Ci sono le vere, le false, le ricche e le meno ricche. Le partite Iva sono una forte gamba del mercato del lavoro italiano, che ha più del 23% di lavoratori autonomi sul totale della forza lavoro. Una delle percentuali più alte d’Europa. Le undici cifre della partita Iva sono spesso la porta d’ingresso nel lavoro per molti giovani italiani. Ma è importante sapersi districare in un mondo fatto di cifre, percentuali, soglie reddituali, conti e sottrazioni. La quarta puntata di Domani Lavoro. 10 domande e 10 risposte per trovare un’occupazione (e tenersela), la guida al lavoro firmata da Linkiesta e Adapt, è dedicata al mondo delle partite Iva. I ricercatori del centro studi sul lavoro Adapt rispondono alle nostre domande.
Partiamo dalle basi. Che cos’è una partita Iva?
Tecnicamente, non è un contratto di lavoro, ma una particolare forma di gestione retributiva e fiscale riservata ai lavoratori autonomi. Il riferimento normativo, di conseguenza, non si trova in qualche legge sul lavoro, ma negli articoli 2222 e 2230 del codice civile.
Quanti sono in Italia i lavoratori con partita Iva?
Il dato Eurostat attesta il numero di lavoratori italiani indipendenti a 4,808 milioni nel terzo trimestre 2014.
Al confronto con gli altri Paesi, la serie storica mostra un progressivo calo degli autonomi dal 2008. Nell’ultimo trimestre 2014 si è assistito a un vero e proprio boom della aperture di partita iva, ma dovuto al timore di incappare in condizioni peggiori con le variazioni che il governo aveva introdotto al regime dei minimi, variazioni poi cancellate. In termini assoluti, il popolo degli indipendenti italiani è comunque il più vasto d’Europa. Anche in termini relativi si tratta di una categoria importante: la proporzione di lavoratori indipendenti sul totale dei lavoratori era del 23,3% nel 2013: una delle più alte dell’Unione.
Quanto guadagnano le partite Iva nel nostro Paese?
I lavoratori autonomi svolgono la loro professione nei settori più disparati ed è per questo difficili ottenere un dato sulla retribuzione media significativo. Nei calcoli si va dai parasubordinati, agli artigiani, ai commercianti fino ai liberi professionisti. Nonostante nella rappresentazione collettiva il lavoratore autonomo sia tradizionalmente associato all’evasione e a un certo benessere, recentemente è stata sottolineata da più parte la condizione spesso disagiata di una parte di questa categoria. Si tratta di parasubordinati e professionisti iscritti alla gestione separata dell’Inps. Gli iscritti a questa cassa nel 2013 avevano un compenso lordo medio di 18.640 euro, che in termini netti significa un reddito da 8.670 euro annui, 723 euro mensili.
Gli iscritti alla gestione separata nel 2013 avevano un compenso lordo medio di 18.640 euro, che in termini netti significa un reddito da 8.670 euro annui, 723 euro mensili
Cosa devo fare per aprire una partita Iva? A chi mi devo rivolgere?
Si può aprire una partita Iva solo e semplicemente interfacciandosi con l’Agenzia delle entrate, alla quale bisogna comunicare l’inizio della propria attività con apposita dichiarazione, nonché la scelta del tipo di regime contabile (regime dei minimi o contabilità ordinaria). In seguito, l’Agenzia assegna il numero di Partita Iva. Una volta ottenuto, bisogna recarsi all’Inps per aprire la propria posizione previdenziale.
Quanti tipi di partite Iva esistono?
La distinzione più facile è quella tra partite Iva utilizzate da professionisti iscritti a ordini professionali e quelle usate da autonomi non facenti parte di alcun ordine. Vi è una distinzione anche tra partite Iva in regime dei minimi e partite Iva in contabilità ordinaria, comunque la più diffusa. Il regime dei minimi definisce una condizione agevolata per chi guadagna meno di 30mila euro lordi l’anno, comunque entro i 35 anni di età e per una durata massima di 5 anni. In questo caso l’imposta sostituiva è del 5 per cento. La logica sottesa è quella dell’alleggerimento fiscale destinato alle attività avviate da poco. Con la legge di stabilità 2015, è entrato in vigore anche una diversa versione del regime dei minimi, ma con limiti meno vantaggiosi: imposta sostitutiva 15% per redditi fino a 15mila euro.
