La pillola dei 5 giorni in mano ai medici obiettori

La pillola dei 5 giorni in mano ai medici obiettori

Anche sulla “pillola dei cinque giorni dopo” l’Italia rischia di diventare l’ultima della classe in Europa. Secondo il parere del Consiglio superiore di sanità, per la vendita del farmaco nel nostro Paese ci sarà bisogno della prescrizione di un medico, indipendentemente dall’età di chi la richiede. Quindi niente vendita libera, com’è previsto invece nel resto dei Paesi europei. Per comprarla, secondo il Consiglio, si dovrà passare da un dottore. Che potrebbe essere obiettore di coscienza e quindi non voler prescrivere la pillola, come già avviene per quella “del giorno dopo”. Uno solo, figuriamoci se se sono cinque. Se poi ci si dovesse trovare in una regione come la Basilicata o il Molise, dove i ginecologi obiettori di coscienza sono il 90%, allora la ricerca della ElleOne (il vero nome della pillola dei cinque giorni dopo) potrebbe diventare una vera caccia al tesoro. Con il rischio, come già avviene per la pillola abortiva, di doversi rivolgere in Rete a farmacie non autorizzate.

Il parere del Consiglio superiore della sanità non è vincolante. E ora spetta all’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, decidere sul destino della compressa. Anche se nella maggioranza dei casi l’agenzia si adegua al parere del Consiglio.

(Medici obiettori di coscienza per regione – Dati del ministero della Salute)

In Europa il 44% delle gravidanze è indesiderato e diversi sondaggi dimostrano che il 30% delle donne attive sessualmente ha avuto rapporti non protetti negli ultimi 12 mesi. In Italia i numeri salgono: una gravidanza su cinque è indesiderata e sei donne su dieci in età fertile non usano alcun metodo contraccettivo.

«La cosiddetta pillola dei cinque giorni dopo è un diritto di cui le donne italiane dovrebbero poter usufruire», dice Francesca Merzagora, presidente dell’Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna. «La prescrizione obbligatoria sarebbe una limitazione esistente solo nel nostro Paese. Speriamo che l’Aifa decida diversamente». 

L’obiettivo della limitazione, secondo ministero della Salute italiano, è evitare «gravi effetti collaterali nel caso di assunzioni ripetute in assenza di controllo medico». Preoccupazione che però non sembra sfiorare il resto del continente, dove per ottenere la pillola EllaOne basta presentarsi in farmacia. «È sbagliato pensare che per due o tre casi di abuso si debbano penalizzare tante donne che invece potrebbero usufruirne responsabilmente», dice Merzagora. «Va ricordato che non è che ci si diverte ad abusare di questi farmaci, ricorrere a un contraccettivo di questo tipo è comunque un trauma».

Il farmaco, prodotto da Hra Pharma, agisce come la pillola del giorno dopo, ma può essere assunto anche fino a cinque giorni dopo il rapporto a rischio. Il principio attivo contenuto nella pillola (ulipristal) contrasta l’effetto del progesterone, l’ormone che crea le condizioni adatte alla fecondazione e all’annidamento dell’ovulo. Se assunta entro cinque giorni dal rapporto, in pratica, la pillola ha la funzione di interferire con i meccanismi dell’ovulazione. Non è da confondere quindi con la Ru-486, la pillola abortiva, che invece agisce a gravidanza già iniziata. L’Italia, comunque, resta anche l’unico Paese a richiedere un test di gravidanza negativo come requisito per l’acquisto della pillola. 

L’agenzia europea del farmaco (Ema) aveva dato il via libera al farmaco già a novembre 2014. Poi a gennaio è arrivato anche il parere favorevole della Commissione europea, che ne ha autorizzato la vendita direttamente in farmacia senza il bisogno di una prescrizione medica. Ma ogni Stato membro decide poi in accordo con le norme nazionali. Una decisione che permetterebbe a 120 milioni di donne europee di avere accesso diretto alla cosiddetta contraccezione di emergenza. Forse non in Italia. Nonostante il Consiglio superiore della sanità sia presieduto da una donna, Roberta Siliquini, e abbia la metà dei componenti donna. «Usare questo farmaco è una scelta per la libertà della donna che non influisce assolutamente sulla salute», dice Francesca Merzagora. «Le donne italiane dovrebbero avere gli stessi diritti delle altre donne europee».

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