Banche: prestare alle Pmi costa troppo? Imparate dal Regno Unito

Banche: prestare alle Pmi costa troppo? Imparate dal Regno Unito

La domanda non è così banale come può sembrare, soprattutto se si considera come i sistemi bancari più avanzati in Usa e Regno Unito non soltanto se la pongano da parecchi anni, ma siano passati all’azione riducendo di molto il servizio alle micro e piccole imprese. Per quanto riguarda l’Italia una risposta parziale può arrivare dalle analisi sempre più puntuali degli osservatori Cerved. L’ultimo studio uscito analizza il problema delle sofferenze bancarie sotto un profilo geografico, dimensionale (delle imprese) e di previsione futura. Rimandandovi all’intero studio mi preme estrarre un’interpretazione dei dati forniti da Cerved.

Il Cerved prevede bene fino al 2016 il sistema bancario subirà notevoli flussi di sofferenze, per 22 miliardi nel 2015 e altri 20 nel 2016, solo dalle imprese

Il tasso di ingresso (passaggio) a sofferenza è cresciuto a partire dalla crisi del 2008 e non si è più fermato. Da notare come le due curve (importi e numero di imprese rispetto al totale) divergano a partire dal 2012 segnalando un aumento nella dimensione delle imprese in crisi (e dei crediti a loro concessi). Così come la crescita della curva blu (quella numerica) a fronte di un ripiegamento di quella azzurra farebbe pensare che i grandi debitori in crisi stiano diminuendo dopo 7 anni mentre non cala ancora il numero di piccole imprese che entrano in zona fallimentare.

Cerved ha scomposto i tassi d’ingresso a sofferenza per dimensione d’impresa mostrando l’ovvia verità che le micro e piccole imprese hanno, in percentuale sul credito a loro erogato, dei tassi di rischiosità storica superiore:

Infine un terzo grafico mostra le previsioni per il 2015 e 2016:

Previsioni che vedono il calo dei tassi d’ingresso dal 3,4% al 2,5% per la media delle imprese, al 3,2% per le micro contro l’1,3% delle grandi.  Due osservazioni su questo grafico.  La prima è che se Cerved prevede bene fino al 2016 il sistema bancario subirà notevoli flussi di sofferenze, quantificabili in circa 22 miliardi di nuove sofferenze nel 2015 e altri 20 nel 2016, solo dalle imprese. Con un tasso di accantonamento pari al 60% (richiesto oggi dalla Bce) sono altri 25 miliardi di capitale che andranno rimpiazzati.

La seconda considerazione ritorna sulla domanda iniziale: conviene alle banche prestare denaro alle piccole imprese?

Una prima risposta tecnica la fornisce lo stesso studio Cerved, perché se a prima vista i grafici sconsiglierebbero di prestare denaro alle micro-imprese, Cerved spiega nella nota che accompagna i grafici che: 

Al maggior rischio in media delle imprese di minori dimensioni non corrisponde un maggiore rischiosità nei termini di rischio di portafoglio. Numerose evidenze mostrano, infatti, che il rischio delle imprese di minori dimensioni ha una componente idiosincratica più elevata di quella delle imprese maggiori e quindi risulta più bassa la correlazione tra gli eventi di default e si riduce, di conseguenza, la rischiosità del portafoglio crediti delle piccole imprese.

Detto in termini più semplici se un portafoglio di prestiti a 1.000 micro-imprese avesse lo stesso volume di un portafoglio di prestiti a 5 grandi imprese (es. 1.000 x 50.000 € = 50.000.000 € = 5 x 10.000.000 €), la diversificazione del portafoglio di 1.000 piccoli prestiti porterebbe a risultati di minore rischiosità nel tempo.

Sulla base delle previsioni di Cerved e ipotizzando che i quasi 800 miliardi di credito concessi alle imprese siano per il 70% erogati a imprese medio-grandi e per il 30% a imprese micro e piccole, le percentuali previste da Cerved conducono a una stima di nuove sofferenze nel biennio 2015-16 in valore assoluto di 20 miliardi di euro per le imprese maggiori e di 15 per le piccole.

Il problema per le banche non è solo il costo del rischio ma il rapporto tra redditività e costi di ciascuna tipologia. Un rapporto molto sbilanciato a favore delle grandi imprese

Probabile inoltre che l’esposizione verso le piccole imprese, sempre basata su maggiori garanzie collaterali, attiri una percentuale di rettifiche inferiore al 60% previsto per le grandi. Alla fine dell’esercizio le piccole imprese costeranno alle banche nei prossimi due anni 7,3 miliardi di capitale contro 11,9 delle grandi.

Il problema per le banche non è però solo il costo del rischio – che renderebbe più attraente un portafoglio crediti composto da una miriade di piccole imprese- ma il rapporto tra redditività e costi di ciascuna tipologia. Un rapporto molto sbilanciato a favore delle grandi imprese che in proporzione possono sopportare meglio gli ingenti costi fissi organizzativi e di processo.

Prestare ai piccoli non è più rischioso, ma più costoso

La conclusione, sulla quale dovrebbe soffermarsi anche l’attuale dibattito sul ruolo delle banche popolari e delle Bcc votato al finanziamento della piccola impresa, è che prestare denaro alle piccole imprese non è di per sé più rischioso (su base aggregata) rispetto alle grandi imprese.

Le dichiarazioni appassionate verso il territorio e le piccole imprese sono fondate su scarsa lucidità e troppa propaganda. Il tempo lo dimostrerà

La redditività invece è un altro paio di maniche: compressa dal fenomeno assurdo del multiaffidamento  (pochi margini divisi tra 3 o 4 banche) e da elevatissimi costi di processo rende poco attraente il segmento delle piccole imprese. Ecco spiegata la propensione delle banche Usa e Regno Unito ad abbandonarlo o a gestirlo in partnership con le nuove piattaforme di finanza alternativa che possono permettersi processi più leggeri e costi bassissimi. Mentre le banche italiane continuano nel triplice equivoco di finanziare troppe piccole imprese per quote inferiori al 100%, di considerare poco la diversificazione naturale delle micro-imprese a livello di politica creditizia e di avere costi esagerati rispetto alla qualità del servizio erogato. Le dichiarazioni appassionate verso il territorio e le piccole imprese sono fondate su scarsa lucidità e troppa propaganda. Il tempo lo dimostrerà.

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