbia avuto problemi con l’organo di controllo delle società quotate in Borsa del proprio Paese, è sulla cresta dell’onda da tempo. Taechaubol, per tutti simpaticamente Mr Bee, è un affarista che lavora per conto di grandi capitalisti, interessati ad investire in aziende piccole, magari appena nate, ma dal grande potenziale. Insomma, parliamo del classico gestore di un fondo. Un po’ come faceva James Pallotta negli Usa con il fondo Raptor, o che vorrebbe fare Giampietro Manenti con il Parma (almeno, crediamo voglia…): il suo compito è quello di trovare i capitali giusti per l’impresa giusta. Una volta che tale impresa è avviata, il fondo se ne esce dal capitale e intasca la cifra investita, più una generosa percentuale sui profitti.
Ed è così che Taechaubol sta agendo per acquistare il Milan, Non tutto, per il motivo espresso alla domanda numero 2. All’inizio, Mr Bee entrerà nel capitale rossonero in maniera morbida con il 30% del club. A confermarlo, in sostanza, è l’ultimo comunicato della controllante Fininvest, che spiega che «vari soggetti hanno mostrato interesse per una partnership relativa al Milan, ma le ipotesi riguardano esclusivamente eventuali partecipazioni di minoranza. La Fininvest non è infatti interessata a cedere il controllo della società calcistica». Per farlo, Mr Bee ha i soldi? Non tutti, ma questo non conta così tanto e non è una battuta: lui i soldi li deve raccogliere. Dicono che abbia fatto il nome della banca d’affari Edmond De Rothschild, per dimostrare a Berlusconi che i soldi lui li ha. Ma non è così. De Rotschild non è un advisor finanziario, ma gestisce i soldi di ricchi privati. Li stessi che potrebbero essere interessare a iniettare denaro il quel 30% massimo che il Milan vuole cedere. Ecco perché è meno probabile la pista che porta a Poe Qui Ying Wangsuo, detto Mr Pink per il nome della bibita che commercializza negli Usa: l’offerta l’ha fatta davvero, ma per il 51%. Troppo, per i motivi di cui sopra.
Chi invece rappresenta un serio nemico per Mr Bee è Wang Jianlin, che dopo aver comprato Infront per 1,2 milairdi di euro, ora potrebbe entrare nel capitale rossonero. Non sarebbe la prima volta: a gennaio di quest’anno ha preso il 20% dell’Atletico Madrid per 45 milioni di euro, sperando di fare affari immobiliari nella capitale spagnola attraverso il parco divertimenti di Eurovegas. A Milano potrebbe fare lo stesso, mettendo soldi per lo stadio assieme ad Emitares e poi affidando ad Infront la parte hospitality. Di certo c’è che, a differenza di Mr Bee, Wang non ha bisogno di dimostrare di avere il cash: tempo fa si è comprato un Picasso per 28 milioni di dollari, per dire.
Berlusconi riuscirà a vendere entro quest’anno?
«Di sicuro, negli anni d’oro del Milan, Mr Bee non sarebbe entrato nemmeno dalla porta di servizio ad Arcore. Ora, con la necessità di trovare una soluzione per Fininvest e la famiglia, qualsiasi potenziale candidato sembra trovare udienza», spiega sul proprio blog l’esperto Carlo Festa del Sole 24 Ore. Ma gli anni d’oro sono finiti, anche se qualcuno vorrebbe farli tornare tali. Ecco che qui si inserisce la figura di Paolo Maldini, ora pronto dopo i guai fiscali (risolti) e un addio non serenissimo con parte della Curva rossonera. Il suo ritorno fa parte del piano di Taechaubol, che punta a farne il suo rappresentante in società, in seno alla dirigenza. Nel frattempo, c’è da scontrarsi con la modernità. La rosa del Milan, attualmente, vale 220 milioni di euro, compresi i cartellini dei giocatori presi in prestito con riscatto (vedi Destro, che vale 16,5 milioni), quelli con prestito secco (Van Ginkel, che vale 7,5 milioni) e quelli in scadenza di contratto (De Jong vale 10 milioni, Mexes 2 milioni, Bonera 800mila euro, Abbiati 500mila euro). Tutti valori che verranno considerati durante la due diligence, ovvero l’analisi dei conti. Considerato che non si sa cosa porterà il mercato estivo, meglio chiudere l’affare prima.
Non c’entreranno anche le temutissime Tpo, vero?
Potrebbero, invece. L’ultima novità in casa Milan è il nome di Doyen, ovvero il maggiore fondo d’investimento operante in Europa a livello sportivo. Di cosa parliamo quando parliamo di Doyen, lo abbiamo ampiamente analizzato su Linkiesta. La voce sull’interessamento del fondo ad entrare nel Milan gira da qualche giorno e potrebbe avere un suo fondamento. Prima di tutto, nei rapporti tra Adriano Galliani e Nelio Lucas, l’amministratore del fondo: i due sarebbero amici di vecchia data e avrebbero stretto un patto di mercato due anni fa, durante una calda estate siciliana che anticipava l’inizio del calciomercato.
La seconda conferma dell’interessamento di Doyen sta nel modus operandi economico del fondo. Che non solo acquista cartellini di giocatori per rivenderli lucrando culle percentuali dell’affare, ma punta anche su sponsorizzazioni e veri propri prestiti alle squadre. La Fifa li ha messi al bando a partire dal 1° maggio, quindi c’è bisogno che Lucas trovi un modo per far arrivare al Milan i soldi: quale modo migliore, se non attraverso Taechaubol. Wang permettendo, chiaro. Ma con le quote divise, volendo, ci sarebbe spazio per tutti.