Una installazione artistica di circa 5 ettari è stata ideata dall’artista americana Agnes Denes (Budapest, 1931), su invito della Fondazione Riccardo Catella e della Fondazione Nicola Trussardi, sul sito che accoglierà il Parco “La Biblioteca degli Alberi” nel cuore di Milano — oggi un immenso vuoto urbano. Il progetto del parco che si presumeva dover essere terminato per Expo, è parte integrante dei nuovi interventi che stanno animando la zona Garibaldi, Repubblica e i quartieri limitrofi, e di cui già molto è stato scritto su questo giornale.
Il progetto dell’artista americana, che prevede di ricoprire con un campo di grano la zona del previsto parco urbano — risultato impossibile da completare per la data del 1° maggio 2015 —, riflette un atteggiamento assai diffuso nelle pratiche e negli escamotage in uso nel marketing urbano. Una verdolatria stemperata da un’illusoria atmosfera ecologista e ambientale, coprono la cattiva coscienza generata dagli impacci e dai ritardi della gestione urbana. In questo senso, queste considerazioni esulano da un giudizio sulla qualità intrinseca dell’opera della stessa artista statunitense, che firma uno scaltro progetto d’emergenza generato strategicamente, ben diverso nella concezione e nel significato dal suo gemello newyorkese degli anni ’80.
Il progetto dell’artista americana, che prevede di ricoprire con un campo di grano la zona del previsto parco urbano – risultato impossibile da completare per la data del 1° maggio 2015 –, riflette un atteggiamento assai diffuso nelle pratiche e negli escamotage in uso nel marketing urbano. Una verdolatria stemperata da una illusoria atmosfera ecologista e ambientale, coprono la cattiva coscienza generata dagli impacci e dai ritardi della gestione urbana. In questo senso, queste considerazioni esulano da un giudizio sulla qualità intrinseca dell’opera della stessa artista statunitense, che firma uno scaltro progetto d’emergenza generato strategicamente, ben diverso nella concezione e nel significato dal suo gemello newyorkese degli anni ’80.
In questa installazione paesaggistica in apparenza consonante con i temi “etici” sollevati dall’Expo, la stessa visione di paesaggio risulta distorta e compromessa, facendoci illudere che i meccanismi imprenditoriali che hanno generato il grande intervento di Garibaldi–Repubblica, siano gli stessi che permetteranno la risoluzione di problemi quali il degrado ambientale, il lento ma inesorabile dissolvimento dell’agricoltura nel nostro paese, la cementificazione selvaggia, ecc. Il progetto, in sostanza, denota lo spazio pubblico come un luogo vuoto e inaccessibile, trasfigurando il paesaggio metropolitano attraverso una romantica visione agreste. In esso è assente ogni articolazione spaziale e temporale: un luogo ingestibile e alieno, in cui si riflettono le enigmatiche figure dei grattacieli, che vengono in qualche modo legittimate dall’emotivo ed eventuale rito collettivo della semina.
Gli stessi caratteri specifici del progetto denotano un totale disinteresse per la fruibilità e l’identità del luogo: al posto di gettare ponti tra i margini del grande vuoto, lo si ricopre con un tappeto inviolabile. Forse sarebbe bastato realizzare all’interno della grande monocoltura cerealicola i percorsi già immaginati nel progetto di Inside-Outside, per non perdere la sua connotazione di spazio di relazione. Inoltre questa enorme distesa di grano sarà invasa, a meno di non ricorrere ad alte dosi di diserbanti nel centro della città, da erbe infestanti che ne danneggeranno la crescita. È paradossale, ma certo spettacolare, portare la campagna nel cuore della metropoli contemporanea, proprio nel momento in cui all’agricoltura interesserebbe solo rimanere dove sta ora.