Oggi è un giorno importante per la letteratura italiana. Dopo anni di attesa, esce per Mondadori Gli increati di Antonio Moresco, il terzo tassello della sua trilogia dell’Increato, dopo Gli esordi e i Canti del caos.
Per chi non lo conoscesse, Antonio Moresco è uno degli autori più complessi della letteratura italiana contemporanea, capace di passare dalla brevità delle favole alla lunghezza di una narrazione autobiografica ossessiva. La sua storia editoriale è alquanto bizzarra: ignorato per anni da tutti gli editori del paese — un percorso frustrante testimoniato in Lettere a nessuno — viene capito negli anni Novanta, dopo più di quindici anni di sofferto lavoro clandestino.
Gli increati non fa eccezione alla sua produzione precedente: è un libro ponderoso — oltre 1000 pagine (qui potete leggere in anteprima le prime 100) — un «romanzo vertiginoso», come recita la quarta di copertina, un libro-mondo la cui trama è impossibile da riassumere, un libro a cui Moresco ha lavorato per anni e in cui ha riversato le sue ossessioni e le sue nevrosi, e che anche chi ha già avuto occasione di leggerlo fa fatica a descrivere, a fermare in una recensione.
Antonio Gnoli, ad esempio, gli dedica una pagina intera su Repubblica e scrive:
[Mille pagine] a volte noiose. A volte folgoranti e strepitose. È difficile ricavarne una storia che abbia un senso, una direzione, un fine. Moresco è fastoso e lugubre, pietoso e crudele. Non c’è un io che racconti. Anche se al centro vi è sempre lui: lo scrittore con le sue idiosincrasie, le sue nevrosi, le sue allucinazioni. Gli increati è un romanzo carontico, traghetta, fra i vivi e i morti, la storia del mondo.
Così invece Massimiliano Parente, su Il Giornale:
Quella di Moresco è un’impresa ardua, titanica, totalmente a perdere e destinata a restare non compresa, vincente perché progettualmente sconfitta in partenza. Nessuno, come Moresco, riesce a coagulare visioni inverosimili, pazzesche, a forzarne i limiti narrativi per rappresentare qualcosa dell’umano che non si capisce bene cos’è ma che lui tenta di definire e sfondare e lacerare a ogni pagina, e ce ne sono di letterariamente meravigliose.
Le letture di Gnoli e di Parente non sono uguali, ma da entrambe emergono i confini di una stessa ombra: quella di un libro denso, complicato, contorto, “a volte noioso”, “a volte folgorante” che metterà in difficoltà qualcuno («Per carità, i genitali della pazienza dopo mille pagine di morti e di vivi un po’ li spacca, voglio vedere la faccia di Fabio Fazio quando lo presenterà nelle vesti di chierichetto, le occhiaie sopra il sorrisino felice di esistere», pungola Parente strappandoci un sorriso), ma che è senza dubbio un libro importante.
È importante perché Antonio Moresco è uno scrittore importante, ben prima di questo libro. Ma è anche la rivelazione di una contraddizione: perché in questo paese Antonio Moresco ormai è un alieno. Non è il solo, certo, è insieme a un’altra manciata di scrittori come Aldo Busi, Alberto Arbasino, Walter Siti, per alcuni versi Michele Mari e (pochi) altri (tra i giovani penso a Vanni Santoni, Andrea Tarabbia, Davide Orecchio, per esempio).
Sono tutti scrittori che portano avanti un’idea originalmente italiana, viva nella lingua, potente, faticosa, lontana dalla gran parte della produzione contemporanea, che nel frattempo ha preso un’altra strada, parallela, costruita su modelli angloamericani con mattoncini di italiano standard, la cui origine è più nel cinema, nella televisione o nella letteratura tradotta, piuttosto che nella tradizione letteraria italiana.
Intendiamoci, non vuole essere un parametro di giudizio, come non è né una promozione a priori degli uni, né una condanna a priori degli altri. È una constatazione, una semplicistica mappatura del campo da gioco diviso per due, à la Sergio Leone (o il fucile, o la pistola), ma è una divisione che esiste, e non da poco.
Quel che piuttosto discende da questa demarcazione del campo da gioco sono semmai due considerazioni sul mercato di opere come Gli increati.
La prima: è positivo che un colosso commerciale come Mondadori, che potrebbe diventare, dopo la ancora solo potenziale acquisizione di Rcs, un colosso al quadrato, malgrado tutti i problemi che può avere un gigante — che vanno dal precariato diffuso, alla schiavitù dell’iperproduzione, dal conseguente abbassamento della qualità media, fino alla necessità fisiologica di puntare al bestseller a tutti i costi — malgrado tutto, dicevo, riesce ancora ad avere una visione editoriale e una possibilità economica per continuare a investire su un autore così importante, su un libro importante, al di là di quanti lettori possa avere.
Al di là di quanti lettori possa avere, esatto. E qui arriviamo alla seconda considerazione, che è piuttosto una domanda. In un paese come l’Italia, in cui le ultime statistiche sui dati della lettura ci ricordano che soltanto 4 italiani su 10 leggono almeno un libro in un anno in quanti leggeranno questo romanzo? In quanti affronteranno le 1000 e passa pagine tumultuose, complicate, titaniche di questa ultima fatica di Moresco? Molto probabilmente la risposta sarà pochi, molto pochi.
Il perché è piuttosto semplice: in Italia non c’è più un pubblico – o meglio: un pubblico in grado di poter essere definito mercato – capace di apprezzare questo tipo di letteratura. Anzi, peggio, in Italia sembra stia sparendo il pubblico che ha voglia di leggere e, conteporaneamente, sta fallendo tutto il comparto. Questo, principalmente, perché manca una politica reale per incoraggiare la lettura.
Si muovono energie e soldi ministeriali per lanciare campagne virali — come la drammatica #ioleggoperché — o si combatte per l’equiparazione dell’IVA sui libri e sugli ebook — salvo capire, una volta abbassata l’aliquota, che l’Europa ci ha ripensato e prima o poi ci farà tornare indietro . Tutte battaglie di retroguardia, perché l’educazione alla lettura si fa nelle scuole — uno dei settori più martoriati dai tagli degli ultimi vent’anni — e nelle biblioteche — praticamente mai menzionate in nessuna campagna pro lettura, luoghi dove il libro non è ancora un mercato, ma luoghi senza i quali il libro non diventerà mai mercato. È qui che sta il punto: un libro come Gli increati ènecessario e fondamentale. Se non altro, ahinoi, per i posteri.