Pochi lo capiscono, pochissimi lo amano. E solo chi lo fa lo sa apprezzare davvero: è il jazz. Il genere made in Usa che nel secolo scorso ha scompigliato un po’ tutto: ha cambiato gli stili, le tecniche, le musiche. Ha impastato la musica del rimpianto dei neri delle piantagioni alle melodie classiche, assorbendo il fumo dei locali malfamati in cui veniva suonato: bordelli, osterie e periferie. Era il jazz, era nuovo, era matto. E alla gente piaceva per quello.
Oggi in pochi si direbbero amanti del jazz. Cosa è successo? Cosa si è perso nel frattempo? Nulla di che: le cose sono cambiate, sono arrivate musiche nuove, sonorità diverse, idee impensabili. La storia ha fatto il suo corso. Ma il jazz è ancora vivo. Per chi volesse imparare ad amarlo davvero proponiamo questo breviario fatto di tre semplici passi.
Concentrarsi sulla melodia originale
Il primo passo consiste nel farsi un’idea della struttura generale di una composizione jazz. Anche il jazz, come molti altri generi, si fonda su una melodia costante che fa da base per le canzoni. Ma qui c’è una novità: in ogni esecuzione ci sono deviazioni, modifiche, improvvisazioni. Tutto è lasciato allo spirito e all’ispirazione del musicista nel momento, che parte dalla partitura e si avventura in variazioni personali.
Una canzone jazz tipica comincia attenendosi alla composizione originale: è la “testa”. Una volta finita, comiciano le improvvisazioni sul tema o sulle armonie sottostanti. E alla fine, in molti casi, si ritorna alla melodia iniziale. Una struttura ABA. Come primo passo, è un buon primo passo.
Una volta individuata la melodia, seguire le diverse armonie della canzone
La struttura, per come è stata descritta sopra, può lasciare pensare che il jazz abbia una forma libera. Ma non è così. Ogni canzone ha una struttura armonica coerente, e accompagna la melodia – quella che si nota di più, per capirsi – come un livello secondario.
Per farla breve: l’armonia conosce diverse forme per svilupparsi intorno alla melodia. Può assumere la stuttura “blues”, costruita su 12 battute intorno a tre accordi. Il primo è l’accordo di tonica, che definisce la scala su cui scorre la canzone. Il secondo è quello di sottodominante, altro termine gergale per indicare la quarta nota di una scala diatonica (per capirsi: se tonica è Do, sottodominante sarà Fa); il terzo è quello di dominante, cioè un gradino sopra la sottodominante. Serve a creare un minimo di tensione che si risolve ritornando alla tonica (Do-Fa-Sol, di nuovo Do). Ecco, conoscendo queste cose, si possono cogliere tutte le variazioni possibili, e apprezzare la varietà, le scelte stilistiche, l’espressione che un cambiamento provoca.
Imparare i tipi di improvvisazioni utilizzati
È la parte più importante, che richiede la pratica maggiore e mette in mostra il vero talento del musicista. Si può, senza usare un approccio scientifico, vedere che l’improvvisazione può essere: una parafrasi della melodia principale, con commenti, variazioni di ritmo e di colore (la più semplice); un’improvvisazione motivica, che parte cioè da un motivo principale e ne sviluppa di nuovi, cambiandone di volta in volta i toni; infine, l’improvvisazione formulaica, che implica da parte del musicista la capacità di combinare insieme diversi gruppi di note, fioriture che vengono inserite, sviluppate, ricamate attorno a un assolo veloce. Roba da professionisti.
Per il resto, si può guardare qui. L’importante è non dimenticare una cosa: ballate, applaudite, seguite il ritmo. Il jazz è una musica che, come quasi tutte, parla all’anima. E la fa ballare.