Viva la FifaRitratto di David De Gea da giovane

Ritratto di David De Gea da giovane

Uno dei più grandi svantaggi del vedere una partita in televisione anziché dal vivo, è che non sempre riesci a cogliere con esattezza la portata di un gesto tecnico. Voglio dire: sembra strano, viste tutte quelle telecamere che riprendono qualsiasi cosa da qualsiasi angolatura. Ma qui sta anche il vantaggio del vedere una partita in televisione anziché dal vivo, perché se un gesto tecnico ti è sembrato normale, il replay immediato può fartelo apparire sotto una nuova luce.

Ed è in pratica quello che mi è successo più o meno una settimana fa, mentre immerso nel silenzio di una qualunque città emiliana in un qualunque sabato pomeriggio guardavo Manchester United-Sunderland. Sembrava il solito United di quest’anno, che cerca di applicare i dettami di quell’incazzoso maniacale che è Van Gaal senza però riuscirci con il giusto equilibrio. Non passa molto infatti, che la squadra comincia ad aprirsi tra centrocampo e difesa, scoprendo praterie a un Sunderland che quasi quasi a fine gara pensa già di fermarsi a stringere sentitamente la mano agli avversari. Ed è in una di queste ripartenze – la faccio breve – che un replay a fine azione mi svela quanto forte sia diventato David De Gea.

Il Manchester United, come detto, dopo nemmeno un quarto d’ora rischia di andare sotto. Il centrocampo perde palla, che finisce tra i piedi di Connor Wickham. L’attaccante punta l’area avversaria e la difesa lo attende schierata che peggio non si può. Tanto che alla destra del numero 10 dei Black Cats c’è un uomo totalmente libero che misura i passi in the box in attesa di ricevere il pallone da tirare in porta. Ma Wickham, che ha una buona tecnica, aspetta fino all’ultimo e poi, quasi dal limite dell’area, tira verso la porta. Il suo è un gesto calcolato in ogni dettaglio. Sfrutta la posizione libera del compagno per tenere sulle spine la difesa, poi tira facendo passare il pallone tra le gambe del diretto marcatore, sfruttandolo per togliere la visuale a De Gea. Il portiere la palla la vede all’ultimo. Tra il vederla e il distendersi per mandarla in angolo non passano più di due secondi. Ma la bellezza e la complessità del gesto la capisci solo al replay, perché dal vivo sembra una parata normalissima.

Forse è questo l’atteggiamento che molti di noi abbiamo nei confronti di David De Gea Quintana: lo sottovalutiamo. Crediamo che il portiere debba essere spettacolare e istrionico per definizione, in un’epoca in cui il ruolo del numero uno sta cambiando in maniera radicale e deve saper fare tutto. Con le mani e con i piedi. De Gea ha imparato, dopo un inizio difficilissimo in Premier. Ecco perché possiamo considerarlo il miglior giovane della sua generazione assieme a Courtois.

Può sembrare quasi strano dirlo, ora. Quattro anni fa, quando De Gea arrivò al Manchester United, si ritrovò alle spalle l’eredità pesante di Schmeichel e Van der Sar. Già è dura sopportare il peso di uno, figuriamoci di due. Sbarcato in Inghilterra, aveva il viso giovane ma il passato di un esperto. Vice campione d’Europa Under 17 con la Spagna nel 2007, campione d’Europa Under 21 nel 2011. L’anno prima, nel 2010, aveva tolto il posto da titolare nell’Atletico Madrid a Sergio Asenjo, tanto che fu lui a giocare la finale (vinta) di Europa League. Ad agosto, nella Supercoppa Europa, il posto in porta era già suo. Lo sigillò parando un rigore a Diego Milito. Così, quando un anno dopo Alex Ferguson pagò 21 milioni di euro per averlo il 29 giugno 2011, De Gea dovette aver pensato che se anche l’olandese Van de Saar, che tutti davano per spacciato dopo l’esperienza juventina, era riuscito a risollevarsi di fronte al Theatre of dreams nonostante l’ombra del gigante danese, forse il suo peso non era così insopportabile.

