Cambia il clima sulle città: 139 vittime in 5 anni

Cambia il clima sulle città: 139 vittime in 5 anni

Trentaquattro allagamenti, 38 danni alle infrastrutture con 33 giorni di stop a metropolitane e treni urbani, otto casi di danni al patrimonio storico, 20 trombe d’aria, 30 esondazioni fluviali. Sono i numeri, dal 2010 a oggi, degli effetti dei cambiamenti climatici in Italia censiti da Legambiente. A pagare sono state soprattutto le città. E a questi numeri si deve aggiungere la tragica cifra delle 139 vittime del maltempo negli ultimi cinque anni. «In Italia è aumentata la frequenza degli eventi meteorologici estremi e dei danni causati», spiega Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente. «Questo perché sono state fatte scelte urbanistiche sbagliate. A Milano hanno intubato i fiumi, a Roma si è costruito a Nord e Sud del Tevere. E situazioni simili si trovano in tutte le città italiane».

Da un lato piogge abbondanti e trombe d’aria, dall’altro le isole di calore. «Negli ultimi anni sono aumentate le escursioni termiche», spiega Zanchini, che con l’architetto Francesco Musco dell’Università di Venezia ha anche curato il libro Il clima cambia le città. «L’asfalto rende le città più impermeabilizzate dall’acqua, che quindi non filtra ma si accumula, e nello stesso tempo fa aumentare la temperatura. Nei quartieri più asfaltati si può arrivare anche a 3-4 gradi in più». Nelle estati del 2003 e 2007 in queste zone si sono superati i 40 gradi, «mettendo a rischio intere fasce sociali, anziani in primis, ma anche quelle che non possono permettersi i condizionatori». In Francia, dopo i numerosi morti dell’estate 2003 causate dall’ondata di caldo, si stanno studiando modi per ridurre i rischi derivanti dal caldo eccessivo. In Italia neanche per sogno. Eppure quella stessa estate da noi ci furono 18mila morti in più rispetto all’anno precedente. In Francia 15mila in più.

«L’asfalto rende le città più impermeabilizzate dall’acqua, che quindi non filtra ma si accumula, e nello stesso tempo fa aumentare la temperatura. Nei quartieri più asfaltati si può arrivare anche a 3-4 gradi in più»

In base all’ultimo rapporto dell’Ipcc, International Panel on Climate change, gli impatti dei cambiamenti climatici in Europa sono diversi a seconda delle zone. Sud Europa e Russia sono interessate da ondate di calore e rischio incendi, le zone alpine dallo scioglimento dei ghiacciai. Ma la regione più a rischio è proprio quella mediterranea. Il costo del solo adattamento al rischio idrogeologico in Europa è stato stimato intorno a 1,7 miliardi all’anno entro il 2020, fino a 7,9 miliardi all’anno nel 2080. Per la città di Venezia il costo potrebbe essere dell’ordine di 1,7-2 miliardi di euro in 60 anni.

Legambiente ha tracciato una mappa del rischio climatico in Italia, segnalando i paesi e le città in cui si sono verificati i danni provocati dagli eventi estremi. «I risultati sono già ora, e lo diventeranno sempre di più», spiegano, «uno strumento prezioso in particolare rispetto a una questione oggi non più eludibile: abbiamo bisogno di nuovi modelli di intervento, in particolare per le città, per affrontare fenomeni di questa portata».

Al contrario di molte città americane ed europee, finora nessuna città italiana, tranne Bologna, sta pensando di dotarsi di un programma per il clima che preveda interventi per evitare ulteriori danni. Roma e Milano sono entrate sì nella rete della Rockfeller Foundation, impegnandosi a realizzare un piano clima, ma «per il momento hanno fatto solo l’ufficio», dice Zanchini, «senza alcun cambiamento nelle politiche». Eppure l’Europa è stata chiara, offrendo i fondi comunitari agli Stati membri per dotarsi di strategie nazionali di adattamento al clima. L’Italia per il momento ha messo nero su bianco in un libro la sua “Strategia di adattamento ai cambiamenti climatici”, ma non esiste ancora un piano delle priorità per l’adattamento al clima. 

L’Italia per il momento ha messo nero su bianco in un libro la sua “Strategia di adattamento ai cambiamenti climatici”, ma non esiste ancora un piano delle priorità per l’adattamento al clima

«Renzi ha deciso giustamente che il tema del dissesto è una priorità, costituendo una task force», dice Zanchini, «ma lo sta trattando in maniera tradizionale, con la messa in sicurezza dei territori. Che va bene per salvare i cittadini, ma non è una strategia di lungo termine di adattamento al clima». Non è continuando a intubare o deviare fiumi, ad alzare gli argini o asfaltare aree urbane che possiamo dare una risposta a equilibri climatici ed ecologici complessi, dicono da Legambiente. «Servono soluzioni nuove: non va solo buttata l’acqua, perché poi quell’acqua d’estate non ce l’hai. Oggi paghiamo solo i danni. Ma se puntiamo a prevenire, spendiamo molto meno».

