TaccolaI canali tematici della Rai così sono inutili

I canali tematici della Rai così sono inutili

«La storia dei canali tematici nasce per mandare la Rai su terreni sterili e aprire un mercato a Mediaset Premium. Poi la Rai ha messo dei contenuti», ma «ce n’è un assortimento per tacitare le micro lobby che vogliono ciascuna il canale fatto a modo loro. Un approccio stravecchio, senza un senso strategico né una logica da servizio pubblico». Quindi la riforma della Rai cosa dovrebbe prevedere per i vari Rai 4, Rai 5, Rai Premium, Rai Movie, Rai Storia, Rai Sport 1 e 2, Rai Gulp, Rai Yoyo, Rai Scuola e gli altri? «La loro chiusura, uno dopo l’altro, con il trasferimento dei contenuti sul web». Se si chiede a Stefano Balassone, ex membro del cda Rai, quota centro-sinistra, che ne pensi delle reti minori del servizio pubblico televisivo italiano, le risposte sono tranchant. Non è l’unico che si sta interrogando sul futuro di questi canali. È lo stesso direttore generale di viale Mazzini, Luigi Gubitosi, che da un anno va ripetendo che serve un loro accorpamento. C’è un problema di identità, di dispersione delle forze e, appunto, di senso strategico. 

Il mondo della Rai minore

Balassone: «Tutta la storia dei canali tematici nasce per mandare la Rai su terreni sterili e per aprire un mercato a Mediaset Premium»

Ma come sono costituite queste reti? Quante persone ci lavorano, che costi hanno, quanti ricavi producono? Sul bilancio della Rai, anno 2013, questo dettaglio non c’è perché, a differenza di altre società collegate, come Rai World, non costituiscono un soggetto giuridico a parte. Abbiamo chiesto informazioni alla Rai stessa e quando i dati saranno disponibili li aggiungeremo all’analisi. Nell’attesa, le poche informazioni sul punto le ha date il membro del cda Rai Rodolfo De Laurentiis nell’audizione alla Commissione di Vigilanza sulla Rai lo scorso 11 giugno:

“Per quanto riguarda la Rai, sono canali che costano poco, recuperano share e soprattutto risorse pubblicitarie. L’introito per quei canali tematici – la presidente Tarantola mi correggerà – è di oltre 60 milioni di euro rispetto a una cifra di investimento che è di poco superiore a un terzo. Insomma, da questo punto di vista, mi sembra un buon affare”. 

De Laurentiis: «L’introito per i canali tematici è di oltre 60 milioni di euro rispetto a una cifra di investimento che è di poco superiore a un terzo»

Il dato sui ricavi coincide con la relazione delle Corte dei Conti sulla Rai del febbraio 2014. Riferendosi ai ricavi pubblicitari del 2012, si mostrava come fossero pari a 56,8 milioni di euro, 5,3 in più dell’anno precedente. L’incremento era stato del 10%, a fronte di un crollo dei ricavi generali del 22% e di quelli generalisti del 25%, scesi a 626 milioni di euro, 212 in meno dell’anno prima. Quanto ai costi, non ci sono cenni nella relazione dei magistrati contabili. 

Fonte: Corte dei Conti

Più chiari i dati sull’Auditel. La media del 2014 mostra il numero di spettatori medi per fascia oraria. Se si considera la “prima serata“ (20.30 – 22.30), Rai Movie è il più visto tra i canali tematici Rai (1,12% di share), seguito da Rai 4 e Rai Premium (1,03% ciascuno). Più bassi Rai 5 (0,31%), Rai Sport 1 (0,52%) e Rai Sport 2 (0,21%), Rai Storia (0,24%), Rai News (0,21%), Rai Gulp (0,40%) e soprattutto Rai Scuola, a uno sconfortante 0,01%, a cui rimane inchiodato in tutte le fasce orarie. Meglio Rai Yoyo, il canale per i bambini in età pre-scolastica, che nel prime time si ferma allo 0,90% (ed è comprensibile), ma nel resto della giornata arriva a sfiorare il 3 per cento di share, grazie a campioni di ascolti come Peppa Pig. Dalle 9 alle 12 arriva al 2,88%, cosa che pone anche delle domande su come si educano i bambini in Italia.  

