Si è conclusa lunedì 23 marzo l’edizione 2015 del Salon du livre di Parigi, evento di punta dell’editoria francese e terzo vertice, insieme alla Buchmesse di Francoforte e al Salone del libro di Torino, della triade di appuntamenti più importanti d’Europa nel settore. Se da una parte è ancora troppo presto per una riflessione fondata su statistiche precise, dall’altro sono così tante le questioni che hanno preceduto l’inaugurazione a Porte de Versailles da rendere possibile un primo bilancio.
I prezzi troppo alti degli stand e la gestione inopportuna degli spazi non assicurano la reale attività di promozione culturale
Non è una novità, del resto, che le polemiche superino di gran lunga gli entusiasmi gravitanti intorno all’evento, accusato dai più di essere diventato un mercato finalizzato alla vendita occasionale e di impedire, con i prezzi troppo alti degli stand e la gestione inopportuna degli spazi, la reale attività di promozione culturale che dovrebbe esserne il cuore. Pare che questa volta, però, alcune situazioni siano arrivate al punto di rottura definitivo: vediamone le più salienti.
Molte grandi case editrici, seguendo una tendenza consolidatasi negli anni precedenti, hanno disertato: tra le grandi assenti di questa edizione vanno sicuramente citate Lattes, Grasset, Stock, Calmann-Lévy, tutte appartenenti al gruppo Hachette. Le ragioni addotte a supporto di questa scelta sono in parte di natura ideologica – le perplessità in merito al reale valore dell’iniziativa – ma soprattutto economiche, e per questo non condivise dalla totalità degli azionisti di minoranza del gruppo.
È il caso di Éliane Calmann-Lévy , che ha definito la scelta di Arnaud Noury, presidente e direttore generale del gruppo, uno “sbaglio morale” in relazione a un contesto nazionale e internazionale in cui la libertà d’espressione subisce minacce sempre più preoccupanti e in cui la presenza e la coesione dei grandi editori avrebbero rappresentato un segnale forte di rivendicazione del ruolo del libro e della cultura.
Noury, da parte sua, ha puntato il dito contro l’allestimento del Salone a Porte de Versailles, «immenso universo in cui si finisce per perdere di vista la sua anima», auspicandone un ritorno alla sede originaria del Grand Palais, molto più consona allo spirito di partenza.
Il digitale è la grande vittima dell’assenza di una reale prospettiva di crescita del Salon
Altra grande vittima dell’assenza di una reale prospettiva di crescita del Salon è il digitale, punto dolente del mercato editoriale francese: a startup e ebook è stato dedicato solo il 5%dello spazio totale, percentuale che, contestualizzata nel marasma complessivo, equivale alla quasi invisibilità.
La natura paradossale di questo dato risulta ancora più evidente se si considera che proprio in queste settimane gli editori francesi stanno portando avanti un’aspra lotta contro la decisione dell’Unione Europea di ripristinare l’IVA sui libri digitali al 20% (contro il 5,5%), penalizzando una porzione già debole di un mercato in crisi. Se la lentezza nell’aprirsi a nuovi orizzonti è una caratteristica tipica di istituzioni tradizionali, tra le quali è possibile ascrivere senza dubbio il Salon du livre, la chiusura alle problematiche del presente costituisce una pecca non trascurabile. E sono in molti a essersene resi conto, rifiutandosi di rifugiarsi nel lassismo della procrastinazione una volta di troppo.
Proprio la questione IVA è stata uno degli argomenti chiave della manifestazione organizzata sabato 21 marzo dal CPE (Consiglio permanente degli scrittori) insieme al Sindacato degli autori di fumetti con lo scopo di sensibilizzare i visitatori alle norme sul diritto d’autore, le riforme sociali, la riduzione dei profitti e la minaccia della pirateria online; ragioni di malcontento che si sono concretizzate in una petizione sottoscritta da 120 autori.
Un tempo era uno dei più importanti eventi culturali nazionali, adesso genera solo scetticismo, rabbia e disillusione
Tanta rabbia, dunque, e tanta disillusione a inaugurare quello che un tempo veniva salutato come uno dei più importanti eventi culturali nazionali, e che adesso semina solo scetticismo. Una situazione che conferma l’andamento discendente delle statistiche di lettura dell’anno scorso, allontana in maniera sempre più drastica autori ed editori (si ricordi in proposito la proposta di Bibliobs di far raccontare a nove scrittori i peggiori episodi personali legati al Salon) e sconfessa – c’erano pochi dubbi – le previsioni ottimistiche del presidente dell’SNE (Syndacat national de l’édition) Vincent Montagne, che aveva confidato in un ritorno in auge del ruolo del libro entro la fine del 2014.
Quel che è peggio forse è proprio che, a differenza delle edizioni precedenti, che avevano destato valanghe di critiche, recensioni negative, interviste demolitorie, interventi satirici, il Salon du livre 2015 sembra aver suscitato solo silenzio e indifferenza, anche e soprattutto da parte delle testate nazionali. Come se ormai, complice una stanchezza evoluta in rassegnazione, si fossero tutti decisi a metterci una gigantesca pietra sopra.
Il Salon du livre 2015 sembra aver suscitato solo silenzio e indifferenza
Meno uno, verrebbe da dire con un certo distacco, se non condividessimo anche noi la necessità di un ripensamento delle realtà di spicco del panorama letterario e culturale contemporaneo in una prospettiva a lungo termine, che prenda atto delle difficoltà correnti e faccia delle strategie per superarle un obiettivo concreto in grado di ridestare fiducia ed entusiasmi.
Cosa dobbiamo realmente aspettarci da questi appuntamenti “imprescindibili”? Nient’altro, come ipotizzava Grégoire Leménager, che un ipermercato della letteratura televisiva?