Al Jobs Act servono più soldi e il governo è pronto a immettere nuova benzina. Dopo i dubbi sulla copertura economica avanzati dalla Ragioneria dello Stato, la soluzione è vicina. I soldi stanziati nella legge di stabilità 2015 per lo sgravio fiscale delle nuove assunzioni a tempo indeterminato non bastano a coprire anche le trasformazioni dei finti cocopro verso il contratto a tutele crescenti. Così si sta correndo ai ripari per allungare la coperta.
A creare problemi è il decreto che prevede lo stop ai cocopro varato dal consiglio dei ministri lo scorso 20 febbraio. In base alla bozza, il datore di lavoro che entro la fine del 2015 assume un “finto” collaboratore a progetto con un contratto a tempo indeterminato avrà l’estinzione delle violazioni sugli obblighi contributivi, assicurativi e fiscali a cui doveva attenersi. E la nuova assunzione godrebbe della decontribuzione per i primi tre anni, per un massimo di 8.060 euro all’anno. Non solo: dal 1 gennaio 2016 i collaboratori fittizi non stabilizzati potranno andare dal giudice e chiedere di essere trasformati in dipendenti.
Dopo l’approvazione del 20 febbraio, del decreto si era persa traccia. La Ragioneria dello Stato finora ha bloccato l’invio al Parlamento per i pareri. Lo scontro con Palazzo Chigi va avanti da più di un mese. Il problema sono le risorse messe in campo dal governo per il Jobs Act. Lo stanziamento da 1,880 miliardi per il 2015 previsto dalla legge di stabilità per le nuove assunzioni sarebbe una coperta troppo corta per poter coprire tutto. I fondi, secondo i rilievi della Ragioneria, non bastano a finanziare anche le trasformazioni delle finte collaborazioni verso cui spinge il governo. Già sul contratto a tutele crescenti, in realtà, la Ragioneria aveva avanzato qualche dubbio, sostenendo che i soldi stanziati per coprire gli sgravi sui contributi potevano non bastare. Con il decreto sui cocopro, i dubbi si sono trasformati in certezza.
Lo stanziamento da 1,880 miliardi per il 2015 previsto dalla legge di stabilità per le nuove assunzioni sarebbe una coperta troppo corta per poter coprire anche le trasformazioni dei cocopro
Al momento del varo della legge di stabilità, spiegano i tecnici di Palazzo Chigi, non si poteva sapere che nel Jobs Act ci sarebbe stata anche l’abolizione dei cocopro. Dunque ora servono ulteriori coperture per le nuove stabilizzazioni. Questione di non poco conto visto che Matteo Renzi da sempre preme per il superamento del dualismo del mercato del lavoro, favorendo il contratto a tutele crescenti a tempo indeterminato a scapito dei contratti precari.
«È ragionevole che la Ragioneria dica che non si è tenuto conto della nuova norma sui cocopro, ed è giusto che ci sia più copertura per favorire occupazione stabile», dice Marco Leonardi, economista dell’università statale e consulente tecnico del ministero dell’Economia. «Ma sarà un incremento minimo della spesa e non un raddoppio».
Facciamo i conti. Le stabilizzazioni previste a dicembre 2014 dalla legge di stabilità si aggiravano intorno a 400mila. I cocopro del settore privato in Italia sono circa 500mila, ma non tutti si trasformeranno in dipendenti. Gli autonomi restano autonomi. Saranno trasformati solo quelli che svolgono un lavoro dipendente pur avendo un contratto di collaborazione. «Si tratta di 200mila contratti che però non si devono aggiungere alle trasformazioni totali», spiega Leonardi. «Nella legge di stabilità non era prevista l’abolizione dei cocopro, ma l’incentivo teneva comunque contro che alcuni cocopro potessero essere trasformati in contratti subordinati». La spesa per l’aggiunta di denaro al fondo per favorire l’occupazione stabile a tempo indeterminato non dovrebbe quindi essere eccessiva. «È poca roba», dicono dal ministero dell’Economia. Ma nessuno si sbilancia ancora sui numeri. La novità, comunque, è che dopo l’incontro tra governo e Ragioneria dello Stato, il fondo destinato al Jobs Act dovrebbe essere rinforzato. E ora tutti si augurano che il decreto approdi a breve in Parlamento.
“Ci sarà un incremento minimo della spesa ma non un raddoppio, ma l’incentivo teneva comunque contro che alcuni cocopro potessero essere trasformati in contratti subordinati”
Resta anche il nodo della riduzione del gettito per l’erario. I collaboratori iscritti alla Gestione separata dell’Inps hanno un’aliquota contributiva del 27,7 per cento, che quindi con le trasformazioni in lavoro subordinato in parte verrebbe a mancare. Anche perché a rendere attraente per i datori di lavoro il contratto a tutele crescenti è proprio la possibilità di non pagare in tutto o in parte i contributi. In un bilancio in profondo rosso come quello dell’Inps, però, la cassa della gestione separata è una delle poche in attivo. E la riduzione degli introiti in futuro potrebbe creare non pochi problemi alle casse pubbliche.
Per superare lo stallo, nei giorni scorsi dal Mef si era ipotizzato di escludere dalla stabilizzazione gli iscritti anche a un’altra gestione come attività lavorativa principale e i 25mila cococo del pubblico impiego. Ipotesi che, almeno per il momento, sembra accantonata. Anche perché per la pubblica amministrazione è tutto rimandato al 2017.