«Quelli che vanno meglio sono un paio di canali da baby-sitting (Rai Gulp e Rai Yoyo) che sono nei radar dei piccoli spettatori abilissimi nello scovare quel che gli interessa anche nella confusione indescrivibile e irrisolta che il DTT ha portato nei televisori di casa», scriveva nel luglio 2013 su Europa Stefano Balassone, parlando di “disastro dei “canalini” Rai sul digitale terrestre”.

Anche su questo tema è intervenuto De Laurentiis in Commissione di Vigilanza sulla Rai:   

“Sullo share dei canali tematici vorrei dire due cose. Trent’anni fa, quando venne istituito l’Auditel, lo share della Rai era del 44 per cento; a trent’anni di distanza è al 40 per cento. Il 30 per cento dello share dei canali generalisti si è trasferito sui canali tematici. Nessuno di questi, però, raggiunge le cifre dei canali generalisti. Voglio sottolineare questo aspetto perché sembra che i nostri canali tematici siano insignificanti perché raggiungono percentuali basse. In realtà, è sempre così. Infatti, per quanto riguarda i canali tematici non parliamo di share, ma di «nanoshare», che sta a indicare un’unità di misura specifica rispetto a quel tipo di offerta”.

Il dato trova riscontro nella relazione della Corte dei Conti sulla Rai. 

Chi lavora in queste reti? «Non credo che ci lavorino molte persone – dice a Linkiesta Giorgio Simonelli, docente del Dipartimento di Scienze della comunicazione e dello spettacolo all’Università Cattolica e ospite fisso al programma Tv Talk -. Vengono fatti da personale che c’era già in Rai, sono state poche le persone assunte. I budget sono molto limitati, molti di questi canali si fanno a costo zero. Rai Storia ad esempio si fa tutta con l’archivio. Nessuno ha budget stratosferici».

Balassone, «nelle reti tematiche si avviluppano dei destini personali, delle piccole o grandi ambizioni

Al loro interno, aggiunge Balassone, «si avviluppano dei destini personali, delle piccole o grandi ambizioni. Ma le stesse persone saranno liete di fare altro in contesti più sensati». Non c’è invece una divisione politica, anche se, aggiunge, «quando la Rai fu incoraggiata in questo percorso, ci fu uno spalleggiamento nell’ambito del meccanismo del duopolio. Oggi da una parte c’è la pressione del web, dall’altra sono cambiati i parametri politici che sostenevano il meccanismo del duopolio». 

Un senso smarrito

Balassone: «Sono offerte prive di identità, collazioni di film, telefilm e repliche messe su con quattro soldi» 

Per Balassone, «si pone il problema di dare un senso strategico al servizio pubblico. Oggi c’è un assortimento vario per tacitare le micro lobby che vogliono ciascuno il canale fatto a modo loro. È un approccio stravecchio, che consiste nell’accontentare un po’ uno e un po’ l’altro, con una difesa dell’esistente. Rai5, Rai Storia e gli altri, se non ci sono il mondo non se ne accorge». Una conferma dell’analisi già fatta in passato: «Sono offerte prive di identità, collazioni di film, telefilm e repliche messe su con quattro soldi o, nel caso di Rai Storia e Rai Scuola, per obblighi di “servizio pubblico” (come seraficamente si usa dire nell’azienda pubblica, quando si fa una cosa televisivamente insensata)».