È vero che avere una partita Iva costa tanto? Quante tasse devo pagare?
Le tasse dipendono dalla fascia di reddito, dall’età e dall’anzianità dell’attività. I costi sono anche quelli di gestione fiscale, che non può essere improvvisata soprattutto se il giro di attività è tanto e sono quindi molte le fatture da emettere, registrare, contabilizzare ecc… È quindi molto probabile che ci si debba rivolgere a un commercialista. Per quanto riguarda invece l’aliquota contributiva, questa dipende dalla cassa dell’Inps alla quale si è iscritti. Qui le percentuali variano molto in base all’attività economica svolta. Si va dal 22% circa di commercianti e artigiani (categorie che versano ognuna nella propria cassa) al 27,7% degli iscritti alla gestione separata.
Se per lavorare in proprio affronto dei costi, posso scaricare qualche spesa?
Sì, ma è importante che i costi scaricabili siano quelli connessi alle attività svolte con la Partita Iva, non qualsiasi spesa personale o famigliare. Le spese scaricabili devono rispondere a requisiti di congruità e inerenza, ossia non possono essere quantitativamente sproporzionati rispetto alle attività del proprio business – ad esempio 5 computer per un lavoratore – e devono essere inerenti al tipo di attività – ad esempio è difficile pensare di scaricare il costo di un microscopio per un grafico freelance.
Una partita Iva può lavorare nell’ufficio del committente, sapendo però che l’utilizzo di una postazione fissa è uno di quegli indici di subordinazione che potrebbe determinare la trasformazione del rapporto
Se sono una partita Iva posso lavorare anche in ufficio? Posso lavorare con un solo committente?
Certamente una partita Iva può lavorare nell’ufficio del committente, sapendo però (entrambi) che il possesso/utilizzo costante di una postazione fissa è uno di quegli indici di subordinazione che potrebbe determinare la trasformazine del rapporto. Un altro di questi indici è la monocommittenza: anch’essa è possibile, ma può essere rischiosa. Vediamoli insieme: se per due anni di fila si guadagna più dell’80% da un solo committente, e se la postazione di lavoro è fissa, questi due fattori basterebbero a rendere presumibile la subordinazione in caso di contenzioso. Questo è quanto era stato definito dalla riforma Fornero e vale quindi per le collaborazioni avviate ancora per tutto il 2015. Dal 2016 invece dovrebbe entrare in vigore quanto previsto dal uno dei decreti attuativi del Jobs Act: gli indici di presunzione di subordinazione dovrebbero essere superati. Per trasformare i rapporti autonomi o parasubordinati in subordinati si terrà conto più della dipendenza organizzativa che della dipendenza economica. Conviene quindi tenersi aggiornati sugli sviluppi.
E se mi dicono di aprire una partita Iva e mi fanno lavorare come gli altri dipendenti? Ci si può rivolgere al giudice e chiedere il riconoscimento della subordinazione?
Certamente ci si può rivolgere al giudice. Nel caso davvero si lavori come gli altri dipendenti, è possibile che la partita Iva, semplicemente, non sia genuina. C’è un’eccezione: non si può pretendere questo, né lo si potrà con il Jobs Act, nel caso si sia iscritti a un ordine professionale. Quindi la famosa espressione “falsa partita Iva” si riferisce a casi nei quali viene richiesta solo per un risparmio sul costo del lavoro, mentre tutte le caratteristiche del rapporto rimangono quelle tipiche del lavoro subordinato.
Se ho la partita Iva, ho diritto a malattia e maternità?
La malattia non è sostanzialmente tutelata, se non con un piccolo rimborso. Gli iscritti alla gestione separata versano per queste coperture uno 0,72% di contributi, che però sinora è stato utilizzato per erogare prestazioni solo per pochi giorni e in quote molto contenute, almeno stando a quando denunciano le associazioni di categoria. La gravidanza invece è coperta invece solo per la parte della astensione obbligatoria. Un decreto attuativo del Jobs Act, dedicato alla conciliazione vita-lavoro prevede anche per gli autonomi la possibilità di aver un congedo di paternità obbligatorio e retribuito dall’Inps, nel caso la madre non possa beneficiarne. Inoltre per le lavoratrici iscritte alla Gestione separata l’indennità di maternità sarà prevista anche in caso di adozione internazionale. Per l’entrata in vigore di queste novità i tempi potrebbero però essere lunghi.
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