Espatriare sì, ma in modo intelligente

Espatriare sì, ma in modo intelligente

«Ci sono casi in cui non c’è nessuna possibilità di farcela», taglia netto Stefano. «In quelle circostanze, rifiutiamo il servizio». Parte del compito che Stefano Carpigiani si è costruito, sviluppando un’idea nata insieme ad Alberto Forchielli, prevede anche questo: cancellare ogni speranza a chi si presenta senza i requisiti minimi per farcela. Perché la questione è seria. Espatriare alla cieca non giova a nessuno.

«T-Island offre un servizio di consulenza a chi vuole cercare un lavoro oltre confine ma non sa da che parte iniziare, o lavora troppo per avere il tempo di farlo oppure ancora ha bisogno di qualche consiglio mirato». L’obiettivo centrale di T-island, la start-up creata da Carpigiani e Forchielli è aiutare gli italiani a partire. Ma in modo intelligente.

Nel 2013, mentre i dati sulla disoccupazione giovanile si gonfiano, il Pil non dà segni di vera ripresa e si ingrossano le fila di adulti che restano senza lavoro, Stefano e Alberto si incontrano e decidono di creare una start-up che faccia da ponte e tra l’Italia e il mondo del lavoro oltre confine. «L’Italia è un Paese bollito. Ci vorranno decenni prima di riuscire a cambiare verso – si dicono i due. Perché non creare una società che faccia ricerca e selezione del personale per aziende straniere?». Ma l’idea, così come nasce all’inizio, non funziona. «Abbiamo scoperto che all’estero non cercano mai qualcuno che sia specificamente italiano. Cercano bravi ingegneri, non ingegneri italiani. Camerieri, ma non necessariamente italiani. C’è una mitologia che ci siamo costruiti e che va sfatata. Il resto del mondo non ci riconosce quei primati che noi stessi ci siamo attribuiamo». Stefano e Alberto allora cambiano verso. Partiamo dagli italiani e miglioriamo le loro capacità di farsi notare all’estero, decidono. Le potenzialità, sono convinti, ci sono.

«Mi ha contattato di recente un carrozziere. Ha 20 anni, esperienza, ma non parla nessuna lingua diversa dall’italiano. Non sa dove andare e sa solo che non trova lavoro nel raggio di 200 km da casa», racconta Stefano. «Stiamo lavorando con lui per capire se e dove potrebbe cercare lavoro oltre Italia». In questo caso, il mito sfatare è un altro estremamente frequente tra chi decide di partire. «“Vado anche se non conosco la lingua del posto”, si dicono in molti, “tanto poi la imparo in due o tre mesi”. Ma non funziona mai così. La lingua va imparata prima di partire o prima di cercare lavoro. Perché un’azienda dovrebbe scegliere te se ha a disposizione dieci altri candidati con le tue stesse capacità ma che parlano bene la lingua locale?», provoca Stefano. «Il rischio è che si finisca a fare i lavapiatti con paga settimanale in nero e a fare una vita peggiore di quella che si faceva in Italia».

«A questo carrozziere stiamo consigliando paesi come Austria, Germania e Svizzera, i più ricettivi per questo tipo di manodopera. Ma deve imparare il tedesco».

Oltre alla lingua, un altro tema su cui lavorare è il curriculum e in generale l’abilità su internet e sui social network. «Se cerchi lavoro in una pmi italiana, è molto probabile che – nonostante la situazione economica – prima o poi tu riesca ad ottenere un colloquio di persona». All’estero, continua Stefano, è tutto molto più difficile. La vera differenza la fa il cv. Le capitali europee più interessanti sono bombardate di curricula. Arrivano candidature da Francia, Germania, Olanda, Spagna e anche da oltre Europa. «La mole di documenti da processare per un’azienda internazionale, soprattutto quando non sta cercando profili tecnici precisi, è enormemente superiore a quella che fronteggia un’azienda nostrana. Il selezionatore spesso dedica dai 5 ai 20 secondi a ciascun profilo prima di sceglierlo o scartarlo. Un buon cv deve riuscire a brillare in questa primissima e fondamentale parte». Per questo non è assolutamente accettabile inviare curricula in formato Word, spiega Carpigiani. O usare ancora mail come «miky832». Le realtà più grandi, inoltre, scremano i candidati attraverso software capaci di riconoscere le parole chiave nei cv. «Passa chi ne ha in numero maggiore».