Meno duro nei toni, ma non troppo nella sostanza è Giorgio Simonelli: «Rai 4, Rai Premium, alcuni di questi canali non hanno senso. Che significato ha poi avere due canali sportivi? È stata seguita più una logica di occupare canali che di produrre contenuti». L’analisi di Simonelli fa diversi distinguo: intanto sui canali per bambini, che hanno avuto avuto successo perché hanno segmentato le fasce di età e le esigenze, scelti prodotti come Peppa Pig che hanno permesso di reggere a una concorrenza consistente.  Rai Storia, inoltre, «è uno dei canali più definiti: ha un pubblico chiaro, le persone interessate alla storia, ed è una delle reti più vive. Ma ha un grande problema: il budget. Dovrebbe poter comprare più produzioni dall’estero». Rainews, invece «dovrebbe essere meno schiacciata sulla politica e trattare di più temi di economia, estero, spettacolo, cinema».

Simonelli: «Alcuni di questi canali non hanno senso. È stata seguita più una logica di occupare canali che di produrre contenuti»

Grandissimi problemi ci sono su reti come Rai Sport 1 e 2 e Rai Scuola. «Rai Sport nasce per dare più spazio agli sport minori e per usare l’archivio. Ma l’archivio bisogna usarlo in maniera moderna. Se si buttano dentro intere partite del 1978, possono guardarle solo alcuni maniaci. La Rai deve trovare il modo di contestualizzare l’archivio, ci sarebbero tantissime occasioni di creare splendidi racconti della società». Rai Scuola, invece, «è trattata come una Cenerentola. Il problema è il rapporto con le scuole: dovrebbe diventare un canale usato nelle classi, o che sviluppa progetti assieme alle scuole. Cosa che oggi si fa in piccola parte» e gli ascolti infinitesimali sono a dimostrarlo.

Simonelli: «L’archivio bisogna usarlo in maniera moderna. Se si buttano dentro intere partite del 1978, possono guardarle solo alcuni maniaci»

In una riforma dei canali tematici, Simonelli comincerebbe dal focalizzarsi sui bambini, rivedere Rainews e fondere Rai 5 e Rai 4. «Bisogna far uscire dall’ambiguità il doppione di Rai 4 e Rai 5 e strutturarli come progetto. Si è distinta la cultura come contenuto, rappresentata da Rai 5, e la cultura come atteggiamento, rappresentata da Rai4. Un modello è Sky Arte, che ha unificato contenuto e sguardo sulla cultura». 

Futuro da riscrivere

Per il professore della Cattolica, questi canali sono nati perché con l’arrivo del digitale terrestre, «si diffuse l’idea che fosse necessario avere anche in Rai una serie di tv tematiche e che avere solo una tv generalista fosse antiquato. La mia impressione è che invece la tv generalista abbia ancora validi motivi di esistere, in un Paese con molti over 60 e pochi under 30. Inoltre credo che di modelli veramente alternativi alla tv generalista che ne siano pochi». 

Balassone: «La Bbc, che aveva molti canali tematici, ne sta chiudendo uno alla volta. Non puoi attardarti su un digitale terrestre che è morto»

Per questo, secondo Balassone, una riforma dovrebbe semplicemente «andare spegnendo uno dopo l’altro. Scegliendo la strada dell’indirizzo web che organizza una serie di contenuti». «Se vedo cosa è stato fatto nel mondo – aggiunge -, nessuna tv pubblica ha puntato su tutti questi canali. La Bbc, che ne aveva molti, ne sta chiudendo uno alla volta. Non puoi attardarti su un digitale terrestre che è morto. Non ci vogliono canalini di flusso ma contenuto che viene organizzato sul web». 

Fonte: Confindustria Radio Tv

Ma la materia televisiva sul web è redditizia, visto che nel 2012, ultimi dati disponibili, la Rai ha raccolto da web solo 8,5 milioni di euro (meno di un terzo di quelli di Mediaset)? «Non è automatico – risponde Balassone -. Da solo probabilmente no, ma se fosse in connessione incrociata con la tv generalista, allora probabilmente sì».

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