I comuni in cui si sono registrati gli eventi estremi riportati sulla mappa di Legambiente sono ben 80. Ci sono allagamenti, frane, esondazioni, danni alle strade e al patrimonio storico provocate da trombe d’aria o da temperature estreme. Alcuni comuni, come Genova, Roma e Milano, sono ormai degli habitué di anno in anno. Dal 2010 a oggi, a Roma treni e metrò si sono fermati per dieci giorni, a Milano per nove giorni, a Genova per otto giorni. Nel capoluogo ligure, durante l’alluvione del 9 ottobre scorso, le acque hanno invaso l’Archivio di Stato, la Biblioteca nazionale e il Palazzo reale. A Roma l’acquazzone del 7 novembre ha fatto franare un tratto delle Mura aureliane. 

Dal 2010 a oggi, a Roma treni e metrò si sono fermati per dieci giorni, a Milano per nove giorni, a Genova per otto giorni

E a questi danni si aggiungono i black out elettrici dovuti al maltempo, da Nord a Sud: sette nel 2014, altri sette nel 2013, dieci nel 2012, sei nel 2011, otto nel 2010. Emblematico il blackout avvenuto a Milano il 7 luglio 2009, dopo un violento nubifragio che si è abbattuto nelle prime ore del giorno lasciando senza energia elettrica la parte sud-est della città, provocando allagamenti in diverse parti dell’area urbana e in alcune stazioni della metropolitana, oltre che la chiusura di una uscita della tangenziale e l’interruzione di una linea della metro.

I danni maggiori sono provocati dalle piogge intense. In pochi minuti scendono quantitativi di acqua che mediamente dovrebbero scendere in diversi mesi o in un anno. Un esempio è l’alluvione di Olbia, Nuoro e dell’Ogliastra, quando una violenta pioggia ha provocato 16 morti e più di 2mila sfollati, 10mila utenze senza corrente, più di 500 chilometri di strade colpiti. Allora in 24 ore scesero 450mm di pioggia, cioè il quantitativo che dovrebbe scendere i sei mesi. Poi c’è Genova, dove tra il 2011 ed il mese di novembre 2014 si contano almeno quattro gravi alluvioni, con esondazioni dei torrenti, gravi danni agli edifici e numerose vittime. Il tutto sempre concentrato tra i mesi di ottobre e novembre. Discorso simile vale per Roma, anche se con conseguenze meno gravi dal punto di vista delle vittime. Nella Capitale tra il 2013 ed il 2014 si sono verificati 5 casi di allagamenti in vaste aree del territorio comunale. Non diversa è la situazione di Milano, dove il fiume Seveso è esondato nel 2014 4 volte per un totale di 15 esondazioni negli ultimi quattro anni. A questi numeri vanno aggiunti quelli del Lambro, la cui ultima esondazione risale al 15 novembre 2014. 

Tutti episodi legati alle forti piogge concentrate nell’arco di pochissime ore. Ma allo stesso tempo «è evidente che la ragione dei danni dipende dal modo in cui si è costruito negli ultimi decenni», spiegano da Legambiente.

Episodi legati alle forti piogge concentrate nell’arco di pochissime ore. Ma allo stesso tempo «è evidente che la ragione dei danni dipende dal modo in cui si è costruito negli ultimi decenni»

Cosa fare? «Bisogna attrezzarsi», risponde Edoardo Zanchini. «Basterebbe che l’Italia copiasse i piani clima fatte da alcune città come New Orleans che dopo l’uragano si è attrezzata». Per prima cosa, «bisogna individuare le aree più a rischio. Si sa nelle città quali sono le zone che si allagano con più facilità e quali sono più esposte alle isole di calore». Per quanto riguarda i rischi derivanti dalle piogge intense, «bisogna restituire permeabilità ai suoli. Non tutta l’acqua può andare nei tombini. Devi fare in modo che i terreni filtrino l’acqua, tirando via l’asfalto in alcune aree». Sul fronte delle isole di calore, a fare aumentare la temperatura sono anche la scarsità di spazi verdi e i muri sottili delle case. «La maggior parte delle case in Italia sono state fatte tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, di fretta. Con muri sottili che non favoriscono l’isolamento energetico. bisogna riqualificare gli edifici».

Tra il 1944 e il 2010 abbiamo speso 61,5 miliardi di euro solo per i danni provocati dagli eventi meteo estremi

Tutto parte dalle città. «Proprio le aree urbane devono diventare oggi la priorità di politiche che tengano assieme prevenzione del dissesto idrogeologico e adattamento ai cambiamenti climatici», dice Zanchini. «Un Paese dove l’81,2% dei Comuni e circa sei milioni di persone convivono col rischio idrogeologico non può crescere e svilupparsi senza una strategia che dia risposte urgenti a questi eventi climatici». Anche perché tutto questo ha un costo: tra il 1944 ed il 2012 abbiamo speso 61,5 miliardi di euro solo per i danni provocati dagli eventi estremi. «Proprio l’adattamento al clima può diventare la chiave con cui ripensare le nostre città, per arrivare a cambiare impostazione e priorità di intervento dell’urbanistica in Italia».

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