Tra i consigli utili che Carpigiani offre, c’è anche quello di lasciare qualche indizio che dimostri la vera disponibilità a trasferirsi. «Lo scorso anno abbiamo provato a portare alcuni medici e infermieri in Olanda. Dalle aziende sanitarie locali ci siamo sentiti rispondere un «no» assoluto ad assumere personale che non vivesse già in Olanda. E questo perché erano stati scottati dai tentativi recenti fatti con gli spagnoli: dopo averli presi e dopo aver investito nella loro formazione, la maggior parte di loro ha iniziato ad avere nostalgia di casa e dopo un paio di anni ha lasciato le aziende». È utile quindi mettere nel cv un indirizzo locale se già si vive all’estero, o un numero di telefono estero. Oppure affermare nella presentazione che si è davvero convinti di lasciare l’Italia spiegando perché.

Avere qualche anni di esperienza è un netto vantaggio per chi decide di trasferirsi. «Anche se troppa diventa invece un ostacolo». Anche perché spesso capita che, più uno ha lavorato in Italia, meno conosce l’inglese o una lingua straniera.

Non sono solo giovani infatti a rivolgersi a T-island. La crisi economica colpisce anche lavoratori adulti e con anni di esperienza professionale alle spalle. «Ci sono adulti, in Italia, completamente abbandonati a se stessi. Persone rimaste senza lavoro che si muovono alla cieca e non sanno come fare a uscire da situazioni di grosse difficoltà economica.

«Stiamo valutando ad esempio il da farsi con un autotrasportatore di mezza età che ci ha contattati perché non riesce più a ricollocarsi e vorrebbe lasciare l’Italia. Chi lavora in questo settore subisce una forte concorrenza dai Paesi dell’Est Europa, dope i camionisti sono disponibili a lavorare anche a prezzi inferiori e ad orari che superano le normative Ue. Questo signore conosce il francese e il Canada per lui potrebbe essere un’opzione, vista la richiesta di simili professionalità. L’Italia inoltre ha un buon rapporto storico con Ottawa e le procedure per il rilascio dei visti sono velocizzate. Il problema per lui però è capire se vale la pena trasferirsi, visto che dovrebbe portare con sè l’intera famiglia».

Nel 2015 le persone che hanno contattato T-island sono state un centinaio. Di queste, 20 sono state valutate non adatte al trasferimento («non c’erano i margini per poter lavorare con loro») mentre 80 hanno ricevuto un’offerta di consulenza. «Con 40 di loro stiamo lavorando in questo momento».

I tempi medi per ricollocarsi all’estero, spiega Carpigiani, sono di 8-12 mesi. Anche se «dopo due o tre mesi si capisce già se ci sono effettive possibilità di farcela oppure no». Ci sono casi più facili e veloci, come un ingegnere meccanico che parla due lingue ed è disponibile al trasferimento. O quelli più difficili, di bassi profili senza esperienza e scarsa conoscenza di lingue straniere, continua.

La consulenza, offerta a cifre che variano tra le 160 e le 300 euro, è fatta di più fasi. «In genere lavoriamo così: per prima cosa cerchiamo di capire insieme al candidato se ha senso ragionare a un trasferimento. In un secondo momento prepariamo tutti i documenti necessari, comprese due o tre versioni di cv e cover letter. Poi inizia la ricerca guidata del lavoro. In questa fase proviamo a insegnare il metodo di ricerca, in modo che poi si possa continuare anche da soli. Se c’è bisogno, infine, passiamo a preparare il colloquio di lavoro». Cercare lavoro è un’operazione ripetitiva, spiega Stefano, ma occorre avere un buon metodo e tempestività.

Dopo due anni di attività, Stefano e Alberto hanno raccolto un incredibile esperienza in materia di bandi, permessi, formati per il cv adatti ad ogni Paese. Ma anche parole chiave da usare per i diversi settori professionali, quali social scegliere per promuovere il proprio profilo. Tanto da decidere di raccogliere tutto in un libro che verrà pubblicato a settembre da Sperling&Kupfer.

Intanto, lavorano a uno sviluppo della start-up: «Il prossimo passo è insegnare a ragazzi e genitori italiani come fare scelte migliori tra superiori e università. È un passaggio fondamentale ma ancora troppo sottovalutato. All’estero ci si indebita per far studiare i figli nei migliori college. Da noi i genitori dicono: se è bravo si farà». 

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