Pronti, via e lo United rischia di rimetterci subito un trofeo (poi vinto in rimonta), il Community Shield. A Wembley. Contro il Manchester City. Che va in vantaggio due volte. Prima con un colpo di testa di Lescott. L’indecisione di De Gea è fondamentale: esco, non esco, gol. Nulla in confronto al secondo errore, su tiro da fuori di Dzeko. Sembra di rivedere Van der Sar contro Salas, magari De Gea lo ha pure pensato. Così come può aver temuto che l’Old Trafford forse non è per tutti.

Contro il West Ham, alla prima di campionato, De Gea commette un altro errore. Gli va ancora bene, perché ancora il Manchester United vince lo stesso. La maglia da portiere diventa pesante, pesantissima. E i tabloid inglesi non ci mettono molto a pizzicarlo. A fine settembre del 2011, il Sun pubblica le sequenze video di un negozio della catena Tesco, mentre inquadrano De Gea che prende una ciambella ed esce, senza pagarla. Il ragazzo, secondo lo staff che lo ha bloccato fuori dal negozio, non è stato in grado di spiegare l’episodio, ma ci vuol poco perché si ricami su. Troppo distratto fuori dal campo, figuriamoci dentro. E così, a dicembre Ferguson decide per il cambio: De Gea in panchina, titolare è Lindegaard.

Complice un infortunio del danese, De Gea può tornare in porta in Fa Cup contro il Liverpool. Arriva la sconfitta per 2-1. Sull’angolo del primo gol dei Reds, la regia inquadra l’area piccola. De Gea è dove non dovrebbe essere, cioè dietro un gruppo di giocatori che gli copre la visuale. Quando la palla è in aria, il portiere deve spingere l’attaccante Carrol per mandarlo via ed avere campo libero. Nel frattempo, però, un avversario è già saltato e l’ha messa dentro di testa. A fine stagione ci sono gli Europei in Polonia e Ucraina. Vicente Del Bosque stila la lista dei 23. Portieri: Casillas, Victor Valdes, Reina.

Due anni dopo, al Mondiale spagnolo, il titolare è ancora Casillas. Ma in panchina De Gea c’è. Perché nel frattempo qualcosa è cambiato. Il percorso di De Gea comincia già l’anno dopo quell’Europeo sfumato. E c’entra proprio la Spagna. Il 13 febbraio del 2013 il Manchester United va al Bernabeu, in casa del Real Madrid, per gli ottavi di finale di Champions. Gli ingredienti per far tremare le gambe ci sono tytti, dagli ex tifosi rivali a Iker Casillas dall’altra parte del campo. Per David sembra un’altra serataccia. Prima lo salva il palo su un tiro a giro di Coentrao, poi Cristiano Ronaldo lo buca di testa. E allora De Gea fa la cosa più naturale, in questi casi: si rifugia nei suoi piedi. Prende coraggio dettando i tempi alla difesa con passaggi sempre più precisi e impostando la manovra dal basso. Poi, decide si usarli pure per parare,m manco fosse un Garella. Nella ripresa, su cross di prima di Khedira, la palla attraversa tutta l’area e finisce su Coentrao, che la colpisce in scivolata. De Gea non ci pensa su due volte e la respinge al volo di piede. Una parata quasi impossibile, stranissima, efficace.

De Gea alla fine di quella stagione vince il titolo in Premier. Il primo e unico, fino ad ora. Ma nel Manchester che dopo Ferguson cerca una nuova via, lui è una delle poche certezze. Continua a giocarla bene con piedi, che usa però solo per dirigere la difesa. Per il resto, ci sono le mani. Al momento, oltre alla parata contro Wickham, il capolavoro di De Gea è stato contro l’Everton. Prima, parando un rigore a Leighton Baines (che in Premier non aveva mai sbagliato dal dischetto). Poi, con una respinta a mano aperta su Osborne («Absolutely world-class», dicono i commentatori inglesi). Quindi, con un balzo, ad alzare sopra la traversa una botta da fuori di Osman.

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Gli ultimi miracoli, in attesa dei prossimi, sono stati contro il Newcastle. «Incredible goalkeeper», lo ha definito Van Gaal, che per lui ha già predisposto il rinnovo del contratto, prima che il Real glielo porti via. In Spagna prenderebbe il posto di Casillas, nello stadio dove la sua rinascita è cominciata. 

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